Milano, Teatro alla Scala: “Die Entführung aus dem Serail”

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e di Balletto 2016/2017
“DIE ENTFÜHRUNG AUS DEM SERAIL”
Singspiel in tre atti K 384. Libretto di Christoph Friedrich Bretzner rielaborato da Johann Gottlieb il giovane
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Selim CORNELIUS OBONYA
Konstanze LENNEKE RUITEN
Blonde SABINE DEVIEILHE
Belmonte MAURO PETER
Pedrillo MAXIMILIAN SCHMITT
Osmin TOBIAS KEHRER
Un servo muto MARCO MERLINI
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Zubin Mehta
Maestro del Coro Bruno Casoni
Regia Giorgio Strehler, ripresa da Mattia Testi
Scene e costumi Luciano Damiani, ripresi da Carla Ceravolo e Sybille Ulsamer
Luci Marco Filibeck
“In occasione dei 20 anni dalla scomparsa di Giorgio Strehler e in occasione dei 10 anni dalla scomparsa di Luciano Damiani”
Produzione del Teatro alla Scala
Milano, 19 giugno 2017
Torna in scena alla Scala l’amatissimo Die Entführung aus dem Serail firmato Strehler / Damiani, in occasione dei vent’anni dalla scomparsa del regista e dieci dalla scomparsa dello scenografo. Concepito inizialmente per Salisburgo, debuttando sul palco ben più ridotto del Kleines Festpielehaus nel 1965, si ripropone nuovamente alla Scala – con regia ripresa da Mattia Testi e scene riprese da Carla Ceravolo – uno di quei pochi spettacoli che davvero hanno fatto la storia mantenendo un immutato successo a distanza di decenni, nella sua pioneristica essenzialità e autentica potenza teatrale. La scena è estremamente minimale e ad essa ci introduce durante l’ouverture un sipario di tessuti dorati che ci accompagnano con delicatezza e misura all’interno del contesto esotico in cui si svolge la vicenda. Un boccascena più ridotto rispetto al boccascena del Teatro esprime immediatamente la concezione metateatrale dello spettacolo, stagliandosi su un “grande cielo immenso” che partendo dalla linea d’orizzonte sfuma dal bianco a un celeste tenue e domina il palco e, nella sua vastità, diventa metafora di quella tensione verso la libertà che anima i protagonisti. Con due soli sipari mobili e una pedana inclinata, la luce elemento centrale della messinscena, quella luce come strumento di regia essenziale nella visione di Strehler. Peculiarità di questo Ratto è infatti l’intelligente dicotomia netta del bianco e del nero, della luce e dell’ombra: i personaggi, quando impegnati nelle parti recitate del Singspiel, sono in luce (nello scolpirsi morbido degli eleganti costumi ripresi da Sybille Ulsamer) e le arie sono invece cantate in proscenio, totalmente in ombra, andando a delineare suggestive silhouettes che si stagliano sullo sfondo abbagliante, dai contorni così nitidi da sembrare figurini ritagliati nella carta. Ogni gesto è studiato nel dettaglio, soprattutto in queste parentesi di controluce, restituendo un’atmosfera di elegante astrazione che non smette di suggestionare anche lo spettatore di oggi.
A un allestimento che non teme il passare del tempo e continua ad emozionare si accompagna la scelta vincente di riproporre Zubin Mehta sul podio, che diresse, appena ventinovenne, la Prima salisburghese. Una concertazione impeccabile, la sua, che tende ad enfatizzare le sfumature delicate, morbide e soavi della partitura (quelle stesse atmosfere restituite anche a livello visivo in scena), guidando un’Orchestra del Teatro alla Scala in splendida forma in un’interpretazione fortemente sensuale e trascinante. All’austera soavità della resa complessiva non viene sacrificata la varietà dinamica, con una lettura sempre varia e coinvolgente dalla scelta dei tempi alla modulazione dei colori: pensiamo – a titolo d’esempio – alla delicatezza dell’entrata di Belmonte, alla freschezza dorata dell’introduzione a “Martern aller Arten”, alla resa suggestiva, armoniosa e fluida del quartetto che chiude il secondo atto.
A siglare il successo indiscusso di questo Ratto è sicuramente anche la scelta di un cast di prim’ordine, con vette di eccellenza raggiunte in particolare dai due soprani. Lenneke Ruiten impressiona nell’impervio ruolo di Konstanze per musicalità ed eleganza scenico-interpretativa. Il soprano olandese affronta con tecnica salda ed estrema naturalezza anche le più spericolate volate nel registro sovracuto richieste dall’impegnativa scrittura delle sue arie. Commovente, malinconica e nostalgica in “Ach, ich liebte” e “Traurigkeit”, straordinaria nell’eseguire con sicurezza e gusto musicale un “Martern aller arten” eccezionalmente cantato in proscenio con luci soffuse accese in sala, quasi in forma di recital. Sabine Devieilhe non è da meno, forte di una freschezza vocale rara e una disinvoltura scenica espressa nelle movenze con la grazia di una danzatrice. Maliziosa e divertente in particolare nei siparietti con Osmin, il soprano convince pienamente anche dal punto di vista musicale. Memorabile, ad esempio, il suo ingresso con gli interminabili filati di “Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln” e brillante nell’incalzante “Welche Wonne, welche Lust”. Buona la prova anche il comparto maschile, a partire dal Belmonte di Mauro Peter, che sfoggia timbro gradevole ed emissione sempre omogenea. Nobile nella linea di canto e nel gesto, convince sin dalla prima aria “Hier soll ich dich denn sehen” intrisa di quel coinvolgente trasporto malinconico dell’innamorato a lungo separato dalla sua bella. Ottimo anche il Pedrillo di Maximilian Schmitt, solare e disinvolto in scena nonché dotato di timbro virile e sempre ben proiettato. Meno a fuoco musicalmente Tobias Kehrer negli imponenti panni di Osmin, che mostra qualche insicurezza nelle zone più alte della tessitura, ben compensando comunque con una gustosa presenza scenica. L’attore Cornelius Obonya caratterizza efficacemente il clemente Selim con un declamato nobile incrinato da impeti d’ira che subentrano di tanto in tanto come fulmini a ciel sereno. Divertente il servo muto di Marco Merlini. Sempre eccellente, infine, la prova del coro di giannizzeri guidato da Bruno Casoni. Al calare del sipario il pubblico tributa con convinti applausi e ovazioni per il Maestro Mehta, siglando ancora una volta un successo indelebile che non dà cenno di dissolversi nel tempo.