Bologna, Auditorium Manzoni: Juan Diego Flórez in concerto

Bologna, Auditorium Manzoni
Orchestra Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna
Tenore Juan Diego Flórez
Direttore Michele Mariotti
Wolfgang Amadeus MozartOuverture da Die Zauberflöte (Il flauto magico), “Un’aura amorosa” da Così fan tutte, “Il mio tesoro intanto” da Don Giovanni, “Fuor del mar” da Idomeneo.
Gioachino Rossini
Sinfonia da Semiramide, “S’ella m’è ognor fedele” da Ricciardo e Zoraide; “Ah dov’è, dov’è il cimento?” da Semiramide.  
Ruggero Leoncavallo“Aprile”, “Vieni amor mio”, “Mattinata”.
Pietro Mascagni: Intermezzo da Cavalleria rusticana.
Giacomo Meyerbeer“Plus blanche que la blanche hermine” da Les Huguenots (Gli Ugonotti).
Giuseppe VerdiSinfonia da Luisa Miller, “La mia letizia infondere” da I Lombardi alla prima crociata, “De’ miei bollenti spiriti” da La Traviata.
Bologna, 4 dicembre 2016
Al centro Rossini, sempre Rossini. Il Pesarese sta lì, cuore del recital che all’Auditorium Manzoni di Bologna unisce ancora una volta Juan Diego Flórez e Michele Mariotti. E su Rossini il tenorissimo peruviano fa ancora testo, alla faccia di chi paventa la perdita dell’antico smalto. Sempre deflagrante è l’acuto, scandita la coloratura, palpitante di affettuosi accenti il canto sia in “S’ella m’è ognor fedele” da Ricciardo e Zoraide che in “Ah dov’è, dov’è il cimento?” da Semiramide. Non gli è da meno Mariotti, che usa primi legni portentosi, caldi impasti di corni e duttilissime trombe della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna a tornire un’Ouverture di Semiramide colorata di crescendi e diminuendi, evocativa di preromantiche atmosfere eppure salda nell’impalcatura neoclassica. Segnali di siffatta cura orchestrale erano già percepibili in un’altra ouverture, quella del mozartiano Flauto magico, ad apertura di serata. Sempre mozartiana segue una terna d’arie, intonate da Flórez con parchezza di variazioni e canto spianato, forse poco adatto ad Un’aura amorosa, ma sorprendente quando applicato a Il mio tesoro intanto, dacché ne esce un don Ottavio di squillo guerriero, schietto, sinceramente furente, raro a sentirsi altrove. Stessa temperie ha il suo Idomeneo in Fuor del mar: tanto è l’entusiasmo del pubblico, e si perdona qualche quartina di semicrome dimenticata qua e là.
Ma il programma va oltre Rossini e approda (dopo una notevole esecuzione dell’aria di Raoul Plus blanche que la blanche hermine dagli Ugonotti di Meyerbeer, supportata dalla flessibile viola di Enrico Celestino) prima a tre liriche di Leoncavallo profumate di acuti luminosi e bei rubati, poi al Verdi dei Lombardi e di Traviata. “La mia letizia infondere” rifulge di portamenti discreti e galanti, e di una smorzatura finale che intenerisce il breve ritratto di Oronte. Stupiscono poi la solidità della linea vocale nel registro centrale e la schiettezza del canto che si fa passionalità in “Dei miei bollenti spiriti”, eseguita con tanto di cabaletta (ma senza il da capo).
Programma insomma pressoché tutto italiano, ingemmato da una tesa Ouverture di Luisa Miller e da un Intermezzo da Cavalleria tenero e mai sdolcinato, misurato nei fortissimi. Ma al mondo ispanico guardano i tre bis: “Cucurrucucù Paloma” e “Malagueňa Salerosa”, che Flórez intona da solo accompagnandosi alla chitarra (e sbucano lunghissimi, gigioni, irresistibili falsetti, cantati col sorriso). Poi “Granada”, a piena, sfavillante orchestra, davanti ad un Auditorium Manzoni che non smette di risuonare d’applausi per il ritratto vocale di un tenore all’apice della carriera, conferma dei suoi ancora indiscussi primati e anticipazione intrigante di un ampliamento del repertorio di là da venire.