Antonio Vivaldi (1678 – 1741). “Farnace” (versione di Ferrara, 1741)

Dramma per musica in tre atti su libretto di Antonio Maria Lucchini, versione di Ferrara del 1739 nell’edizione critica di Bernardo Ticci (marzo 2013), BTE Bernardo Ticci Edizioni 2013. Mary-Ellen Nesi (Farnace), Delphine Galou (Berenice), Sonia Prina (Tamiri), Loriana Castellano (Selinda), Emanuele D’Aguanno (Pompeo), Roberta Mameli (Gilade), Magnus Staveland (Aquilio), Dario Shikhmiri (Coro). Orchestra del Maggio Musicale fiorentino, Federico Maria Sardelli (direttore), Marco Gandini (regia), Italo Grassi (scene), Italo Grassi e Simona Morresi (costumi). Registrazione 80° edizione del Maggio Musicale Fiorentino, 29-30 maggio 2013. 1 DVD Dynamic 37670

 

L’idea di allestire il “Farnace” di Vivaldi non nella versione canonica del 1727 ma proponendo in prima assoluta la purtroppo mutila edizione ferrarese del 1739 rientra pienamente nella tradizione del Maggio Musicale Fiorentino, da sempre attento alle possibilità di fornire proposte culturalmente stimolanti. E sicuramente tale si presentava questa produzione andata in scena per l’edizione del 2013 che recuperava un progetto vivaldiano che mai aveva avuto la possibilità di vedere la luce. Prevista per la stagione di Carnevale del 1738 l’opera aveva già subito vissuto particolari vicissitudini dovute all’impossibilità per Vivaldi di raggiungere Ferrara per l’opposizione delle autorità ecclesiastiche cittadine; una traccia di queste particolari condizioni si ritrova nella stessa partitura, così insolitamente ricca di dettagli rispetto all’abituale essenzialità delle composizioni dell’autore spiegabile alla luce della necessità di rendere più chiara possibile in sua assenza la composizione agli esecutori. Il fiasco – su cui è più che legittimo immaginare pressioni esterne visti i rapporti fra Vivaldi e le autorità cittadine – del “Siroe” andato in scena poco prima consigliò la cancellazione dal programma stagionale dell’opera da quel momento mai ripresa fino a questa produzione che segue scrupolosamente il testo predisposto da Vivaldi per l’occasione – almeno per i primi due atti conservati – introducendo solo la celeberrima “Gelido in ogni vena” tratta dalla versione del 1727 e posta a chiusura dello spettacolo, quasi brano a sé espunto dal contesto della vicenda.
Purtroppo le ottime intenzioni hanno dovuto scontrarsi con una realtà contingente molto meno propizia rappresentata da un momento di gravi difficoltà economiche dell’ente fiorentino che ha costretto a sacrificare la riuscita complessiva dello spettacolo soprattutto sul piano visivo.
La regia di Marco Gandini di fatto crea una soluzione semi-scenica con gli esecutori che cantano le loro arie davanti al leggio mentre recitano i propri ruoli durante i recitativi il tutto all’interno dell’impianto scenico di Italo Grassi composto quasi esclusivamente da scale e praticabili metallici ben poco attraenti  e solo arricchiti da qualche limitato arredo e da proiezioni nell’insieme assai banali; non migliori sono i costumi dello stesso Italo Grassi e di Simona Morresi che mischiano elementi cronologicamente stridenti in modo abbastanza casuale e non riescono a elevarsi da una sensazione di trascuratezza complessiva.
Fortunatamente le cose vanno molto meglio sul versante musicale: alla guida di una versione ridotta dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino Federico Maria Sardelli fornisce una lettura di perfetto equilibrio formale piegando strumentisti di formazione tradizionale al rispetto delle peculiarità dell’esecuzione barocca con una naturalezza e una qualità di risultato quasi sorprendenti. Fin dalla sinfonia si apprezzano il nitore e la ricchezza cromatica che Sardelli sa ottenere dagli strumentisti cui nel prosieguo dell’opera si aggiungono l’attenzione nell’accompagnamento dei cantanti e la cura con cui sono affrontati i recitativi.
Nella compagnia di canto prevale la componente femminile. L’elemento di maggior spicco è forse la Tamiri di Sonia Prima, autentica specialista di questo repertorio che domina con musicalità, tecnica e senso dello stile esemplari. Ai meriti della cantante si aggiungono quelli dell’interprete autorevole fraseggiatrice – si senta l’intensità emotiva dei recitativi – e attrice perfettamente credibile. L’altro elemento di forza della produzione è Roberta Mameli chiamata al cimento rappresentato dall’estesissima tessitura di Gilade che si sviluppa da un registro grave di pretto mezzosoprano fino ad acuti da autentico soprano e a cui è affidato un autentico brano di bravura come “Quell’usignolo che innamorato” in cui la voce evoca i trilli dell’uccello con un trattamento quasi strumentale; la Mameli riesce a risolvere con maestria tutte le difficoltà ottenendo alla fine della grande aria l’applauso forse più caloroso dello spettacolo. Molto brava anche Loriana Castellano come Selinda il cui timbro carezzevole e luminosamente femminile e il temperamento naturalmente lirico si adattano alla perfezione alla prigioniera principessa.
Nel ruolo del titolo Mary-Elle Nesi mostra musicalità, eleganza, senso stilistico ma la voce è limitata, in quanto si sente la mancanza di un maggior peso vocale nei recitativi così come di una maggior presenza nei passi più drammatici di cui non riesce a esprimere al meglio le possibilità mentre decisamente più a proprio agio appare nei momenti più lirici e dolenti che più si accordano con i suoi mezzi vocali e la sua sensibilità espressiva. Modesta la Berenice di Delphine Galou la cui voce presenta asprezze non particolarmente gradevoli e che manca spesso dell’autorità richiesta.
Nell’insieme meno convincente il versante maschile. Meglio il Pompeo di Emanuele D’Aguanno, bella voce di tenore lirico, schietta e luminosa, sicura e pulita nel canto di agilità ma che mancava ancora della piena maturità per affrontare un ruolo spesso impegnato nel settore medio grave con un canto di aulica retoricità non così congeniale al lirismo mozartiano del timbro di D’Aguanno che specie nei recitativi mostra una mancanza di corpo; decisamente più problematico l’Aquilio di Magnus Staveland, voce di scarsa avvenenza timbrica, decisamente troppo flebile specie nel registro medio grave e imprecisa e poco pulita nel canto di coloratura. Dario Shikhmiri completa il cast nel ruolo del coro affidato a un singolo cantante.