Berlino, Staatsoper in Schiller Theater: “King Arthur”

Berlino, Staatsoper in Schiller Theater, stagione lirica 2016/2017
“KING ARTHUR”
Semi – opera (Masque) in cinque atti  su libretto di John Dryden
Musica di Henry Purcell
Cantanti:
Philidel, Cupido, Venere ANETT FRITSCH
She ROBIN JOHANNSEN
HeBENNO SCHACHTNER
Gold Genius, Eolo JOHANNES WEISSER
Pastore STEPHAN RÜGAMER
Attori:
Arthur MICHAEL ROTSCHOPF
Merlino HANS-MICHAEL REHBERG
Oswald MAX URLACHER
Osmond OLIVER STOKOWSKI
Grimbald TOM RADISCH
Conon AXEL WANDTKE
Aurelius STEFFEN SCHORTIE SCHEUMANN
Emmeline MEIKE DROSTE
Mathilda SIGRID MARIA SCHNÜCKEL
Akademie für Alte Musik Berlin
Staatsopernchor
Direttore René Jacobs
Maestro del coro Martin Wright
Regia Sven-Eric BechtolfJulian Crouch
Costumi Kevin Pollard
Coreografie Gail Skrela
Luci Olaf Freese
Video Joshua Higgason
Berlino, 15 gennaio 2017
Il King Arthur di Purcell, nella versione dei registi Sven-Eric Bechtolf e Julian Crouch, allo Staatsoper di Berlino, appare conforme al gusto dell’insolito un po’ azzardato, che va tanto di moda sulla scena operistica tedesca. Azzardata, infatti, è questa regia che, sebbene a tratti sia pure ben appagante alla vista, corre però il rischio di divenire confusionaria per un Masque di fine seicento. Si tratta, infatti, di una storia che circonda un’altra storia, ossia quella vera, tratta dal libretto di John Dryden. Un intreccio che risente di uno squilibrio temporale assai evidente. Dal medioevo, ambientazione originaria del soggetto, si passa, infatti, al 1940, con la seconda guerra mondiale, anno in cui Arthur che qui appare come un bambino di otto anni, ha da poco perso il padre, un aviatore britannico. La madre (Emmeline, nonché l’attrice Meike Droste) si prende cura del nonno (Merlino, il bravo Hans-Michael Rehberg ). Quest’ultimo leggerà al piccolo un libro di fiabe, tramite il quale egli verrà a conoscenza del re britannico (l’attore Michael Rotschopf ) suo omonimo, nel quale rivedrà la figura del padre, partito per un lungo viaggio con l’intento di salvare la madre cieca Emmeline dalle grinfie di Osmond (Oliver Stokowski )un uomo con costume a righe, e strane protuberanze allusive a forme falliche, dalle dimensioni spropositate e volgari. Ed è forse per questo che, in diverse repliche, parte del pubblico ha lasciato la sala tra il secondo e il terzo atto.
Eccellente è stata invece la scelta dei cantanti da parte di René Jacobs, che ha diretto l’orchestra dell’ Akademie für Alte Musik di Berlino, con grande fedeltà alla partitura originale e precisione. Ne è un valido esempio la passacaglia “How happy the lover” del quarto atto, un basso formato da quattro battute che Purcell ripete cinquantanove volte consecutive, in varie forme diverse, tra duetti coro e terzetti. Qui Jacobs esalta l’eleganza del tema principale nelle sue varianti che, via via si susseguono, e l’idea è quella di un grande fugato che di volta in volta si accresce o si rimpicciolisce ma con estrema linearità. Il coro dello Staatsoper ha altresì contribuito in positivo nell’esito positivo di questa riuscita.
Dalle evidenti doti vocali, ma anche brava attrice, è il soprano tedesco Anett Fritsch, che per l’occasione è insieme Cupido, Philidel e Venere. La sua voce è delicata e al contempo corposa e incisiva nelle parti più acute, ma è anche una voce versatile capace di spaziare in tre ruoli diversi, quasi in contemporanea, con sicuro successo. Certamente non si è trattato di parti vocalmente dalle grandi difficoltà, ma la Fritsch appare brava e non ha bisogno di imbattersi in ruoli particolarmente complessi per dimostrarlo.  Dal bel timbro vocale, ma un po’ forzato verso il registro grave, appare invece il bartono Johannes Weisser,(Gold Genius ed Eolo).  celebre “ What power art thou, who from below” di Gold Genius, infatti, appare evidente come questo bravo baritono norvegese raggiunga a stento, e con evidenti artefizi, il registro grave. Però c’è da dire che, considerando che tale ruolo in fondo è più destinato ad un basso che ad un baritono, non si può certamente dar la colpa alla sua voce. Tecnicamente ed espressivamente, infatti, Weisser appare inattacabile. Soddisfaceneti, invece, “He” e “She”, rispettivamente il controtenore tedesco Benno Schachtner, ed il soprano americano Robin Johannsen. Il primo gradevolissimo, considerata la sua particolarità vocale che se mal gestita spesso rischia di divenire al quanto sgradevole all’orecchio. Bravo anche il pastore Stephan Rügamer, ormai stabile dal 1999 allo Staatsoper di Berlino, è un buon tenore lirico dalla indubbia versatilità. Una semi opera che, nonostante tutto, ha aperto questo 2017 berlinese che sembra avere un occhio di riguardo nei confronti della musica antica.
Dall’Inghilterra di Henry Purcell, adesso si attende un ulteriore passo indietro nel tempo: per i 450 anni dalla nascita di Claudio Monteverdi, con “L’Orfeo”, “L’incoronazione di Poppea” ed “Il ritorno di Ulisse in patria”  (dal prossimo due settembre per il Misikfest del Berlinerfestspiele) per la direzione di Sir. John Eliot Gardiner. Insomma, un ritorno alle origini che piace e coinvolge. In vista, in particolare, di un mondo dell’arte così complesso, come questo, intento a percorrere sempre nuove frontiere perché forse stanco, troppo in fretta, di quelle già percorse. Ma vien spontaneo chiedersi…saranno quelle giuste?