James Conlon inaugura la stagione dell’OSN RAI a Torino con Brahms

Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, Stagione 2017-2018
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore James Conlon
Johannes Brahms: Sinfonia n. 3 in fa maggiore op. 90; Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
Torino, 21 ottobre 2017

La strada dell’ineluttabile è percorribile con una certa indifferenza? Per il filosofo e per l’artista perfetto certamente sì, a condizione che il viaggio interiore non debba sempre tradursi in cronaca dettagliata o nell’accompagnamento di altri lungo la stessa via. Per il direttore d’orchestra impegnato nel repertorio ottocentesco si tratta invece di un compito quasi impossibile; al di là del dominio di un insieme di tecniche egli deve infatti dimostrare anche un’altra capacità, quella di rendere partecipi gli ascoltatori del dramma e del dolore che sempre promanano dalla musica del XIX secolo. L’indifferenza non è ammissibile, specialmente quando sono in programma le sinfonie di Johannes Brahms, con cui si inaugura a Torino la nuova stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. James Conlon, che dell’OSN è il direttore principale esattamente da un anno, non è mai indifferente alla partitura che conduce; purtroppo, però, gli si può imputare un atteggiamento quasi altrettanto pericoloso, che è la noncuranza. Detto altrimenti: il gesto e la forza applicati a quel repertorio del Novecento caratterizzato soprattutto da eversione, rivoluzione, avanguardia rispetto al passato non sono facilmente applicabili anche all’arte romantica e ai complicati sviluppi della seconda metà dell’Ottocento. Noncuranza in questo caso non significa né ignoranza né disprezzo, ma posizione prioritaria dell’espressività rispetto ai valori stilistici e alla congruità retorica con cui riproporre un’epoca e un autore. La noncuranza di Conlon a volte si percepisce a partire dalla gestualità direttoriale, sempre vigorosa, imperativa, priva di dubbi o incertezze. Ma se esiste un compositore che non nasconde nel discorso sinfonico tutte le proprie insicurezze e tutte le pulsioni più profonde del suo animo, quello è certamente Johannes Brahms.
Il programma torinese accosta III e I Sinfonia, in ordine anticronologico, forse per offrire alla conclusione della serata un finale reboante ed esplosivo, che la III non ha. Conlon persegue comunque un respiro grandioso attraverso la contrapposizione dei volumi e delle sezioni (archi vs. fiati) più che degli elementi interni alla sintassi. L’esito è complessivamente pregevole per quanto riguarda gli assoli, grazie all’indubbia preparazione e duttilità dell’orchestra, ma deficitario nell’espressione polifonica della partitura: in particolare nella III Sinfonia le frasi cantabili sono prive di allure, carenti di accento e soprattutto di quel languore tardo romantico così tipico di Brahms. Nel celebre Poco allegretto emerge l’intarsio degli archi, anche se l’enunciazione dei temi dovrebbe essere più trattenuta; tra i blocchi che costituiscono il movimento si percepiscono sempre come delle suture irrisolte. L’Allegro conclusivo è il meglio riuscito, con un suono variegato e increspato, bene accentuato. Il piglio aggressivo, del tutto inadatto ad affrontare la III, si rivela più adeguato sin dall’incipit della I Sinfonia, scandito dal solenne ritmo del timpano. A parte qualche effetto un po’ triviale in certi accordi eccessivamente prolungati e strascicati, domina nell’Allegro iniziale una tensione drammatica convincente. Nell’Andante sostenuto, invece, non si raggiunge mai quella dolcezza raccolta che dovrebbe costituirne il cuore misterioso. Con l’introduzione del corale beethoveniano nell’articolato movimento conclusivo lo slancio cresce, in parallelo a un buon esercizio del legato; i colori restano però limitati, anche perché Conlon sembra avere fretta di giungere alla coda, esposta in modo un po’ convulso. Nel finale di I e IV Sinfonia il compositore ripropone la stessa scena: un gigante incatenato lotta disperatamente per liberarsi dalla sua prigione e raggiungere la vera libertà; è il compositore stesso che tenta di affrancarsi dalle luminose code beethoveniane, per proporre un modello di conquista più sofferta e meno trionfale. Conlon resta lontano dalla lettura epica; con la noncuranza retorica di cui si è detto, egli sembra preferire l’effetto sonoro della vittoria della velocità sui ritmi che si sono susseguiti in precedenza. L’esito è comunque molto apprezzato dal pubblico torinese, che saluta con prolungati applausi il direttore e la sua orchestra; come scriveva compiaciuto il Dino Buzzati della Notizia (all’interno dei Sessanta racconti), i finali brahmsiani soggiogano l’uditorio in qualsivoglia circostanza, evocando un’atmosfera di tripudio e di bandiere sventolanti.   Foto © OSN RAI