Modena, Teatro Comunale: “La fanciulla del West”

Modena, Teatro Pavarotti, Stagione lirica 2017-18
LA FANCIULLA DEL WEST”
Opera in tre atti su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, dal dramma “The Girl of the Golden West” di David Belasco.
Musica di Giacomo Puccini
Minnie AMARILLI NIZZA
Jack Rance ENRICO MARRUCCI
Dick Johnson ENRIQUE FERRER
Nick GIANLUCA BOCCHINO
Ashby ALESSANDRO ABIS
Sonora GIOVANNI  GUAGLIARDO
Trin ANDREA SCHIFAUDO
Sid PEDRO CARRILLO
Bello ALESSIO VERNA
Harry MARCO VOLERI
Joe TIZIANO BARONTINI
Happy GIUSEPPE ESPOSITO
Larkens / Billy Jackrabbit FEDERICO CAVARZAN
Wowkle SABINA CACIOPPO
Jake Wallace CARLO DI CRISTOFORO
Josè Castro RICARDO CRAMPTON
Un postiglione AANTONIO DELLA SANTA
Orchestra della Toscana
Coro del Festival Puccini
Direttore James Meena
Maestro del coro Elena Pierini
Regia, scene, costumi, proiezioni Ivan Stefanutti
Luci e video 
Michael Baumgarten
Progetto luci 
Marco Minghetti
Nuovo allestimento Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Lirico di Cagliari
Opera Carolina, New York City Opera
Coproduzione Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Verdi di Pisa, Teatro Alighieri di Ravenna
Fondazione Teatro Comunale di Modena, Teatro Goldoni di Livorno
Modena, 25 febbraio 2018
Opera difficile, questa “Fanciulla del West”, per chi si proponga di metterla in scena, più che per il pubblico. E questa produzione italo-americana, che la trascorsa settimana (22-25 febbraio) ha fatto tappa al Pavarotti di Modena, non sfata certo questa leggenda: il pubblico scivola facilmente tra le grinfie di Puccini, il suo mélo western dai rimandi esplicitamente cinematografici, senza farsi mancare la potenza dell’orchestra pucciniana (onnipresente, massiccia belva ben addomesticata da James Meena), rapisce lo spettatore con le solite furbizie maliarde del Maestro toscano. Finiamo comunque per canticchiare qualche aria, magari inconsciamente fondendola con “Butterfly” o “Turandot”, cui “Fanciulla” è inevitabilmente vicina, non solo cronologicamente. Il pubblico, dicevamo, si abbandona al puccinismo, ma la critica (o il pubblico meno naïf) tende l’orecchio e aguzza l’occhio. La regia di Ivan Stefanutti è discreta, pur concedendosi alcune ridicole libertà sparse (una su tutte: Johnson in scena sofferente nel secondo atto, riverso presso una sedia a dondolo, e Minnie che lo implora “Entrate! Entrate!”), inutili licenze che il libretto non perdona. Le sue scene – comprese di proiezioni e video – sono invece il tasto dolente: una scena francescana, dove un’unica struttura (terribilmente simile a un attrezzo da parco giochi per bambini), per di più piccola, domina un palco per lo più ingombro di sedie e tavoli, tutti in “legno” vivo – ché si sa, non v’è Klondike senza legnaccio ovunque, solo le perline a muro ci sono state risparmiate. Le proiezioni e i video, cui viene davvero delegato il ruolo di “scenografia”, a metà tra un documentario della Televisione della Svizzera Italiana e una gallery delle foto dell’ultima settimana bianca a Coira, si illuminano talvolta di lampi kitsch-simbolici di cui non sentivamo il bisogno (che azzardo, eh, proiettare carte giganti durante il finale del secondo atto!). I costumi, invece, a cura dello stesso regista, risultano gradevoli e intonati, forse solo si poteva evitare il montoncino décapé su Minnie nel terzo atto, più Milano-Paninara-Anni-Ottanta che RockyMountains-1850; abbiamo goduto dell’ultrapelliccia di Rance, vagamente camp, in pieno stile Sorelle Fendi di “Gruppo di Famiglia in un Interno”. Dal punto di vista musicale, spicca la già citata buona conduzione di Meena, energica e non compiaciuta, e la eccellente performance del coro maschile del Festival Puccini, potente, precisa (a parte qualche incertezza, ahinoi, proprio sul finale), coro che diventa forse il personaggio più apprezzato sul palco, dai molti colori e dalle più varie intensità (un plauso alla direttrice Elena Pierini). Terzo elemento positivo, e non da poco, è il Dick Johnson di Enrique Ferrer, ben sostenuto e interpretato, molto espressivo e diretto (e per questo gli si perdonano anche alcune sbavature, ma nulla di troppo grave): il cantante spagnolo rivela una voce tonda e virile di tenore, di quel tipo di tenori che non si sente da un po’. Teniamolo d’occhio. Purtroppo è difficile invece trovare qualcosa di buono nelle interpretazioni di Amarilli Nizza (Minnie) e Gianluca Bocchino (Nick): la prima, talvolta in ritardo, più spesso calante, voce inadatta al repertorio del secondo Puccini – col quale invece si incaponisce di confrontarsi -, che cerca di supplire certa scarsezza con volumi troppi alti e quasi fastidiosi, per lo meno nel primo atto; il secondo e il terzo atto la vedono più padrona di sé, ma il miglioramento è comunque limitato. Il Nick di Gianluca Bocchino è invece troppo debole, poco sostenuto, vocalmente manchevole: peccato, giacché il personaggio potrebbe essere interessante, una specie di vice-Minnie, un angelo custode per la sua padrona. Nonostante gli sforzi espressivi e recitativi del cantante, lo spessore del personaggio si stempera nell’inadeguatezza dell’interprete. Infine, se il Jack Rance di Enrico Marrucci non lascia il segno, vocalmente non eccelso, ma tutto sommato ben in sintonia con l’orchestra, e appena sufficiente anche dal punto di vista attorale, Giovanni Guagliardo spicca come Sonora, soprattutto nel terzo atto: baritono caldo ed emozionante, sorprende anche per precisione ritmica e forza vocale.Il resto del cast, formato da comprimari dignitosi, si piega con facilità ai giochi del regista, dimostrando vivacità scenica e, almeno qualcuno, anche un profilo vocale interessante (Alessandro Abis, Federico Cavarzan); certo giocano male le loro, già da libretto, esili carte Sabina Cacioppo (una dimenticabile Wowkle) e Carlo di Cristoforo, il cui ruolo di Jack Wallace, in altre produzioni e con altri interpreti, ha saputo lasciare un buon segno, ma non in questo caso. La sensazione di insieme è, insomma, quella di una produzione disomogenea, ma tutto sommato godibile, dominata da poche idee buone e diverse idee inefficaci, sostenuta dalle doti di attrice (quelle sì) della protagonista, da quelle musicali del coro e del tenore e da un’orchestra che non lascia un attimo di tregua allo spettatore. Foto Rolando Paolo Guerzoni