Gioachino Rossini (1792 – 1868): “Stabat Mater” (versione 1831/32)

“Stabat Mater” con sezioni di Giovanni Tadolini (orchestrazione di Antonino Fogliani),“Giovanna d’Arco” cantata per contralto e pianoforte (orchestrazione Marco Taralli). Majella Cullagh (soprano), Marianna Pizzolato (mezzosoprano), José Luis Sola (tenore), Mirco Palazzi (Basso). Camerata Bach Choir, Poznań, Tomasz Potkowski (direttore), Württemberg Philharmonic Orchestra, Antonino Fogliani (direttore). Registrazione: XXII Festival Rossini in Wildbad, Ev. Stadkirche, Bad Wildbad, 14-17 luglio 2011. 1 CD Naxos 8.573531 – 2016
La prima versione dello “Stabat Mater” rossiniano andata in scena nel 1833 era molto diversa da quella definitiva e normalmente eseguita; in quell’occasione Rossini limitò molto i propri interventi diretti affidando la composizione di oltre la metà dei numeri musicali previsti al compositore bolognese Giovanni Tadolini. Per quanto questa genesi sia sempre stata nota, non vi era mai stata occasione di ascoltare questa prima versione del lavoro non solo per il rispetto che il definitivo capolavoro rossiniano è sempre stato in grado di imporre ma anche perché dei brani di Tadolini si è persa la versione completa della partitura conservandosi solo quella ridotta per canto e pianoforte.
Una possibile risposta è venuta al riguardo dal festival rossiniano di Bad Wildbad del 2011 quanto si è affidata l’orchestrazione dei brani tadoliniani al direttore Antonino Fogliani che ne ha proposto una versione stilisticamente ed espressivamente corretta secondo i modi propri dell’epoca. Se, da una parte, è innegabile che l’ascolto di questa prima versione riveli tutti i limiti che saranno superati da Rossini nel suo rifacimento complessivo oltre a far emergere in modo fin troppo palese lo scarto qualitativo fra i due compositori, dall’altra resta però una preziosa testimonianza della vita musicale italiana di quegli anni e delle modalità operative di un’industria culturale molto più artigianalmente organizzata di quanto la mentalità post-romantica imbevuta del mito del genio creatore è portata a immaginare.
I brani di Tadolini hanno comunque una loro piacevolezza, in quanto la sua musica mostra un taglio ancora settecentesco tanto nel tipo di vocalità quanto nei moduli compositivi, per i quali Rossini procede teatralmente per blocchi espressivi di ampie proporzioni, mentre Tadolini si mostra più legato a un rapporto più stretto con i singoli versi intorno ai quali costruisce numeri strutturalmente più semplici e di dimensioni più contenute centrati sulla singola frase o poco più ampi.
Completa la registrazione la cantata “Giovanna d’Arco originariamente composta da Rossini per canto e pianoforte e orchestrata per l’occasione da Taralli che seguendo le suggestioni coloristiche già presenti nella scrittura pianistica rossiniana realizza un lavoro compiuto e preciso, che colpisce per la naturalezza con cui scrittura vocale e orchestrale si fondono fra di loro.
A dirigere la Württemberg Philharmonic Orchestra troviamo un frequentatore abituale di questo repertorio come Antonino Fogliani che tiene le fila dell’insieme magari non con particolare originalità e senza colpi d’ala ma con grande professionalità e senso dello stile
Il quartetto vocale è dominato da Marianna Pizzolato che non solo impone la sua classe superiore nello “Stabat Mater” ma domina la successiva cantata da assoluta protagonista. Splendida voce, tecnica solidissima – esemplare la facilità assoluta con cui sono sgranate le colorature di “Ah, la fiamma che t’esce dal guardo” – assoluta identificazione stilistica il cui risultato non può che essere una prova perfettamente riuscita da ogni punto di vista.
Altra elemento emergente del cast è Mirco Palazzi, giovane basso affermatosi a Pesaro come cantante rossiniano e in possesso di una tecnica e di un senso stilistico naturalmente adatti a questo repertorio. La voce è poi di bel colore e di buon volume e proiezione così che la pulizia quasi gregoriana del “Face ut ardeat” può emergere in tutta la sua essenziale drammaticità. José Luis Sola dispone di una voce tenorile di bella schiettezza e, privato del cimento di “Cujus animam”, fornisce un solido contributo alla riuscita d’insieme. Non appare al meglio  invece Majella Cullagh, soprano dall’importante carriera. Qui la voce si mostra qui piuttosto povera  di  smalto,  con evidenti durezze nel settore acuto che pesano sull’esito della sua prestazione, specie nella grande aria “Inflammatus et accensus” che appare piuttosto faticosa.