Venezia, Teatro La Fenice: Daniel Harding e Veronika Eberle

Venezia, Teatro La fenice, Stagione sinfonica 2015-2016
Swedish Radio Symphony Orchestra
Direttore Daniel Harding
Violino Veronika Eberle
Johannes Brahms: Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 77; Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73
Venezia, 28 aprile 2016     
Una serata di altissimo livello artistico si è svolta pochi giorni fa alla Fenice: ospite la Swedish Radio Symphony Orchestra – una delle più rinomate istituzioni a livello mondiale, fondata nel 1936 a Stoccolma e formatasi sotto la direzione delle più prestigiose bacchette: da Sergiu Celibidache a Esa-Pekka Salonen a Evgenij Svetlanov a Manfred Honeck –; sul podio il suo attuale direttore musicale, tra i più apprezzati dei nostri tempi, l’oxfordiano Daniel Harding, con la partecipazione della violinista bavarese Veronika Eberle, altra stella di prima grandezza nell’odierno panorama musicale internazionale. Il programma era tutto brahmsiano: il Secondo concerto per violino e orchestra, seguito dalla Seconda sinfonia, due titoli accomunati, oltre che dalla medesima tonalità di re maggiore, anche dal punto di vista cronologico, essendo nate, si può dire, nello stesso periodo: la Sinfonia fu composta rapidamente nell’estate del 1877 durante una visita alle Alpi austriache, il concerto nacque l’anno dopo a Pörtschach, ridente località lacustre della Carinzia, come omaggio al grande violinista, nonché suo amico fraterno, Joseph Joachim.
Il concerto per violino e orchestra si articola nei consueti tre movimenti (Allegro, Adagio, Allegro) secondo i canoni classici, e guarda, in particolare, all’analogo concerto di Beethoven. Lo attestano vari elementi comuni: la tonalità di re maggiore, il prevalere della natura lirica dello strumento solista, l’entrata di quest’ultimo lungo linee ascendenti su più ottave e, infine, il complessivo respiro sinfonico della partitura. Ne risulta una composizione che fu oggetto di critiche severe: secondo Hans von Bülow non si trattava di un lavoro per il violino, ma piuttosto contro il violino, mentre Henryk Wieniawski lo definì insuonabile. Ma è il destino delle opere che guardano troppo avanti. La Eberle – imbracciando  il prezioso Stradivari “Dragonetti”, messole a disposizione dalla Nippon Music Foundation – ne ha offerto un’interpretazione di estrema compostezza ed elegante espressività, traendo dal suo strumento un suono sempre rotondo anche nei passaggi in cui l’arco agisce sulle corde con delle strappate come nel terzo tema del primo movimento, dove in talune esecuzioni si sente, invece, qualche ruvidezza. Dolcissimo, come un’intima confessione, il tema lirico iniziale; inquieto e appassionato, pur senza eccessi, il secondo tema. Impeccabile la violinista tedesca anche nelle ardue evoluzioni virtuosistiche della cadenza finale. Perfetta nell’intonazione, intensamente lirica nell’accento la linea del “canto” dispiegata nel successivo Adagio, dove il violino insiste nella zona acuta e nella cui parte centrale – in stile “declamato” – tende a riprodurre un “rubato” alla Chopin. Ricco di verve, ma anche di bel suono, nitido e brillante, il lo strumento solista nel movimento finale, in cui è evidente l’influsso della musica popolare ungherese, tra arditezze ritmiche sempre più trascinanti. Suono teso e nitido e, in generale, un’eccellente prestazione anche da parte dell’orchestra – che ha positivamente impressionato per la perfezione degli attacchi e l’armoniosa coesione –, guidata dal gesto sicuro e di essenziale chiarezza, sfoggiato da Daniel Harding, che  ha assicurato un’assoluta intesa tra gli orchestrali e la solista.
Un totale dominio della compagine orchestrale in ogni sua parte ha fatto apprezzare, poi, il direttore inglese nell’esecuzione della Seconda sinfonia di Brahms, di cui ha offerto – come del resto è suo costume – un’interpretazione scevra da ogni enfasi o ridondanza di derivazione romantica, grazie a una scelta di tempi diffusamente scorrevoli, rifuggendo da ogni estenuazione di carattere agogico, bensì puntando sulla contrapposizione tra blocchi sonori e su una lettura che, in generale, ha permesso di cogliere gli elementi strutturali della partitura nel suo insieme. Ne è risultata un’interpretazione agevolmente fruibile, senza peraltro limitarsi alla fredda oggettività, bensì tessendo una sottile trama di sfumature, che hanno messo in rilievo, con sobria eleganza, il carattere composito di questa sinfonia, nella quale, se da una parte l’intervento degli strumenti a fiato assume abbastanza spesso un carattere pastorale, evocando un’atmosfera di serenità, dall’altra la dolce cantabilità dei violoncelli e in genere degli archi è, romanticamente, intrisa di tristezza. Straordinaria veramente questa  Swedish Radio Symphony Orchestra nelle prestazioni d’insieme come negli “assolo”! Nel primo movimento, Allegro non troppo, si sono segnalati i violoncelli, cui è affidato il motivo d’apertura di tre sole note e poi un tema disteso e lirico; oltre ai corni col loro estatico fraseggiare e tutta l’orchestra nell’ampio sviluppo, assai complesso contrappuntisticamente, ispirato a criteri nuovi come quello della ripetizione secondo un andamento circolare, lontano dalle tensioni beethoveniane. Ancora i violoncelli, morbidi e coesi, si sono imposti nell’Adagio non troppo con il loro tema cantabile, di sommessa mestizia, degnamente accompagnati dai fagotti, e poi l’intera orchestra nel fitto ordito contrappuntistico percorso da frequenti sincopi e inframezzato da pause. L’oboe, invece, accompagnato dal pizzicato dei violoncelli, ha brillato per bel suono e perfetto stile del legato all’inizio dell’Allegro grazioso, che presenta due Trii, fugace evocazione di un mondo perduto e ormai solo vagheggiato, ma ancora venato d’inquietudine nei contrasti timbrici tra fiati e archi come nell’oscillazione fra modo maggiore e minore. Una grande energia si è scatenata, soprattutto verso la fine, nell’ultimo movimento, Allegro con spirito, dopo l’esposizione dei due temi  – il primo fluido ed espressivo affidato ai violini, il secondo sincopato, e più drammatico, ai violoncelli –; un’energia culminante nello sfavillare dell’ultima fanfara di ottoni, coesa e intonatissima. Successo entusiastico.