Opera di Firenze: le convenienze e inconvenienze teatrali

Opera di Firenze. Prima de LE CONVENIENZE E INCONVENIENZE TEATRALI

Opera di Firenze – Stagione 2016-2017
“LE CONVENIENZE E INCONVENIENZE TEATRALI”
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Domenico Gilardoni tratto da Le convenienze teatrali e Le inconvenienze teatrali di Antonio Simone Sografi
Musica di Gaetano Donizetti
Nuovo allestimento in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze
Daria Garbinati ELEONORA BELLOCCI
Procolo Cornacchia WILLIAM HERNANDEZ
Luigia Castragatti MYUNG-SAN KO
Agata Castragatti FILIPPO MORACE
Pipetto Frescopane CECILIA BAGATIN
Guglielmo Hollemand ANTONIO ALCAIDE GARÈS
Biscroma Strappaviscere DIELLI HOXHA
Cesare Salzapariglia OMAR CEPPAROLLI
Impresario FRANCESCO SAMUELE VENUTI
Direttore di palcoscenico SANDRO DEGL’INNOCENTI
Orchestra e Coro “Luigi Cherubini” di Firenze
Direttore Paolo Ponziano Ciardi
Maestro del coro Francesco Rizzi
Regia Francesco Torrigiani
Scene Gabriele Vanzini
Costumi Lisa Rufini
Luci Alessandro Tutini

Firenze, 28 febbraio 2017

Lo scorso 28 febbraio era martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale abitualmente consacrato ai festeggiamenti più chiassosi e allegri prima del rientro nei ranghi della Quaresima, e al Teatro dell’Opera di Firenze tutto era stato preparato per ridere e scherzare con il pubblico, offrendo una serata di leggerezza e di divertimento. Il personale del Teatro stemperava la consueta professionalità indossando baffi posticci, parrucche dai colori impossibili, maschere più o meno elaborate; non a caso, la scelta del titolo da rappresentare è caduta su una delle opere dalla comicità più marcata e dirompente. “Le convenienze e inconvenienze teatrali” è infatti un dramma giocoso il cui sapiente libretto offre alla penna del musicista una situazione stramba, una gag, una caricatura dietro l’altra, che il giovane Donizetti raccoglie e colorisce con una vena pulsante e un piglio tutto ridanciano, senza le sfumature malinconiche e riflessive che caratterizzeranno i lavori, pur comici della maturità.
Lo spirito del Carnevale si integra alla perfezione con quello delle “Convenienze”, in quanto in questo lavoro l’Opera mette in scena se stessa, rivelando al pubblico, ingigantiti dalla parodia, i tic, le manie, le stranezze e le follie dell’ambiente del melodramma.
Una compagnia piuttosto scalcinata sta mettendo in scena nel Teatrino di Brozzi un’opera seria; durante le prove vengono fuori tutte le rivalità, i dispetti e le ripicche dei cantanti, ognuno interessato a difendere le proprie “convenienze”, ovvero le occasioni di mettersi in luce e primeggiare sugli altri, alimentando un ego che è perlopiù inversamente proporzionale alle doti artistiche; in più, a soffiare sul fuoco ci si mettono anche i familiari: il marito della prima donna e la mamma della seconda donna, cercando di realizzare, con esito esilarante, anche le loro velleitarie aspirazioni canore. Il poeta e il musicista fanno il possibile, tagliando e cucendo arie e scene sul momento, per venire incontro alle richieste e tenere insieme la compagnia, ma da un tale marasma non può che scaturire il fallimento dell’impresa e la fuga alla spicciolata per non pagare le penali previste.
L’opera, nata coma farsa in un atto, con dialoghi parlati, poi rielaborata nella versione interamente cantata in due atti che è stata proposta in questa occasione, tolti due o tre brevi momenti di raccordo drammaturgicamente e musicalmente più deboli, è una girandola di musica fresca e ispirata, di situazioni divertenti, di sorprese buffe dalla prima all’ultima scena.
Ovviamente la messa in atto delle potenzialità comiche contenute nel testo sta in gran parte alla fantasia del regista e alla bravura degli interpreti nel cogliere e amplificare spunti e possibilità.

Questa produzione, nata appositamente per questa occasione, pensata per far confrontare con il grande pubblico i giovani allievi, cantanti e strumentisti, del Conservatorio cittadino, ha il pregio di una notevole leggerezza – anche nel suo essere poco strutturata e low cost – e freschezza nel percorrere senza complessi le varie strade della comicità, alta, bassa, demenziale, infantile, evitando sempre la volgarità, ma senza piccarsi di essere raffinata a tutti i costi.
I costumi di Lisa Rufini – unico elemento dal quale si può dedurre che l’azione ha luogo negli anni ’70 – sono belli, fantasiosi e divertenti; le scene di Gabriele Vanzini sono essenziali, fatte di pochissimi elementi, ma funzionali ed efficaci, mostrano il palcoscenico, sul quale si svolge tutta l’azione, da dietro, verso la platea nel primo atto, da davanti, come siamo abituati a vederlo, nel secondo.
La regia di Francesco Torrigiani, sia nei momenti solistici, che nel calcolato caos delle scene di insieme, è puntuale, analitica; gli interpreti, tutti bravi scenicamente, non vengono abbandonati un attimo, ogni gesto è meditato e rifinito per ottenere una differenziazione e una caratterizzazione dei personaggi accurata e opportunamente carica, eccessiva, particolarmente efficace nel caso di Mamma Agata, di Procolo e del tenore tedesco. La trasposizione temporale ha principalmente valore estetico o se vogliamo icònico – sono immagini di un passato vicino, che tutti noi abbiamo vissuto o visto cristallizzato nelle foto di famiglia – è efficace, in quanto condotta con coerenza, identifica bene certi tipi caratterizzati da una bizarria un po’ circense, marcatamente felliniana, gli uomini con la loro brillantina, i basettoni, il borsello, le donne con zatteroni esagerati e trucco altrettanto eccessivo, che quarant’anni fa circolavano normalmente e oggi ci fanno ridere; dobbiamo però sorvolare sul fatto che la prassi teatrale presentata nell’opera è proprio quella in voga nei primi decenni dell’Ottocento, ai tempi della composizione – una compagnia formata da un impresario che rischia i suoi soldi, il compositore e il librettista presenti alle prove per aggiustare l’opera su richiesta dei cantanti, tra i quali c’è addirittura un castrato – e non certo quella degli anni ’70.
Il cast che ha dato vita al meccanismo comico, scatenando più volte in sala le risate del pubblico, è interamente formato da allievi del Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze, all’infuori del solo Filippo Morace, unico cantante celebre, bass-bariton prevalentemente buffo da anni in carriera, che ha portato in scena una strepitosa Mamma Agata.
Ugualmente formati da allievi del Conservatorio sono l’Orchestra diretta da Paolo Ponziano Ciardi e il Coro diretto da Francesco Rizzi.
Nei panni della prima donna Daria Garbinati, il soprano Eleonora Bellocci, già nota al pubblico fiorentino come importante promessa, ha dato conferma delle sue belle qualità vocali e interpretative: ha uno strumento interessante, non grandissimo ma pieno e levigato, dalla proiezione efficace, è abile nel canto di agilità, anche quella piuttosto elaborata del da capo della sua prima aria; è attrice spigliata, dalla presenza scenica incisiva.
Il cast maschile è dominato da William Hernandez, interprete di Procolo, marito della prima donna, che mette in evidenza uno strumento rotondo e sonoro, di medio peso, sorretto da un’ottima emissione, facile e spontanea; nonostante la piccola statura e la corporatura minuta ha il carisma che ci vuole per dominare la scena, grazie alla proprietà della recitazione e a una maschera teatrale di grande simpatia.
Presenza molto brillante e simpatica è anche quella di Antonio Alcaide Garès, nei panni del tenore tedesco, vocalmente ottimo in una parte che si basa proprio sulla parodia della vocalità tenorile e dei suoi topoi, cadenze libere, sopracuti, salti d’ottava, eseguiti, nella fattispecie, da un tenore di terza categoria, al quale non proprio tutte le ciambelle riescono col buco; il giovane cantante spagnolo offre una prova complessivamente molto godibile e divertente, anche grazie alla bravura scenica e a costumi particolarmente caratterizzati.
Nella sua unica aria si mette in bella evidenza Myung-San Ko, interprete della seconda donna, capace di disimpegnarsi con onore in un pezzo decisamente virtuosistico, ulteriormente arricchito dal da capo variato.
Nelle poche frasi del musico Pipetto Frescopane, esibisce un timbro contraltile interessante Cecilia Bagatin.
Dielli Hoxha nell’ampio e articolato ruolo del compositore e Omar Cepparolli in quello del poeta, sono pari al compito per padronanza scenica e musicalità, con vocalità ancora in formazione o perfezionamento.
Una menzione meritano anche i bravi Francesco Samuele Venuti, Impresario e Sandro degl’Innocenti, Direttore di palcoscenico.

Resta Filippo Morace, interprete del personaggio più importante, più comico e strampalato, quello che maggiormente si imprime nella memoria, se interpretato da un artista all’altezza.

Morace è vocalmente solido, imperturbabile e percorre per intero la parte nella massima tranquillità e souplesse, esibendo tra l’altro un bellissimo falsetto, proiettato e sonoro, con il quale risolve alcuni passaggi divertenti, ma soprattutto è un attore di classe.
Non solo è napoletano di nascita, cosa che non sarebbe di per sé un merito, ma è un grande attore napoletano, che nella sua resa scenica di Mamma Agata compendia con gusto e misura una gloriosa tradizione teatrale di popolane, aspiranti sciantose, vaiasse e finte dame, raccogliendo, consapevolmente o per naturale affinità, l’eredità di artiste indimenticabili come Tina Pica, Dolores Palumbo, Concetta Barra, senza trascurare il teatro napoletano en travesti, dalle geniali caratterizzazioni femminili di Totò, a Peppe Barra, a Leopoldo Mastelloni.
Insomma la sua Mamma è un puro spasso, manifestamente apprezzato dal pubblico, con risate e applausi, a scena aperta e in fine d’atto.
Paolo Ponziano Ciardi guida con sicurezza una compagine valorosa che si fa apprezzare per levigatezza di suono, trasparenza, compattezza e precisione, intaccata solo da occasionali e veniali scollamenti con la scena in occasione di qualche stringendo nelle scene più concitate. Tra i tanti bravi strumentisti merita un plauso Edoardo Baldini che con il suo trombone, dal timbro confacente alla stazza e alla ‘leggiadria’ di Mamma Agata, ne accompagna gli arabeschi canori nel finale dell’aria “Assisa a piè d’un sacco”, sostituendosi all’etereo flauto nella cadenza virtuosistica presa a prestito dalla pazzia di Lucia (di Lammermoor).
Del medesimo alto livello è la prestazione del coro del Conservatorio diretto da Francesco Rizzi.
L’apprezzamento del pubblico non manca, gli applausi sono calorosi e abbondanti per tutti; Filippo Morace fa il pieno, ma i giovani solisti, il direttore, il direttore del coro e il regista sono abbondantemente festeggiati e gratificati.