Robert Wilson e Mikhail Baryshnikov: “Letter to a Man” a Madrid

"Letter to a Man"

Madrid, Teatros del Canal, Temporada 2015-2016
“LETTER TO A MAN”
Spettacolo basato sul diario di Vaslav Nijinsky
Regia, scene, illuminazione Robert Wilson
Testo Christian Dumais-Lvowski
Drammaturgia Darryl Pinckney
Musica Hal Willner
Costumi Jacques Reynaud
con Mikhail Baryshnikov
Spettacolo commissionato dal Festival dei Due Mondi di Spoleto (2015), Cal Performances University of California (Berkeley), Centro de Artes Escénicas UCLA
Coproduzione Teatros del Canal de Madrid, Les Ballets de Monte-Carlo, Monaco Dance Forum
Madrid, 15 maggio 2016

Madrid, Teatros del Canal, 15 V 2016, Mikhail Baryshnikov“Letter to a man” è uno spettacolo di danza che nasce dall’antologia del diario personale di Vaslav Nijinsky (1889-1950), in cui il grande ballerino del Ballets Russes, nella fase declinante della sua vita, dava sfogo a paure, manie, pensieri ossessivi, e in cui appuntava ricordi di ogni genere. Esiste un’intera letteratura dedicata alla malattia nervosa – se non proprio alla follia – dell’étoile, almeno sin da quando la moglie dell’artista autorizzò la pubblicazione del diario, affinché il mondo conoscesse non soltanto le memorie più intime di Nijinsky, ma anche il terribile abisso in cui era precipitato e in cui fu costretto a vivere per interi decenni. Da quel diario altri due artisti geniali, Mikhail Baryshnikov e Robert Wilson, hanno tratto la materia per una pièce che unisce recitazione, danza, teatro di regia e musica: una sorta di monologo, in cui ovviamente è il personaggio di Nijinsky a parlare, a danzare, a gestire, raccontando la propria storia. Già il vettore linguistico è significativo, perché il testo è recitato in inglese e in russo (i sopratitoli permettono al pubblico spagnolo di seguire molto bene): il russo è la lingua madre, sia del personaggio sia dell’interprete, e senza dubbio aiuta lo spettatore a entrare in un’atmosfera culturale del tutto diversa da quella in cui si trova; l’inglese è il primo segno di un’internazionalità della vita di Nijinsky, che si riverbera sulla straordinaria poliedricità di Baryshnikov: danzatore Madrid, Teatros del Canal, 15 V 2016, Mikhail Baryshnikov 3creativo e pluripremiato, fotografo, esploratore, imprenditore, insomma uno degli artisti più interessanti della seconda metà del Novecento (è nato a Riga nel 1948). Avvicinandosi ai settant’anni si presenta sulla scena in forma perfetta, pronto a danzare e recitare da solo per più di un’ora. L’appassionato di danza ripensa all’inarrivabile curriculum di Baryshnikov: gli anni del Kirov, poi al New York Ballet (sotto la guida di Balanchine), poi l’ascesa nell’American Ballet Theatre, di cui fu direttore artistico; e poi ancora la candidatura all’Oscar, il Golden Globe, le esposizioni in gallerie e musei di tutto il mondo … Ora, a Madrid, è unico protagonista di una storia che sembra essere stata creata appositamente per lui, e invece è la cronaca quotidiana – a volte anche molto penosa – della solitudine e della malattia di un suo predecessore, quasi di un suo alter ego del passato. Robert Wilson ha creato uno spettacolo in cui della malattia di Nijinsky emerge soprattutto l’indecifrabilità: è un altro dato storico che gli psichiatri che seguirono l’artista non riuscirono a stabilire una diagnosi convincente, e di conseguenza un metodo di cura efficace; egli fu il solo a convivere con la malattia, sempre assistito dalla moglie, fino a che un giorno, misteriosamente, ne uscì guarito, e poté trascorrere più serenamente gli ultimi anni della sua vita.
Madrid, Teatros del Canal, 15 V 2016, Mikhail Baryshnikov 4Letter to a Man si ricompone dai frammenti di diario, con molte frasi che si ripetono ossessivamente, con sottolineature ora drammatiche ora retoriche; senza dubbio, però, Wilson e Baryshnikov hanno voluto introdurre un tocco di leggera ironia, a volte anche di sarcasmo, dentro tanta sofferenza. Per questo l’artista sulla scena utilizza tutte le tecniche del mimo, della gestualità, del pantomimo, oltre a quelle della danza nel sentito più comune. A proposito di una recente produzione dell’Eifman Ballet abbiamo avuto modo di parlare di un antico genere di danza-teatro , vivo nella tradizione russa di Otto- e Novecento; è appunto a tale patrimonio artistico del passato che Baryshnikov sembra aver attinto per dare corpo al suo Nijinsky allucinato, febbrile, maniacale, perso nel ricordo di paesaggi e luoghi lontani. La scena si apre con un sottofondo di musica jazz, che illumina un giovane, elegante, vestito di un frac tagliato magistralmente, che si muove dentro un enorme cappello a cilindro, mentre le luci si accendono e si spengono, lasciando che l’artista cambi espressione e umore a ogni nuova illuminazione. Come in tutti gli spettacoli di Wilson, la scenografia è essenziale, ma gioca un ruolo essenziale: il cilindroMadrid, Teatros del Canal, 15 V 2016, Mikhail Baryshnikov 5 assume tutte le posizioni e le angolazioni, come il grado di lucidità del personaggio; la sagoma cartonata di una bambina attraversa il palco, tirando con una corda una gallina gigante: è Baba jaga? Certamente è un ricordo che affiora dall’infanzia e dal mondo della fiaba popolare russa; poi c’è il trauma della guerra, che sembra non finire mai: l’artista s’imbatte nel cadavere di un soldato, oppure cammina dentro un bosco dall’estensione interminabile. Recitazione e movimenti di danza di Baryshnikov sono perfetti, calibrati, leggeri, quasi ossessivi nelle ripetizioni, come del resto gli interventi recitati. Al termine dello spettacolo il pubblico madrileno, affollato di tanti ballerini, e di tante generazioni diverse, è commosso fino alle lacrime per l’omaggio di un genio della danza a un altro genio della danza, grazie al quale era nato il balletto del Novecento. Applausi senza fine, evocazione di ricordi per molti; per tutti, sicuramente, la memoria martellante della frase con cui lo spettacolo si chiude, ritornando per l’ennesima volta: «Non sono Cristo, sono Nijinsky!»   Foto Teatros del Canal de Madrid