The voice of Elena Souliotis (1943-2004)

Giuseppe Verdi: “Ben io t’invenni” (Nabucco), “Vieni t’affretta” (Macbeth), “Tu puniscimi, o Signore” (Luisa Miller), “Ecco l’orrido campo”, “Morrò, ma prima in grazia”, “Pace, pace, mio Dio” (La forza del destino); Gaetano Donizetti: “Piangete voi” (Anna Bolena); Pietro Mascagni: “Voi lo sapete o mamma” (Cavalleria rusticana); Amilcare Ponchielli:”Suicidio! (La Gioconda). Elena Souliotis (soprano), Giovanni Foiani (basso), Anna di Stasio (mezzosprano). Orchestra e Coro della Staatsoper di Vienna, Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma. Lamberto Gardelli, Olivero de Fabritiis, Silvio Varviso (direttori). Registrazioni: 1965 / 1966. T.Time: 74.57. 1 CD Decca 480 5369

Fra le tante meteore che hanno brillante per un solo istante nell’universo della lirica Elena Souliotis è stata fra le più luminose. Dotata di mezzi vocali di assoluta rilevanza e stata però travolta da un temperamento eccessivo che l’ha spinta troppo e troppo presto verso un repertorio drammatico improprio per la sua voce – che drammatica era ma nel senso belcantista del termine, non in quello tardo verdiano e verista – che le ha accorciato la carriera in modo esponenziale.
Queste registrazioni ripubblicate per la Decca risalgano agli anni 1966-1967 quanto i mezzi erano ancora notevoli pur palesandosi già evidenti le crepe che in breve l’avrebbero travolta.
La grande scena di Abigaille è tratta dalla registrazione integrale realizzata in studio con i complessi dell’Opera di Stato di Vienna diretti da Lamberto Gardelli. Il recitativo iniziale è impressionante per forza e nitore – e Gardelli l’accompagna con uguale vigoria – la voce è solida, piena, timbratissima ma il canto lascia in sentore di un controllo mai completo che si palesa nei suoni fissi e metallici che cominciano a incrinare la linea mentre il canto tende a essere fin troppo omogeneo in una dinamica fin troppo limitata anche per un personaggio in fondo monocorde come Abigaille. Riflessioni simili per Lady Macbeth in cui il temperamento e la personalità suppliscono solo in parte alle lacune sempre palesi anche se in questa registrazione – con Oliviero De Fabritiis sul podio e i complessi dell’Opera di Roma – lo stato vocale era ancora decisamente migliore rispetto all’integrale di pochi anni dopo.
In “Luisa Miller” la Suliotis fa finalmente sentire la vera voce del ruolo, troppo spesso oggetto di compromessi per l’ambigua natura del ruolo. La Souliotis avrebbe avuto la pienezza del timbro, il temperamento drammatico e al contento la natura belcantista per essere la Luisa perfetta, qui già non lo è più per i limiti di appoggio e controllo però nell’insieme il risultato raggiunto è ancora ammirevole.
Nelle arie da “Un ballo in maschera” – meglio la più drammatica “Ecco l’orrido campo più adatta al suo rovente temperamento di “Morrò ma prima in grazia” – e da “La forza del destino” lo slancio magari un po’ scomposta ma impetuoso che salvava Abigaille o Lady Macbeth non può soccorrerla e con maggior chiarezza traspare il contrasto fra la qualità vocale naturale e una tecnica mai totalmente centrata, con un appoggio sul fiato sempre problematico e con l’emergere di durezze metalliche che qui comprometto maggiormente la linea di canto tanto più che il maggior impegno nel settore grave la costringe spesso a suoni forzati e caricati di petto.
Passando da Verdi a Donizetti la situazione rimane simile, la grande scena conclusiva di “Anna Bolena – integralmente eseguita – alterna passaggi splendidi ad altri che danno l’impressione di trascuratezza, di non curanza, di mancanza di precisione. Così che l’impressione resta ondivaga ma rimane un senso di inconcludenza, il sentore che alla fine manchi qualche cosa per convincere a pieno nonostante la bellezza timbrica e l’importanza della voce.
Con “Cavalleria rusticana le tessere di quello strano mosaico che era la voce della Souliotis tendono a combaciare meglio. Qui qualche durezza, qualche eterodossia tecnica tendono a pesare meno e la bellezza di una voce luminosa e femminile e la pulizia di una linea avvezza più al belcanto che agli eccessi veristi ci trasmettono una Santuzza per una volta giustamente giovane e femminile, una ragazza delusa e amareggiata e non un orco in cerca di vendetta.
Suicidio” da “La Gioconda è una sorta di epigrafe del programma e dell’intera carriera della Souliotis, un ruolo lontanissimo per una voce come la sua ma affrontato – e risolto in modo anche convincente – in virtù di uno slancio e di un temperamento che non avevano forse eguali, solo che per superare l’impervia parete – e molte altre simili in quei forsennati anni di carriera – la voce si comprometteva ogni giorno stroncando in pochi anni una cantante che avrebbe potuto essere di rilevanza storica e dietro l’ammirevole slancio con cui affronta qui il cimento non si può non vedere che si schiudeva ai suoi piedi.