Pesaro, 37° Rossini Opera Festival: “Ciro in Babilonia”

Pesaro, Teatro Rossini, 37° Rossini Opera Festival
“CIRO IN BABILONIA”
Dramma con cori per musica in due atti di Francesco Aventi.
Musica di Gioachino Rossini
Baldassarre ANTONINO SIRAGUSA
Ciro EWA PODLES
Amira PRETTY YENDE
Argene ISABELLA GAUDI
Zambri OLEG TSYBULKO
Arbace ALESSANDRO LUCIANO
Daniello DIMITRI PKHALADZE
Orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Jader Bignamini
Maestro del coro Andrea Faidutti
Regia Davide Livermore
Scene e progetto luci Nicolas Bovey
Videodesign D-WOK
Costumi Gianluca Falaschi       
Pesaro, 13 agosto 2016     
Viene ripreso quest’anno l’allestimento del Ciro in Babilonia già andato in scena con grande successo al ROF nella stagione 2012. La concezione particolarmente felice di tutto lo spettacolo firmato da Davide Livermore ottimizza genialmente l’impegno produttivo e gli spazi limitati del teatro Rossini, per il quale è nato, vivificando senza snaturare la materia drammaturgica e il libretto non particolarmente brillanti  di questo lavoro giovanile uscito dalla penna di un Rossini ventenne, alle prese con la quinta opera di un corpus che ne comprenderà una quarantina. Ciro in Babilonia, non Opera, ma Dramma sacro da eseguirsi in tempo di Quaresima, intreccia il racconto biblico del banchetto sacrilego di Baldassarre, re di Babilonia che profana i vasi sacri asportati dal tempio di Gerusalemme, venendo per questo maledetto da Dio e destinato alla caduta, con i fatti storici della conquista di Babilonia da parte di Ciro, re persiano liberale e benevolo nei confronti del popolo ebraico. A rendere più coinvolgente la trama si unisce il triangolo amoroso: Amira, moglie di Ciro è stata fatta prigioniera con il figlio Cambise da Baldassarre, che la chiede come sua concubina, minacciandola di morte in caso di rifiuto; Ciro, fingendosi ambasciatore, entra nella città di Babilonia e cerca di portare in salvo i suoi congiunti, ma viene riconosciuto, imprigionato e avviato al sacrificio con la moglie e il figlio; l’improvvisa vittoria dell’esercito persiano che irrompe nella città capovolge le sorti del dramma e segna la caduta di Baldassarre e la salvezza dei prigionieri. Quest’opera della primissima produzione rossiniana, dal libretto maldestro viene portata in scena filtrata attraverso una lente che ne vela di leggero umorismo la materia decisamente solenne, invitando lo spettatore a non prendere proprio tutto sul serio, giustificando gli eccessi e le ingenuità alla luce dell’inesperienza.
Tutta la vicenda quindi viene intrappolata nello schermo di un cinema muto, con tanto di spettatori in magnifici abiti in stile Belle Époque. L’Opera diventa uno di quei film di genere storico-epico che hanno avuto subito larghissima diffusione già nei primissimi anni del secolo. Così il trucco è rigorosamente bicolore, di biacca e bistro, come era d’obbligo perché le antiche pellicole avevano il difetto di essere dure, incapaci di cogliere le sfumature di grigio; ugualmente bicolori sono i costumi di scena, tanto appariscenti quanto poco filologici, confezionati con un impiego massiccio di nappine, passamanerie e altre finiture da tendaggio, con garbata ironia nei confronti degli allestimenti scenici del cinema dei primordi. Ugualmente riprodotta con piglio sorridente, sul limite sottile della parodia, è la recitazione enfatica, fatta di gesti estremi e plateali, tipica dei film degli anni ’10, che oggi definiremmo ‘alla Francesca Bertini’. Le scene sono totalmente risolte mediante efficacissime proiezioni, realizzate dallo studio D-WOK, che raffigurano ambienti interni ed esterni, con le classiche nuvole che passano rapidissime, i tipici viraggi tra il ruggine e il seppia, e persino le righe verticali e le macchie che scorrevano insieme alle pellicole di quegli anni; varie ed esplicite sono le citazioni del cinema d’epoca, come il tempio di Moloch dalla Cabiria di Pastrone usato nell’ultima scena per inghiottire nelle sue fauci il malvagio Baldassarre o la danza della finta Maria da Metropolis di Lang, che ispira le coreografie della scena del convito. Tutta questa scena merita di essere menzionata per la bellezza visiva, la sapienza compositiva, i meravigliosi costumi déco, la bravura delle ballerine. Grande lavoro, quindi, e grande risultato da parte dell’equipe formata dal regista Davide Livermore, dal costumista Gianluca Falaschi  e dall’artefice delle scene e del progetto luci Nicolas Bovey. Dalla stagione 2012, unica nel cast vocale per il resto completamente rinnovato, proviene anche la protagonista: Ewa Podles, sulla scena Ciro, la cui presenza motiva e sostanzia la ripresa di questo spettacolo, per un insieme di qualità che la rendono un’interprete assolutamente eccezionale di questo ruolo. Non avendo assistito alla sua prestazione del 2012 non sono in grado di fare valutazioni comparative; parlando solo del presente, Ewa Podles oggi, a sessantaquattro anni di età e quarantuno di carriera, ha offerto al pubblico un’esperienza musicale e teatrale indimenticabile. Il suo strumento vocale è del tutto particolare, immediatamente riconoscibile e unico nel panorama odierno; uno strumento disomogeneo, dai suoni  quasi “maschili” di un registro grave amplissimo, ad un registro medio con screziature gutturali e sorde sul quale il tempo ha forse lasciato qualche inevitabile ruga, ad un registro acuto ancora meravigliosamente imperioso, tondo e sonoro. L’androginia dei ruoli contraltili en travesti del teatro rossiniano trova nella sua vocalità multipla un’incarnazione non solo credibile e affascinante, ma una probabile eco delle mitiche interpreti ottocentesche predilette dall’autore, che nessuno di noi ha sentito, ma delle quali resta testimonianza che cantassero ora con voce femminina, ora mascolina, materializzando la stilizzazione e l’irrealtà dei loro personaggi. L’esecuzione vocale della Podles è caratterizzata da una consumata padronanza del canto rossiniano, colorature comprese, ma quello che maggiormente si impone è la personalità carismatica, che domina la scena senza nulla risentire della limitata mobilità e delinea un Ciro anziano, riflessivo e affettuoso, che coniuga l’autorevolezza del sovrano con la tenerezza del marito e del padre. Il suo antagonista Baldassarre, re di Babilonia, è interpretato dal tenore Antonino Siragusa; il cantante siciliano è un interprete rossiniano di grande esperienza, dotato di uno strumento facile e brillante, a suo agio nelle agilità e in regola con lo stile; solo che la sua tipologia vocale di tenore di grazia, tendenzialmente contraltino – uno dei suoi ruoli è Arturo Talbo – non è certo l’ideale per un ruolo centrale, baritenorile, che si vede in questo modo svuotato di autorità per la mancanza di ampiezza del registro centrale e per la debolezza delle numerose discese al grave. Si tratta di un problema di composizione del cast: l’interprete ha fatto un ottimo lavoro con un strumento votato ad una scrittura vocale diversa. Una bella sorpresa arriva dalla cantante sudafricana Pretty Yende, che impersona il ruolo di Amira. Giovane di età e di carriera, sta mettendosi in luce in un repertorio di soprano lirico leggero che include anche alcune protagoniste rossiniane come Rosina, Elvira nell’Italiana in Algeri, la Contessa nel Comte Ory. All’inizio della recita manifesta qualche squilibrio, dovuto forse ad un eccessivo allargamento della zona centrale che fa suonare gli acuti spinti e affetti da ‘vibratino’, poi nel corso della serata la voce si scioglie e si rivela gradevolmente calda al centro e luminosa in alto. Raccoglie calorosi applausi la sua aria “Vorrei veder lo sposo” nella quale mette in luce belle sfumature e agilità nitide e precise; anche l’aria del secondo atto “Deh! per me non v’affliggete” rivela una buona varietà dinamica, buone agilità, un bel trillo e sopracuti sicuri. Qualche occasionale e veniale slittamento di intonazione in zona centrale non inficia una prova nel complesso positiva. Nei ruoli minori si segnalano il tenore Alessandro Luciano per l’incisività della dizione e il bel fraseggio prestati al personaggio di Arbace e la ampia e scura voce di basso del giovane Dimitri Pkhaladze che delinea un profeta Daniel, nel libretto Daniello,autorevole eispirato. La voce morbida di Isabella Gaudì disegna un’Argene venata di dolcezza; non molto incisivo lo Zambri di Oleg Tsybulko. Grandi manifestazioni di consenso ha meritato la direzione di Jader Bignamini, che ha fornito un ottimo accompagnamento al canto, grande precisione e leggibilità nelle scene corali, varietà di tono nel differenziare gli episodi più elegiaci da quelli più pugnaci, e ha ottenuto grande bellezza e pulizia di suono dall’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, in una lettura capace di rendere viva e coinvolgente l’interessante partitura rossiniana. Alla fine della rappresentazione il pubblico ha festeggiato con calore tutti gli interpreti; le uscite al proscenio di Ewa Podles sono state accolte da ondate di entusiasmo, ovazioni e applausi interminabili, ai quali non si può non aderire convintamente.