“Elias” di Mendelssohn all’Auditorio Nacional di Madrid

Madrid, Auditorio Nacional de Música, Temporada 2017-2018
Orquesta y Coro Nacionales de España
Direttore Masaaki Suzuki
Maestro del Coro Miguel Ángel García Cañamero
Soprano Rachel Nicholls
Mezzosoprano Anna Stéphany
Tenore James Gilchrist
Basso David Soar
Voce bianca José Antonio Martín
Felix Mendelssohn: Elias, ein Oratorium nach Worten des Alten Testaments, op. 70
Madrid, 17 marzo 2018

Quando un campione della prassi bachiana si cimenta con l’opera di altro autore difficilmente può fornire una prova mediocre: dal crogiolo di Bach fuoriescono soltanto metalli puri e splendenti. È quanto accade con Masaaki Suzuki che dirige Elias di Mendelssohn; per riprendere il giudizio riassuntivo sulla sua incisione discografica completa delle cantate bachiane, «freschezza, sobrietà e forza spirituali sono semplicemente commoventi». È vero: l’introduzione orchestrale è un capolavoro di agogica, precisione ritmica, ricerca dell’intensità espressiva e soprattutto giusta collocazione degli accenti musicali – che in fin dei conti costituiscono il perno della struttura enunciativa in ogni composizione di Mendelssohn. La precisione interpretativa si estende poi a tutta la partitura e a tutti gli ambiti, a cominciare dall’equilibrio delle sonorità per finire con la resa cromatica dei singoli gruppi; davvero ottimi i violoncelli dell’Orquesta Nacional de España, per esempio, quando accompagnano le frasi schumanniane cantate da Elia, anche nei momenti della sua disperazione più cupa. I volumi trattenuti nei momenti di festa sono un segno dell’approfondimento raggiunto dal direttore; soltanto al termine della I parte e nell’explicit dell’oratorio è infatti raggiunta la culminazione piena delle sonorità; in precedenza vige un limite invisibile che non viene mai oltrepassato, ma di cui si intuisce l’esistenza, una sorta di corrispettivo musicale del teologico “già e non ancora”. Per converso, i rari momenti di ironia del testo letterario si tramutano in accorte esagerazioni del suono, come accade nei nn. 12-13, allorché Elia incita i sacerdoti di Baal a gridare più forte perché il loro dio possa rispondere adeguatamente. Ma l’ironia si tramuta ben presto nella tragedia della blasfemia e dello sterminio, come il timpano sottolinea con le sue potenti sferzate. Uno dei meriti principali di Suzuki è la capacità di sfumare l’unità dell’intento espressivo, affinché la comprensione di questa musica apparentemente serafica induca alla meditazione, quando non addirittura al dubbio: l’atmosfera non è mai completamente trionfale, perché la sintassi insinua sempre qualche fermento sotterraneo in forma armonica.
Gli interpreti vocali offrono una buona prova, ma il vero protagonista è senza dubbio il Coro Nacional de España, capace di mantenere una costante unità di timbro e di intensità. David Soar, nella parte di Elia, è un basso sufficientemente persuasivo, sebbene la voce sia piuttosto chiara. Espressivo e corretto il tenore James Gilchrist. Anche se non si proietta con forza, la voce del mezzosoprano Anna Stéphany è pastosa e ricca di armonici. Pochi colori ha invece il soprano Rachel Nicholls, quantunque l’impostazione vocale sia abbastanza corretta (fatta eccezione per gli acuti nelle arie della II parte). Molto suggestivo, nella sua immaterialità quasi soprannaturale, l’intervento del fanciullo José Antonio Martín, della Escolanía del Monasterio de El Escorial: è la voce bianca cui Mendelssohn affida il riconoscimento della virtù profetica di Elia con la dichiarazione pubblica del miracolo della pioggia al termine della I parte. Tutti quanti, alla fine dell’esecuzione, sono festeggiati da prolungati e commossi applausi insieme al direttore d’orchestra.
Nella struttura letteraria dell’oratorio, Mendelssohn e Klingemann hanno scelto di non includere la voce di Dio, che non si ascolta mai come se fosse quella di un personaggio; neppure si insiste nella drammaturgia sul riferimento delle parole divine per bocca di altri. La trascendenza, però, risiede nella ineffabile purezza della musica, nel miracoloso fluire della sua armonia e nella perfezione della strumentazione. Se la parola diventa una torcia crepitante, come canta il popolo di Israele porgendo il resoconto della trasfigurazione finale del profeta, la musica non ha neppure bisogno della metafora luminosa e fiammante; è semplicemente la prova della beatitudine raggiunta dall’uomo grazie alla fede e alla resistenza al male. Una certezza che lo stesso coro proclama al n. 32: «Wer bis an Ende beharrt, der wird selig», “chi sa resistere fino alla fine, egli sarà beato”.   Foto OCNE