Stefano Secco: “Crescendo”

Giacomo Puccini:” E lucean le stelle” (Tosca), “Che gelida manina” (La Bohème), “Addio fiorito asil” (Madama Butterfly); Giuseppe Verdi:” Forse le soglie attinse” (Un ballo in maschera), “La mia letizia infondere” (I Lombardi alla prima crociata), “La donna è mobile” (Rigoletto), “Quando le sere al placido” (Luisa Miller), “Ah si ben mio coll’essere…Di quella pira” (Il Trovatore); Georges Bizet:”La fleur que tu m’avais jetee (Carmen); Arrigo Boito: “Giunto sul passo estremo” (Mefistofele); Fromental Halevy:”Rachel, quand du Seigneur” (La Juive); Charles Gounod:”Salut! demeure chaste et pure” (Faust); Gaetano Donizetti:”Tombe degli avi miei” (Lucia di Lammermoor), “Una furtiva lagrima” (L’elisir d’amore). Stefano Secco (tenore), Kaunas City Symphony Orchestra, Constantine Orbelian (direttore). 1 Cd Delos DE3482
Stefano Secco è un tenore che nel corso degli anni è riuscito a ritagliarsi un proprio spazio sulla scena lirica italiana soprattutto grazie alla costanza e all’impegno che hanno costituito il fondamento di una carriera non certo bruciante ma costruita lentamente, mattone dopo mattone. Riconoscimento importante di questa affermazione è il primo recital solistico inciso per l’etichetta statunitense Delos in cui il cantante è accompagnato dai complessi lituani della Kaunas City Symphony Orchestra diretti con professionalità e mestiere da Costantine Orbelian.
Il programma scelto è però di una banalità quasi sconfortante, essendo costituito da brani più che noti che sottopongono inoltre il cantante al rischio di pesanti e quasi inevitabili confronti. Posto in apertura di programma, “E lucevan le stelle” consente a Secco di mettere in mostra una bella voce di tenore dai tratti prettamente lirici più che lirico spinto, piacevole e luminosa per timbro e colore, tecnicamente ben impostata – molto bello l’effetto su “disciogliea dai veli” – unita ad una dizione particolarmente nitida e chiara; nonostante tutto manca un vero coinvolgimento che vada oltre una superficiale piacevolezza. Meglio il Rodolfo di “La bohéme”, ruolo vocalmente particolarmente congeniale alla schiettezza giovanile della sua voce e anche interpretativamente adatto ad un canto così estroverso. Considerazioni analoghe valgono per il Pinkerton di “Madama Butterfly” che segue in scaletta.
I due successivi brani verdiani ottengono risultati molto diversi: pienamente riuscita la cavatina di Oronte da I lombardi alla prima crociata” dove il timbro chiaro e luminoso e una cantabilità di matrice belcantista esaltano il carattere ancora così fortemente donizettiano del brano, mentre la grande scena di Riccardo da “Un ballo in maschera” – “Forse la soglia attinse…Ma se m’è forza perderti” – manca di peso specifico, in quanto il recitativo, pur scandito con grande chiarezza, non ha la forza richiesta e l’esecuzione dell’aria resta in superficie senza mai coinvolgere in pieno.
Duplice anche la resa dei successivi brani francesi. La romanza del fiore di “Carmen” è forse la vera sorpresa del programma: quello di Secco è un Don José lirico, passionale, non inutilmente corrucciato. Il timbro chiaro e la schiettezza dell’accento rendono il giusto carattere di un personaggio spesso frainteso da voci fin troppo pesanti e drammatiche. Sostanzialmente mancata invece l’aria di Elezar dalla “Juive” di Halévy, dove si sarebbe richiesto un vero baritenore dal timbro scuro e dal settore medio-grave ricco e sontuoso da cui si elevano acuti svettanti. In Secco non c’è nulla di questo e il tentativo di rendere il brano in chiave più lirica e raccolta evita eccessive forzature ma non nasconde la sostanziale estraneità alla sua natura. Del “Mefistofele” di Boito è proposto “Giunto sul passo estremo”, reso in modo decisamente convincente proprio per l’assenza di retorica e per la sincerità espressiva che si uniscono a un canto molto curato e musicale. Molto positive le prove delle arie donizettiane con “Una furtiva lacrima” di notevole eleganza e un “Tombe degli avi miei” molto convincente sia vocalmente sia come identificazione del personaggio. Non sarebbe stata sgradita qualche altra aria del bergamasco essendo questo repertorio forse più congeniale alla voce di Secco.
Ben eseguite ,pur senza trasmettere particolari brividi, “Salut! demeure chaste et pure” dal “Faust” di Gounod e la verdiana “La donna è mobile” notevole per impeto e franchezza ma chiusa da un acuto non troppo ricco di squillo; i due brani verdiani conclusivi meritano qualche maggior approfondimento. “Oh! Fede negar potessi agl’occhi miei!… Quando le sere al placido” da “Luisa Miller” comincia con un recitativo non particolarmente efficace ma prosegue con un’aria in cui si apprezzano ammirevoli doti di musicalità ed eleganza ma in cui non si riesce a non notare un certo affaticamento dovuto a un tipo di vocalità troppo densa per i mezzi vocali di Secco così che l’acuto finale manca un po’ di facilità. I limiti intravisti in Rodolfo emergono inevitabilmente in Manrico e, se piacevolezza timbrica ed eleganza del porgere salvano “Ah si ben mio”, nella celebre cabaletta – eseguita per altro una sola volta – la mancanza di peso specifico si palesa invece con fin troppa chiarezza così come l’assenza di autentico squillo sugli acuti. Vengono tagliati tutti gli interventi dei personaggi di contorno – compresi “L’onda de’ suoni mistici” e il successivo dialogo di Manrico con Ruiz e Leonora – e rimane solo quello del coro in “Di quella pira”, scelta di gusto alquanto datato e discutibile nell’apprezzamento generale di alcuni dei brani proposti.