Giovanni Paisiello (1740 – 1816): “Nina, o sia la pazza per amore” nel bicentenario della morte del compositore

L’opera del signor Marsollier ebbe il merito di far sopportare sulla scena un essere sciagurato, senza delitti né colpe, e la musica del signor Alerac fu giudicata buona e adatta all’argomento. Ma madama du Gazon, che aveva fornito tante prove del suo talento in tutti i generi, in tutti i caratteri, in tutte le più interessanti situazioni, seppe rendere con tanta arte e verità la parte straordinaria di Nina che si ebbe l’impressione di vedere una nuova attrice o, per meglio dire, di vedere l’infelice creatura di cui rappresentava la parte e imitava i deliri”.
Così un entusiasta Carlo Goldoni si espresse, nella sua autobiografia, sulla Nina ou la foulle pour amour, commedia in un atto di Benoît-Joseph Marsollier des Vivetières con le musiche di Nicolas-Marie Dalayrac, dopo aver assistito alla sua prima rappresentazione il 16 maggio 1786 alla Comédie Italienne. Recepita immediatamente dal pubblico come un’autentica novità, la commedia divenne immediatamente un successo mondiale; già nel 1787 approdò, infatti, a Londra, l’anno dopo a Berlino, nel 1805 a New York e nel 1808 a Mosca. In Italia aveva conosciuto il successo prima al Teatro Reale di Monza (1788) e alla Canobbiana di Milano (1789) nella traduzione di Giuseppe Carpani il cui nome, però, non figura nel libretto della versione italiana, ma di cui si attribuì la paternità nelle Rossiniane. Unica testimonianza di questa ripresa è un articolo apparso sulla «Gazzetta Enciclopedica milanese» del 12 marzo 1789, che in modo approssimativo ci informa anche della data della prima rappresentazione a Monza, ancor oggi ignota:
“La Nina, che nello scorso autunno ottenne sì avventuroso esito nel teatro di Monza, or s’è introdotta ieri sera in queste brillanti scene della Canobiana con nuovo scenario e nuovo ballo”.
Ma quali furono le ragioni di un successo così vasto? Certamente la novità del soggetto che metteva in scena in un’ottica del tutto nuova la follia che, non più considerata come un’alterazione capace di causare anche l’isolamento, qui è ritenuta illuministicamente una malattia curabile e della quale si possono analizzare le cause. Inoltre nella commedia appariva quell’accentuazione dell’aspetto sentimentale e larmoyant che avrebbe dato vita a quell’importante filone di cui un luminoso esempio sarà La Sonnambula di Bellini. Da questo soggetto Giovanni Battista Lorenzi trasse il libretto della Nina, o sia la pazza per amore di Paisiello che fu rappresentata per la prima volta il 25 giugno 1789 in un teatro artificiale all’aperto nel Belvedere di proprietà dei Borboni nei pressi di San Leucio, un borgo acquistato da Carlo di Borbone e ristrutturato dal figlio Ferdinando IV che lo trasformò in un piccolo gioiello. Aveva fatto costruire, infatti, una manifattura reale della seta, sul modello di quelle europee, i cui manufatti erano diventati celebri nel vecchio continente grazie anche al clima sereno di lavoro dovuto alla particolare legislazione di cui godeva questa piccola comunità non soggetta a quella del regno. In questa autentica oasi felice il sovrano aveva sperimentato le idee illuministiche concedendo l’uguaglianza per tutti, un salario garantito, l’istruzione gratuita, l’assistenza sanitaria, la pensione per gli anziani e la parità tra uomo e donna nel lavoro. Tra le leggi ve n’era anche una che vietava l’usanza dei matrimoni combinati dalle famiglie, che costituisce il tema principale della Nina[1]. L’opera, che ebbe tra i suoi primi interpreti Celeste Coltellini (Nina), figlia del celebre librettista Marco Coltellini, Gustavo Lazzarini (Lindoro), Luigi Tasca (Conte), Camilla Guida (Susanna), Giuseppe Trabalza (Giorgio), sembra celebrare proprio questo luogo situato in quella campagna ideale per riconquistare la felicità perduta.
L’opera
Sinfonia

Nina o sia la pazza per amore jpgL’opera è introdotta da una splendida sinfonia in forma-sonata  aperta da un tema che funge quasi da sipario per l’incisività del suo ritmo (Es. 1) al quale si contrappone il secondo tema di carattere cantabile affidato ai legni che conversano tra di loro (Es. 2) anticipando quello stile di conversazione che sarà sviluppato da Beethoven.

Atto primo

Nina es. 2 jpgLa scena si apre su un delizioso giardino dove Nina sta dormendo; un coro di Contadini (Dormi, o cara), mentre commenta la triste storia della ragazza, cerca di favorirne il sonno intonando una dolce ninnananna. Interrogata da Giorgio, balio del Conte, Susanna, che di Nina è la governante, narra la causa dello stato di alienazione mentale in cui versa la ragazza la quale, promessa sposa a Lindoro, giovane da lei amato, alla fine non può sposarlo per l’opposizione del Conte, suo padre; l’uomo, che inizialmente aveva dato l’assenso alle nozze con Lindoro, era venuto meno alla parola data allorché si era fatto avanti un altro pretendente più ricco. Lindoro, allora, decide di dare un ultimo addio alla ragazza, ma sorpreso dal nuovo promesso sposo è sfidato a duello e alla fine cade in una pozza di sangue. Il Conte, per nulla colpito da quanto avvenuto, intima alla figlia di riconoscere come suo promesso sposo il giovane che le è stato destinato e da quel momento in poi Nina perde il senno. L’arrivo del Conte induce i presenti ad allontanarsi; resta in scena solo Susanna, che, subito dopo, si congeda dal Conte per andare in soccorso di Nina al suo risveglio. Rimasto solo, il Conte intona l’aria È sì fiero il mio tormento, nel quale esprime tutto il suo dolore per la condizione della figlia di cui è stato la causa con la sua incauta decisione.
Nina Es. 3 jpg
L’uomo è raggiunto da Giorgio che lo consola con la sua sicurezza sulla guarigione della ragazza nell’aria Del suo mal non v’affliggete. Quando Susanna annuncia l’arrivo di Nina, tutti i presenti di nascondono. La ragazza manifesta la sua sperenza in un possibile ritorno del suo Lindoro che lei crede in viaggio nell’aria di sortita, Il mio ben quando verrà (Es. 3) preceduta da un recitativo accompagnato dai forti colori drammatici nel quale la ragazza cerca di capire le ragioni di questa separazione. La sua aria è una pagina giustamente famosa scritta nella forma del rondò in cui il compositore ha introdotto dei toni patetici grazie a una scrittura semplice che anticipa gli esiti del genere larmoyant. Susanna cerca di distrarre Nina con un coro di Villanelle (Se il cor, gli affetti suoi) che esalta le virtù della protagonista. Dopo aver ringraziato le Villanelle, Nina mostra nuovi segni della sua alienazione, decidendo prima di regalare un anello ad una villanella per toglierglielo un attimo dopo; poi chiede alle villanelle di cantare una canzone, piena di pathos, che lei stessa aveva loro insegnato e che narra la sua triste storia (Lontana da te). Subito dopo si presenta il Conte, che Nina non riconosce ritenendolo un viaggiatore qualunque e, quando apprende che cerca sua figlia, gli dice di non opporsi alle nozze con il giovane di cui è innamorata. Dopo un nuovo momento in cui Nina si astrae dalla realtà, giunge un pastore che, accompagnato da una zampogna, suonata da un altro pastore, canta una canzone  di carattere pastorale (Già il sol si cala dietro la montagna) su un cullante ritmo di siciliana. Nell’edizione in ascolto è inserita l’aria, Ah, lo previdi! Ah, t’invola agl’occhi miei K. 272, composta da Mozart nel 1777 per il soprano Josepha Duschek. Nonostante qualche riserva dal punto vista filologico, è opportuno ricordare che l’inserimento, da parte dei virtuosi, delle cosiddette arie di baule era una prassi piuttosto consueta nel teatro del Settecento e, quindi, accettabile. Dopo un recitativo di carattere vigoroso, la vera e propria aria (Deh, non varcar quell’onda) è una pagina nella quale emerge la tipica melodia mozartiana. L’atto si conclude con il quartetto (Come! Ohimè! Partir degg’io) nel quale la donna mostra ancora segni di vaneggiamento quando afferma che Lindoro è ritornato, mentre il Conte si allontana oppresso dal dolore.
Atto secondo
Nello stesso delizioso giardino del primo atto Nina sta dispensando il contenuto di un canestro di robe ad altre villanelle, seguita dalla fedele Susanna che manifesta tutto il suo affetto nei confronti della padroncina nell’aria, piuttosto convenzionale, Per l’amata padroncina. Subito dopo entra Giorgio in preda a una grande agitazione rappresentata dagli accordi marcati in orchestra (Eccellenza, allegramente) con una notizia importante totalmente inaspettata: Lindoro non è morto e ha cercato di entrare nell’abitazione arrampicandosi sul muro di cinta. Il giovane teme l’ira del Conte che, invece, lo accoglie come un figlio, suscitandone la meraviglia nel duetto: Io son desto o pur deliro, in cui la musica esprime con straordinaria efficacia il significato del testo. Subito dopo il Conte informa Lindoro della salute di Nina che il giovane vorrebbe rivedere subito; frenato dal Conte che si vuole prima consultare con Susanna, Lindoro, rimasto solo nella delicata e malinconica cavatina, Questo è dunque il loco usato, rievoca i luoghi del suo amore con la sua amata. Ritornato il Conte, dice a Lindoro di non farsi riconoscere subito per evitare che Nina possa subire un colpo troppo duro. Giunge nel frattempo la fanciulla accompagnata dalle villanelle che le augurano una pronta guarigione (Coro: Cantiam, Nina, Cantiam). La ragazza incontra Lindoro travestito che non riconosce subito, ma dal quale spera di avere buone notizie; ribadisce il suo amore per il giovane con il quale dà vita al tenero duetto Oh momento fortunato! Subito dopo Lindoro racconta tutte le circostanze del loro amore finché la ragazza ricorda. Con la definitiva agnizione l’opera si conclude nel tripudio generale per la guarigione di Nina ottenuta anche grazie ad Amore che in pochi istanti suol premiare i lunghi pianti, come si afferma nella stretta finale.
[1] Per un’analisi approfondita della questione cfr. F. Dorsi, Storia dell’opera italiana, Casa Musicale Eco, Monza, 2016, p. 196.