“Una voce per il Belcanto”. Chris Merritt in concerto

Teatro della Grancia di Montisi – Festival “Solo Belcanto” 2016
Tenore
Chris Merritt
Pianoforte Beatrice Benzi  
Musiche di Giacomo Carissimi, Francesco Durante, Alessandro Scarlatti, Giovanni Battista Bononcini , Christoph Willibald Gluck, Giovanni Legrenzi, Giulio Caccini, Francesco Durante, Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini, Giacomo Puccini.
Montisi, 19 agosto 2016     
Il Festival Solo Belcanto, giunto quest’anno alla terza edizione, è un piccolo festival, che ha sede in un teatrino minuscolo, in un piccolissimo borgo sulle colline senesi, non lontano da Pienza.  Chi entra dentro le mura di Montisi e percorre l’unica strada che attraversa longitudinalmente il paese, guardandosi intorno avverte che la piccola dimensione di tutto ciò che lo circonda è un ingrediente essenziale della sua bellezza. Come gioielli in uno scrigno, quelle mura di mattoni rossi custodiscono un’aria incantata, un silenzio, un’armonia di facciate eleganti e semplici, e, tra tante cose belle, un delizioso teatrino della fine dell’Ottocento, perfettamente restaurato, incastonato in una magnifica struttura quattrocentesca.  Analogamente piccolo e prezioso è il Festival Solo Belcanto concepito e diretto da Giovanni Vitali, che si distrae così dalle fatiche invernali al Teatro dell’Opera di Firenze, in collaborazione con Silvia Mannucci Benincasa, ospite e genius loci – Palazzo Mannucci Benincasa è uno degli edifici più importanti di Montisi. È un festival piccolo perché nasce con pochi mezzi, si compone di quattro o cinque eventi più un’esperienza didattica ogni anno, è diretto ad un pubblico selezionato, non più di cinquantasette spettatori per ogni concerto; prezioso per la concezione generale – occuparsi della parte più aristocratica dell’arte vocale, il Belcanto – per l’ideazione dei singoli eventi, per una ricerca di qualità testimoniata dai nomi degli artisti che hanno partecipato alle varie edizioni: Roberto de Candia, Marina Comparato, Jessica Pratt, tra gli altri.  Quest’anno la direzione artistica ha coinvolto come artist in residence un nome mitico, un artista che è rimasto nel cuore e nella memoria di tutti gli appassionati del Belcanto come fenomeno naturale e come mostro di bravura: Chris Merritt. Proprio Chris Merritt, che terrà una masterclass per giovani cantanti,  ha aperto questa edizione del festival con un concerto che da diversi punti di vista va considerato straordinario. Prima di tutto perché Merritt è un cantante del quale spesso e inevitabilmente si parla al passato: sessantaquattrenne, da quarantun anni sulle scene, ha avuto tra gli anni ’80 e ’90 un periodo di gloria con pochi paragoni, magari di nicchia, ma fulgidissima, come protagonista indiscusso della Rossini Renaissance, ma anche in altri ruoli belcantistici, segnatamente Arturo nei Puritani. Dopodiché la sua carriera è andata avanti in maniera meno clamorosa, prevalentemente lontano dall’Italia, in un repertorio contemporaneo non molto seguito dalla massa degli appassionati, e più recentemente anche in ruoli di fianco, tanto che, fino a poco tempo fa, erano molti coloro che si domandavano che fine avesse fatto.  Quindi ritrovarlo in un festival italiano, unico protagonista di un concerto tutto imperniato sul Belcanto, con una scelta di brani che in sostanza sono gli stessi che portava in concerto trent’anni fa, è già una cosa che colpisce. Poi il fatto che un artista entrato nella leggenda per le sue imprese al Rof, alla Scala, al Metropolitan si immerga in una dimensione così intima e offra il suo canto, mettendosi in discussione con la massima semplicità, con entusiasmo giovanile e persino un filo di timidezza, stupisce ulteriormente, dal momento che tutti riconoscono il prestigio del Merritt divo, pochi conoscono il candore e la dolcezza del Merritt uomo. Infine la forma vocale: è banale sottolineare che il recensore è, prima di tutto, un appassionato d’Opera e di canto, quindi sarei ipocrita se non riconoscessi che, andando a sentire questo concerto, ero pieno di curiosità, ma anche di timore, o quanto meno di dubbi. Posso assicurare che non ero il solo a Montisi a domandarsi se la vocalità tanto straordinaria e quindi potenzialmente tanto fragile di Merritt fosse ancora in grado di sostenere con onore un repertorio non più affrontato in pubblico da anni, in un concerto lungo e impegnativo, a voce ‘nuda’ con il solo pianoforte.
I timori erano infondati: Chris Merritt è ancora in grado di stupire e di incantare  come vocalista e come artista. Il tempo è stato gentile con la sua voce, ha lasciato qualche segno, è un fatto inevitabile, ma sono segni che intaccano i dettagli e non la sostanza. Ad esempio ha bisogno di un po’ di tempo per scaldarsi ed ‘entrare a regime’, i fiati non sono più così lunghi come negli anni d’oro, la mezzavoce non esce sempre pulitissima, le agilità più vorticose hanno perso un po’ di nitidezza. Sono piccole cose a fronte di uno strumento saldo e fermo, sempre perfettamente avanti come posizione, che infatti corre a meraviglia nel forte e nel piano; ma soprattutto l’emissione è facile e naturale, non c’è niente di laborioso o faticoso in un registro medio-basso scuro e vellutato, dal volume esuberante e in un registro acuto luminoso e, cosa abbastanza incredibile, ancora dolce e morbido. Questa, che è sempre stata una delle più belle caratteristiche della voce di Merritt, ovvero la capacità di affrontare frasi acute senza apparente traccia di tensione, con un suono soffice, ricco, mai tagliente, è ancora presente oggi, segno di una inalterata capacità di mixare i registri di testa e di petto, rara in un tenore anziano. Immutati rispetto agli anni della gioventù sono anche il vizietto dei piccoli portamenti tra note contigue in qualche passaggio legato e una dizione ancora abbastanza yankee, le ‘e’ che diventano ‘ey’ e le ‘o’ che diventano ‘ou’ in finale di frase, le ‘t’ e le ‘d’ esplosive; a questo penso dovremo rassegnarci con un sorriso.  In ultimo c’è nel Merritt di oggi un interprete di spessore, all’occorrenza elegante, brioso, commosso, forse addirittura più maturo e interessante che in passato, arricchito nel suo ventaglio espressivo e nella sua sensibilità dall’aver frequentato, dopo i ruoli belcantistici, quelli di Strauss, Schoenberg, Berg, Boulez.
Vediamo più in dettaglio il programma affrontato e gli aspetti più interessanti del concerto, che ha avuto il prezioso contributo di Beatrice Benzi, pianista accompagnatrice di grande esperienza nonché assistente alla Scala dei più importanti direttori italiani dell’ultimo ventennio. La prima parte è stata composta da nove arie distribuite in un arco di circa due secoli, da Caccini a Gluck, con al centro il periodo Barocco; sono tutti brani di tessitura centrale, talvolta con cospicue discese nel grave. Dopo “Vittoria mio core” di Carissimi, in cui la voce appariva ancora un po’ fredda, in “Vergin tutto amor” di Francesco Durante si evidenzia la tenuta del registro grave, la solidità e l’omogeneità dello strumento e un bel trillo. Con i successivi due brani si passa all’opera di Scarlatti. “Già il sole del Gange”, brano spesso presente nei concerti di Merritt, è un’esecuzione brillante, la voce si fa più limpida, l’intonazione è netta e precisa, belli i trilli. “O cessate di piagarmi” è interpretata con grande partecipazione, stile solenne, un tempo lento e flessibile che evidenzia una perfetta intesa con la pianista. La successiva “Per la gloria d’adorarvi” di Bononcini mette in evidenza la varietà dinamica con fortissimi dal volume imponente e bei pianissimi.  Bellissima, di grande eleganza è l’esecuzione di “O del mio dolce ardor” dal Paride ed Elena di Gluck, su un tempo largo, fraseggiata con libertà ed espressività. “Che fiero costume” da Eteocle e Polinice di Legrenzi trova la voce di Merritt ormai calda, al top delle possibilità; l’articolazione è ottima, il piglio altero, la sonorità si espande e riempie la sala, la chiusa in alto preceduta dal trillo scatena lunghissimi e calorosi applausi; il nostro tenore è soddisfatto e sorridente, sembra un po’ sorpreso, si schermisce :”c’è ancora tanto da cantare”. Statuaria, veramente classica è l’esecuzione dell’”Amarilli” di Caccini, le famose ‘i’ suonano alla perfezione, la voce è libera e avanti, qualche presa di fiato purtroppo interrompe le fioriture in una lettura per il resto di stupenda pulizia formale. Con “Danza, danza” di Francesco Durante, rapida e briosa, la possanza del registro centrale di Chris Merritt chiude la prima parte del concerto.
La seconda parte si apre con le arie da Camera di Bellini. In “Sogno d’infanzia” sembra che la voce sia nuovamente un po’ dura e fredda, ma nella ripresa le cose presto si aggiustano. “Dolente immagine di Fille mia” è un’esecuzione commovente e commossa, raccolta nel suono e nell’espressione, con belle mezzevoci. “Bella Nice”, arietta di tessitura piuttosto elevata, che anticipa le frasi di Pollione nel duetto con Adalgisa destinate a finire in Norma, mette in luce le potenzialità di Merritt tenore spinto con ottima tenuta e ottimo si bemolle acuto. Con “Ma rendi pur contento” si chiude la pregevole parentesi belliniana, giustamente festeggiata da applausi calorosi. Nelle due ariette rossiniane successive il nostro tenore è chiaramente nel suo elemento, tutto scorre con naturalezza e senza intoppi. “Sole e amore” è una bella sorpresa, che ci ricorda che Merrit è stato un buon Rodolfo pucciniano: la sua voce si espande, sembra trasportato dalla gioia di cantare, tuttavia la lettura musicale è precisa, con acciaccatura impeccabile e ottima salita alla frase “col tuo primo pensier”; l’intenzione di ripetere la parola “pensa” all’ottava inferiore in pianissimo provoca un banale inconveniente, le corde non vibrano; se l’avesse cantata forte sarebbe andato tutto liscio, ma sarebbe stato antimusicale e volgare. Ma ancora più sorprendente è la “Storiella d’amore” in cui è reso a meraviglia il tono salottiero che a tratti s’increspa di pathos ed è retta con disinvoltura la tessitura ispida di questa rilettura in chiave umbertina delle vicende di Paolo e Francesca. Con l’ultimo brano siamo al culmine vocale ed espressivo di questo recital: nell’aria “Ah! Sì, per voi già sento” dall’Otello di Rossini, Merritt si confronta con il suo passato, con i ruoli che l’hanno reso grande nel mondo ed è un confronto dall’esito positivo. Se le agilità hanno perso un po’ di precisione e di nitidezza le note ci sono tutte  – abbastanza impressionanti per ampiezza quelle centrali – e soprattutto c’è il personaggio: un Otello grintoso, fiero, ambizioso. Attempato? Sì, anche, ma Otello non è giovane, si sa. Per placare il tumulto del pubblico, ristretto ma molto vivace, ci vuole almeno un bis.  Merritt in un volo spericolato lo pesca dalla sua attività più recente, l’assolo del Governatore che augura “Bon Voyage” al poor Candide, dall’operetta di Bernstein. È un’esecuzione brillante, piena di simpatia e di humour, conclusa con un raggiante e lungo si bemolle. Chris Merritt, a quanto pare, sta vivendo una seconda giovinezza vocale o forse lo avevamo solo perso di vista per troppo tempo. Mi auguro che questo primo concerto, che sarà seguito da un secondo, in ottobre, al teatro dell’Opera di Firenze, apra una nuova fase della sua attività che permetta al pubblico italiano e ai giovani cantanti di godere di quanto ha ancora da comunicare e da insegnare e a chi è troppo giovane per averlo sentito ai tempi d’oro di ascoltare oggi un grande tenore, merce rara.