Le stampe Amadino e le “correzioni di Monteverdi” (parte terza)

Dai ‘doppi finali’ alle edizioni anastatiche.Alcune considerazioni in merito alla tradizione de L’Orfeo
( parte terza)
Il principale problema nel lavoro svolto dalla maggior parte dagli editori de L’Orfeo è che essi, come abbiamo visto, una volta scelto (inconsciamente) di procedere esclusivamente sul ramo della tradizione attestato dalle Amadino, optino per la realizzazione di edizioni best text (da testimone unico, quindi) reputando di volta in volta migliore Amadino 1609 in quanto più antica e quindi più vicina all’autore (come se il concetto di recentiores non deteriores non fosse mai stato discusso in filologia) o Amadino 1615 in quanto portatrice – secondo un diffuso preconcetto – di un testo migliore rispetto a 1609 in forza di presunti eventi correttorii per mano di Monteverdi. A tale proposito basti leggere, per comprendere quanto questo vulnus metodologico si sia diffuso anche ad alto livello, il seguente passo di Wolfgang Osthoff che, parlando di problematiche relative all’uso delle chiavi antiche nelle stampe del Divin Claudio, descrive la situazione de L’Orfeo in questo modo:
Diviene ora regola che le parti strumentali alte si notino in chiave di Violino, mentre
le parti vocali, naturalmente, conservano le chiavi antiche. Uno stadio di transizione
è offerto in un caso dall’Orfeo. Abbiamo riprodotto, come figura IVa, la pagina 11
dalla partitura della seconda edizione dell’anno 1615. Confrontandola colla prima
edizione del 1609 notiamo che la parte strumentale più alta, nel Ritornello, cambia
la chiave di Do, usata per il precedente canto, nella chiave di Violino. Nella edizione
del 1609 invece, questa parte più alta serba, anche nel Ritornello, la chiave di Do.
Monteverdi, con questa parte più alta nella seconda edizione, ha fatto un passo in
direzione di quella conseguente differenziazione fra notazione per voci e notazione
per strumenti, la quale diviene regola di più in più.25

Monteverdi ha dunque scelto quale chiave usare per notare una parte strumentale nella realizzazione di Amadino 1615? Se avesse preso parte al lavoro di produzione della stessa sicuramente avrebbe anche potuto farlo, ma va anzitutto dimostrato un suo interesse nella vicenda. Non sono note fonti che attestino un tale stato di cose: nessuna lettera, nessuno storico che citi il fatto, nessun contratto, nulla. In secondo luogo Amadino 1615 è palesemente figlia di una operazione di speculazione meramente commerciale dovuta alla inattesa richiesta sul mercato di copie di Amadino 1609: il prodotto vende bene, in sostanza, e lo stampatore sceglie (stavolta a sue spese, non essendo più presente in frontespizio il nome del principe mecenate) di provvedere a una ristampa (graficamente, secondo alcuni, inferiore).26 Pare un’ovvietà: ma in un’epoca in cui il concetto di diritto d’autore e proprietà intellettuale è ben lungi da venire, perché scomodare un compositore per ripubblicare una partitura che – tutto sommato – non presenta una esagerata mole di refusi? E poi, se anche così fosse, l’intervento di Monteverdi avrebbe quantomeno potuto sanare una serie di errori, se non dare lezioni varianti rispetto a Amadino 1609: la collazione sistematica delle due stampe, invece, dà come risultato poche e ineluttabili certezze, che non marciano a favore del coinvolgimento del Cremonese nella faccenda.
1.
Amadino 1609 è stemmaticamente padre di Amadino 1615: ciò è dimostrato anzitutto dalla presenza di errori congiuntivi, e dall’aggiunta di ulteriori rispetto a quelli appena citati (il che non esclude l’avvenuta correzione di altri, presenti in 1609 e non in 1615). In secondo luogo vi è da notare come l’impaginazione data alla musica in Amadino 1615 ricalchi sino a livelli maniacali quella di Amadino 1609, fatto evidentemente dovuto alla praticità di avere già un modello visivo a stampa (1609, appunto) che può essere stato corretto da un terzo e copiato in poco tempo (anche suddividendo il lavoro tra più individui operanti contemporaneamente su i singoli fascicoli di un esemplare della prima edizione, su modello del meccanismo della pecia) lasciando il proprietario della stamperia sicuro del buon risultato;
2. Le lezioni di Amadino 1615 non sono affatto migliori di quelle di Amadino 1609, e, si noti bene, viceversa: errori marchiani di Amadino 1609 vengono corretti, ma se ne aggiungono di nuovi, mentre alcuni sopravvivono intonsi.
Concludendo, risulta assai difficile ipotizzare che Monteverdi possaConcludendo, risulta assai difficile ipotizzare che Monteverdi possa aver supervisionato la seconda andata in stampa de L’Orfeo, anzitutto perché a questa altezza cronologica non era affatto uso richiamare gli autori per le ristampe delle loro opere (fatte le dovute eccezioni); quella, poi, che un musicista di tal fatta fosse conscio di tutti gli errori sopravvissuti e, quantomeno, puntasse a migliorare la qualità generale del proprio lavoro, resta – a livello scientifico – solo una speranza, non un fatto dimostrabile. Di certo vi è da sottolineare e accettare una reale dicotomia nella realtà produttiva di Amadino 1615, determinata dal fatto che essa risulti dinamica solo a livello correttorio superficiale e di aggiunta di nuovi errori, mentre appare al tutto statica proprio nel mantenimento di quelle lezioni erronee che solo Monteverdi avrebbe potuto individuare e, quindi, correggere.
( fine parte terza )
Per gentile concessione di Philomusica on-line
25
Osthoff (1962).
26 La bassa qualità tipografica di Amadino 1615 è di fatto segnalata da Burney: «The work is so illprinted, that some sagacity is necessary to discover the errors of the press from those of the composer», Burney (1957), p. 519. Whenham la definisce: «Well merited censored». Non riesco tuttavia a concordare appieno poiché ciò che maggiormente colpisce del primo impatto visivo con Amadino 1615, rispetto alla stampa antecedente, è il tentativo di facilitare la lettura inserendo, ad esempio, graffe per identificare i sistemi e utilizzando la chiave di violino per le parti del flautino alla vigesima seconda, di modo da evitare l’uso esasperato di tratti aggiuntivi per le note più acute, come invece accadeva in Amadino 1609. Che una tale scelta, poi, comporti – a causa della distrazione dei tipografi – una serie di errori di diastemazia all’atto della copia, è altra questione