Torino, Teatro Regio: “Il segreto di Susanna” & “La Voix humaine”

Torino, Teatro Regio, Stagione lirica 2017/18
“IL SEGRETO DI SUSANNA”
Intermezzo in un atto su libretto di Enrico Golisciani
Musica di Ermanno Wolf-Ferrari
La contessa Susanna ANNA CATERINA ANTONACCI
Il conte Gil VITTORIO PRATO
Sante BRUNO DANJOUX
“LA VOIX HUMAINE”
Tragedia lirica su testo di Jean Cocteau
Musica di Francis Poulenc
Una donna ANNA CATERINA ANTONACCI
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore Diego Matheuz
Regia Ludovic Lagarde
Scene Antoine Vasseur
Costumi Fanny Brouste
Video Lidwine Prolonge
Luci Sébastien Michaud
Produzione Opéra Comique (Parigi) in coproduzione con Les Théâtres de la Ville de Luxembourg e Opéra Royal de Wallonie-Liège
Torino,  19 Maggio 2018.  
Due anime del Novecento al femminile chiudono di fatto l’ottima stagione lirica del Regio di Torino – a seguire solo il mini-festival mozartiano di inizio estate; due declinazioni antitetiche della femminilità nella musica del Novecento storico collegate fra loro da un’unica protagonista e da un medesimo impianto scenico.
Il segreto di Susanna” è il delizioso gioco di un compositore come Wolf-Ferrari che possedeva – dote rara fra i musicisti italiani del tempo – il dono della leggerezza. Musicista coltissimo, padrone di tutti gli stilemi dell’opera buffa dalle origini al “Falstaff”, Wolf-Ferrari monta sull’esilissima trama un gioco di richiami, di citazioni, di stilemi assolutamente affascinante. Già la scelta dell’intermezzo per due voci è omaggio alla grande tradizione del Settecento italiano ma come non notare il pianoforte che rievoca effetti da basso continuo o le espliciti citazioni del “Falstaffquando Gil – come il Mastro Ford – cerca nei luoghi più impensabili l’amante della moglie fino alla garbata citazione finale dell’ultimo fugato verdiano. Il libretto di Enrico Golisciani si muove con efficacia sulla stessa linea riutilizzando con riuscito intento parodistico tutte le formule e i luoghi comuni del grande melodramma serio calati nella pochade della vicenda. Ma Wolf-Ferrari è anche orchestratore raffinatissimo – si sentano le volute ascendenti dei fiati e degli archi che evocano le spire di fumo – e mostra una particolare sensibilità nel rapporto fra musica e parole fuse con un rigore raro nell’opera italiana. E proprio il valore espressivo e musicale della parola accomuna la garbata commedia iniziale all’angosciante tragedia minimalista di Poulenc, forse il lavoro in cui con più forza il compositore francese persegue questa unità strutturale. Cupa, straziante, disperata, l’opera di Poulenc è il gorgo nero in cui sprofonda l’anima della protagonista, è il quotidiano abisso dell’incomunicabilità moderna che volge nella tragedia della solitudine e della perdita di certezze dell’individuo quello che in Wolf-Ferrari era il bonario gioco delle piccole menzogne. L’incomunicabilità resta, però, sottesa come tratto comune a entrambi i lavori.
Un altro tratto comune è che – proprio per la loro essenzialità – i due lavori si reggano sulle qualità della protagonista alla quale non si richiede solo di essere cantante di vaglia ma forse ancor più un’autentica cantante attrice. Al riguardo non si potrebbe immaginare di meglio di Anna Caterina Antonacci. Certo, la lunga carriera  ha lasciato qualche segno di usura sul piano prettamente vocale ma si tratta di inezie di fronte alla qualità dell’interprete. Già come Susanna l’Antonacci domina tratteggiando un personaggio intenso e umanissimo. Languida, ironica, sfuggente come una spira di fumo, la sua Susanna è l’incarnazione di una femminilità cangiante e seducente contro cui la tetragonia maschile è inevitabilmente destinata a crollare. Sul piano prettamente vocale la parte è ben retta – nonostante una scrittura decisamente sopranile per la vocalità ibrida dell’Antonacci – mentre la ferrata formazione belcantista le permette di dare pieno risalto ai preziosismi vocali di “Oh gioia, la nube leggera”. E però nel monologo di Poulenc che l’Antonacci trova la sua piena consacrazione. Sola al centro di una scena essenziale la cantante accentra l’attenzione su di sé già in virtù di un fascino scenico che oggi forse non conosce rivali. La sfuggente, cangiante scrittura vocale di Poulenc è dominata a pieno, il totale controllo e perfetto della prosodia francese – al riguardo l’Antonacci non cede in un nulla a una cantante madrelingua – gli permette di scavare ogni singola parola del testo di Cocteau, di trovare il giusto valore di ogni sillaba, di ogni frase. La cura del fraseggio è quasi maniacale e i momenti apparentemente più neutri mostrano con maggior chiarezza quest’attenzione; si sentano i vari “Allô” che aprono le successive conversazioni telefoniche mai uguali a se stessi ma sempre variati o il valore espressivo dato a tante frasi apparentemente di raccordo, mentre, quando la passionalità si fa più scoperta e rovente, l’Antonacci ha il merito di non farsi trasportare, di evitare eccessi veristi e di risolvere il tutto in un crescendo emotivo sempre controllato e rigoroso, in una sorta di contemporaneo recitar cantando.
Al suo fianco ne “Il segreto di Susanna” troviamo la vocalità fresca e giovanile di Vittorio Prato che canta con grande proprietà e che rende bene la natura parodistica delle gelosie di Gil. Riuscitissimo nella resa scenica il servitore Sante affidato al mimo Bruno Danjoux.
Al debutto operistico con l’orchestra del Regio Diego Matheuz fornisce una direzione pienamente funzionale allo spettacolo. In Wolf-Ferrari coglie al meglio la leggerezza e la trasparenza della partitura unite a un’apprezzabile brillantezza ritmica e dinamica mentre in Poulenc accompagna con cura e precisione le ragioni del canto e le poliedriche influenze sottese alla musica.
Di essenziale efficacia l’allestimento firmato per la regia da Antoine Vasseur, con le scene di Antoine Vasseur e i costumi di Fanny Brouste. All’interno del palcoscenico nero del teatro è ricavato uno spazio illuminato occupato da un appartamento di design razionalista che ritorna uguale in entrambe le opere. Più colorato e festoso nel “Segreto di Susanna”, di un asettico, spersonalizzante candore ne “La Voix humaine”. La scena è mantenuta fissa nella più movimentata opera di Wolf-Ferrari mentre, per contrasto alla staticità del titolo di Poulenc, ruota su se stessa in modo da mostrare i diversi vani dell’appartamento. I costumi rimandano agli anni 60 del Novecento quindi perfettamente in linea con “La Voix humaine” mentre per “Il segreto di Susanna” stridevano un po’ con il tabù del fumo femminile ormai superato in quegli anni; forse sarebbe stato più efficace uno spostamento alla piena contemporaneità con le sue ossessioni salutiste.
Regia curata ed efficace, giustamente scanzonata in Wolf-Ferrari e di un’elegante sobrietà nell’opera di Poulenc dove tutto risultava giustamente concentrato sulla recitazione della protagonista senza cadute nel facile effetto banalmente veristico.