Novara, Teatro C. Coccia: “Aida”

Teatro C. Coccia, Novara. Stagione lirica 2016-17
“AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Aida ALEXANDRA ZABALA
Amneris SANJA ANASTASIA
Radames WALTER FRACCARO
Amonasro ELIA FABBIAN
Ramfis ANTONIO DI MATTEO
Il Re GIANLUCA LENTINI
Il messaggero MURAT CAM GUVEN
La sacerdotessa MARTA CALCATERRA
Orchestra del Conservatorio G. Cantelli di Novara
Direttore Matteo Beltrami
Coro San Gregorio Magno e Coro del Ticino
Maestro del coro Mauro Rolfi
Regia Piero Maranghi e Paolo Gavazzeni
Scene e costumi Leila Fteita
Luci Angelo Linzalata
Coreografie Simona Bucci
Nuovo Allestimento Fondazione Teatro Coccia Onlus
Novara,  9 settembre 2016
Il Teatro C. Coccia di Novara apre la stagione 2016/17 con una produzione decisamente ambiziosa di “Aida” e bisogna riconoscere che l’obiettivo è stato sostanzialmente centrato. Presentare “Aida” in uno spazio teatrale e anche di dimensioni relativamente contenute permette di togliere l’opera da quelle letture puramente spettacolari che troppo spesso la caratterizzano per riportare al centro la dimensioni lirica e onirica della partitura. E proprio in questo senso lavorano i registi Piero Maranghi e Paolo Gavazzeni che insieme a Leila Fteita firmano uno spettacolo di elegante sobrietà. L’impianto scenico, pur nella sua monumentalità – le scene sono fra le più imponenti viste sul palcoscenico novarese negli ultimi anni –, trasmette un’idea di essenzialità: grandi scalinate, pareti lisce che si muovono ricomponendo i vari ambienti, massicci pilastri. Il tutto è arricchito da limitati ma puntuali elementi di caratterizzazione dei singoli ambienti – il grande braciere del tempio di Ptha, i troni del palco reale durante la scena del trionfo e nel III atto una grande luna che riflette con suggestiva poesia sui colori metallici del Nilo in sotto fondo – mentre le luci trasmettono i colori caldi e sabbiosi del deserto egiziano. I costumi sono tradizionali, senza inutili forzature mentre la regia segue con cura e precisione la vicenda lavorando molto sui rapporti che intercorrono fra i personaggi. Per il trionfo si è, infine, sfruttata l’intera platea del teatro facendo sfilare il corteo fra gli spettatori. Va inoltre considerato che l’intera produzione non è stata pensata solo nell’ottica della diretta fruizione teatrale ma anche per la progettata ripresa e diffusione televisiva all’interno di una collaborazione con Classica tv (canale compreso nel pacchetto Sky) che ha contribuito a tutta la realizzazione dello spettacolo all’interno di una sinergia quanto mai interessante considerando le difficoltà in cui si trovano molti teatri italiani. Sul piano musicale si apprezza l’attento lavoro condotto da Matteo Beltrami con i ragazzi dell’ Orchestra del Conservatorio G. Cantelli di Novara che hanno mostrato una qualità e una maturità esecutiva assolutamente apprezzabili se rappportati alla giovane età e alla pochissima esperienza degli strumentisti. Qualche suono può essere non sempre pulito, qualche imprecisione si percepisce ma l’impegno e la passione che trasmettono questi giovani musicisti conquista in ogni caso. Discorso simile per le masse corali guidate da Mauro Rolfi: non veri e proprio cori professionisti ma compagini che portano avanti la loro attività con passione e zelo. Si coglie in modo evidente la cura con cui questa produzione è stata preparata tanto che, pur rimanendo un certo scarto di qualità a favore della componente femminile e considerando l’impegno richiesto da quest’opera, la prestazione può dirsi più che compiuta. Beltrami riesce a cogliere l’ambivalente natura dell’opera valorizzandone i tratti più lirici ma senza sacrificare in modo eccessivo le parti eroiche e monumentali riuscendo ad evitare con bravura entrambi gli eccessi di cui la partitura può essere vittima riuscendo a fondere, con mano capace, monumentalità e intimismo, brillantezza ritmica e preziosismi orientali senza mai perdere di vista la tenuta teatrale complessiva. Sorprende come Aida Alexandra Zabala: l’avevamo apprezzata lo scorso anno come Corinna. Il passaggio di ruolo suscitava, per la verità, qualche perplessità e timori ma la cantante colombiana è uscita vincitrice dal cimento. Certo la voce suona spesso leggera per la parte; la Zabala ha, però, la sensibilità di non cercare inutilmente un volume e una drammaticità che non possiede ma cerca di affrontare il ruolo con la sua voce appoggiandosi alle sue doti di musicalità e all’ottima tecnica di cui è dotata che le permette acuti nitidi e puliti, ottimo controllo sul fiato, filature e mezze voci perfettamente eseguite. La sua è un’Aida quasi belcantista per impostazione vocale e di un lirismo intenso e patetico su quello interpretativo. Quest’Aida così delicatamente musicale avrebbe dovuto avere al suo fianco un diverso Radamès. Walter Fraccaro è apparso in buona forma ma la sua impostazione tutta epica muscolare del personaggio crea un contrasto fin troppo marcato con la delicatezza della Zabala. Innegabilmente la voce è importante anche se non sempre troppo raffinata, lo squillo è buono così come la proiezione anche se si nota una tendenza ad allargare eccessivamente i suoni.  Al contempo si notano alcuni sforzi per piegare l’imponente massa vocale ad accenti più intimi e raccolti come nel duetto finale dove trova il giusto lirismo. Specialista del ruolo, Sanja Anastasia è un’Amneris di forte rilievo sia scenico sia vocale, dotata di una voce robusta e sonora con acuti pieni e sicuri e cui nuoce solo una tendenza ad accentuare troppo il registro grave. Il personaggio è perfettamente conosciuto anche sul piano interpretativo e certi accenti di insinuante efficacia ad esempio nel terzetto iniziale e nel duetto con Aida del II atto colgono pienamente il segno mentre nel finale tende a farsi trasportare troppo dalla passionalità perdendo a tratti di vista la correttezza stilistica. Elia Fabbian è un baritono dalla voce robusta e sonora, dal timbro abbastanza chiaro ma non certo leggero e dall’ottima dizione – per altri il lavoro sull’intellegibilità del testo si apprezzava in tutti gli interpreti testimoniando un attento lavoro al riguardo – e una naturale predisposizione per un canto stentoreo e marziale che ben si addice ad Amonasro. Notevole il materiale vocale di cui dispone Antonio Di Matteo, un Ramfis cantato con autentica voce di basso scura e profonda. Un po’ flebile ma corretto il Re di Gianluca Lentini; brava Marta Calcaterra come sacerdotessa mentre Murat Can Guven nel ruolo sostanzialmente declamato del messaggero era limitato da una pronuncia italiana poco naturale. Sala gremita e convinto successo per tutti gli interpreti.