Torino, Teatro Regio: “La Bohème” (cast alternativo)

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera 2016-2017
“LA BOHÈME” Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì ERIKA GRIMALDI
Rodolfo IVÁN AYÓN RIVAS
Musetta FRANCESCA SASSU
Marcello SIMONE DEL SAVIO
Schaunard BENJAMIN CHO
Colline GABRIELE SAGONA
Benoît e Alcindoro MATTEO PEIRONE
Parpignol CULLEN GANDY
Sergente dei doganieri MARCO SPORTELLI
Un doganiere RICCARDO MATTIOTTO
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Àlex Ollé
Scene Alfons Flores
Costumi Lluc Castells
Luci Urs Schönebaum
Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro dell’Opera di Roma
Torino, 20 ottobre 2016
La vicenda di Rodolfo, Mimì e dei loro compagni di avventure – emblema della fine dei sogni della giovinezza e del passaggio all’età adulta, attraverso il confronto con la prosaicità della vita quotidiana e l’esperienza del dolore e della morte –, immortalata dalla sensibilità pucciniana, ha una sua portata eterna e universale che le permette di reggere qualsiasi trasposizione di spazio e di tempo senza perdere fascino o efficacia. Tanto più che la regia di Àlex Ollé – sulla quale non mi soffermerò oltre, essendo già stata descritta con dovizia di particolari dal collega Giordano Cavagnino nel suo articolo relativo al cast principale di questa produzione – va in fondo catalogata tra quelle di impostazione tradizionale, non prevedendo alcuno stravolgimento dell’azione, al di là della posposizione in una periferia italiana dei nostri giorni. Certo, qualche dettaglio che stride è inevitabile (quando mai, oggi, due ventenni si danno del lei, sia pure al loro primo incontro? quanti sanno ancora che cosa sia una barriera daziaria?), ed è legittimo il dubbio che queste operazioni non servano per avvicinare all’opera pubblico nuovo; ma per chi di Bohème a Torino ne ha viste sin troppe la modernizzazione può essere fonte di una feconda riflessione su come il mondo cambi molto nelle forme, ma le dinamiche della crescita umana passino attraverso processi sempre simili.  Il vero dubbio, in fondo, è quanto fosse necessario, per l’apertura della nuova stagione, allestire un’opera rappresentata per l’ultima volta sul palcoscenico del Regio quindici mesi fa e ormai conosciuta a memoria da tutti i melomani torinesi – infatti, la sala non era completamente esaurita – che nell’ultimo decennio hanno avuto la possibilità di assistervi almeno ad anni alterni. Invece di inventare nuovi allestimenti, non si potrebbe pensare ad ampliare il repertorio?Dal punto di vista musicale, l’esecuzione, affidata al Direttore musicale stabile, Gianandrea Noseda, si è distinta per una concertazione molto curata, che è risaltata in particolare nella recita in questione, che lo scrivente ha ascoltato dal palco reale, dove l’amalgama del suono e l’equilibrio tra buca e palcoscenico si sono manifestati in misura eccellente. L’attenzione di Noseda si concentra sul tessuto sinfonico, sulle dinamiche, sull’agogica puntuale ma mai eccessivamente tesa, sugli opportuni istanti di stasi. Un precedente ascolto dalla platea con il primo cast aveva destato qualche perplessità per il prevalere dell’orchestra sulle voci in diversi momenti d’ensemble; ma, sarà il maggiore rodaggio, sarà la posizione dell’ascoltatore, saranno le voci di caratura più elevata, il 20 ottobre tutto è parso filare per il meglio.
Nonostante formalmente si trattasse di un cast alternativo, infatti, i protagonisti di questa recita avrebbero potuto tranquillamente essere in scena la sera della “prima”. Il soprano Erika Grimaldi, che proprio nella Bohème aveva debuttato al Regio nel 2008, conosce il ruolo di Mimì come le proprie tasche, e ogni volta approfondisce la lettura di qualche dettaglio: si pensi al fraseggio quotidiano, realistico, della scena della ricerca della chiave, alla malizia di «vivo sola, soletta», alla spossatezza comunicata negli ultimi due quadri e in specie nella scena finale. Un po’ di affaticamento doveva essere reale, complici il pancione all’ottavo mese e il pesante abbigliamento imposto dalla regia, ma il ritratto di Mimì morente è perfettamente riuscito, favorito da una voce che nel corso degli anni ha acquisito sfumature più calde e ombrose. La Musetta del soprano Francesca Sassu si identifica per l’intonazione puntuale e per la voce sensuale, morbida e calda, senza perdere il tratto piccante del personaggio. Il tenore Iván Ayón Rivas (Rodolfo), ventitreenne pressoché debuttante, alla sua prima prova assoluta in un ruolo protagonistico, è stato la vera sorpresa della serata; non ha stupito del tutto, però, coloro che lo avevano ascoltato casualmente in qualche parte collaterale (come il sottoscritto, che lo sentì interpretare Guelfo nella Francesca da Rimini di Mercadante, a Martina Franca qualche mese fa) ed erano rimasti colpiti dalla sua voce. Lo squillo nitido, l’estensione sicura e il volume ragguardevole nonostante una corporatura minuta, uniti a un timbro naturalmente bello, fanno di lui uno dei tenori lirici più interessanti della nuova generazione, a patto che egli non si consideri “arrivato” e continui a studiare per perfezionare alcuni dettagli tecnici e approfondire la lettura interpretativa dei personaggi affrontati. Il baritono Simone Del Savio riesce assai bene nel ruolo di Marcello, di cui evidenzia il carattere schietto, Benjamin Cho è un discreto Schaunard, pur con qualche problema nella dizione italiana («mi sia permesso al nobile consesso» diventa un piccolo garbuglio), e il basso Gabriele Sagona riesce a integrare la sua espressiva «Vecchia zimarra» nella scena della morte di Mimì senza farla apparire come un cammeo a sé stante. Il basso Matteo Peirone è giustamente caricaturale nel doppio ruolo di Benoît e di Alcindoro, che la regia rende eccessivamente volgare. Nulla da eccepire sulle seconde parti né sul coro, che nel II quadro ha dato un’ottima prova di sé.