Genova, Teatro Carlo Felice: “Lucia di Lammermoor”

Genova, Teatro “Carlo Felice” – Stagione d’Opera 2017-18
LUCIA DI LAMMERMOOR

Dramma tragico in due parti su libretto di Salvatore Cammarano da Walter Scott.
Musica di Gaetano Donizetti
Lord Enrico Ashton STEFANO ANTONUCCI
Miss Lucia
 ZUZANA MARKOVÁ
Sir Edgardo di Ravenswood
ANDREA BOCELLI
Lord Arturo Bucklaw
MARCELLO NARDIS
Raimondo Bidebent
MARIANO BUCCINO
Alisa
CARLOTTA VICHI
Normanno DIDIER PIERI
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Direttore  Andriy Yurkevych
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Regia Lorenzo Mariani
Scene Maurizio Balò
Costumi Silvia Aymonino
Luci Linus Fellbom
Videomaker Fabio Massimo Iaquone, Luca Attili
Nuovo allestimento in coproduzione Fondazione Teatro Carlo Felice – Fondazione Teatro Comunale di Bologna – ABAO-OLBE di Bilbao
Genova, 03 giugno 2018
Al teatro Carlo Felice di Genova va in scena una “Lucia di Lammermoor” chiacchierata, per ragioni sia sceniche che musicali, alcune delle quali paiono, tuttavia decisamente azzeccate. Ad esempio, Zuzana Marková ha la tempra vocale – oltre che il nerbo scenico – di parti ben più sostenute dell’eterea Lucia Ashton (che pure è un suo cavallo di battaglia), e con un’interpretazione attenta arricchisce non di poco la sua presenza vocale e in generale la produzione. Un annuncio prima dell’inizio ce la dice “influenzata”: non ne abbiamo quasi la sensazione, a parte sulla scena della pazzia, dove non è precisissima e manca a tratti di fiato, qualche nota vola via, qualche altra cresce o cala; la rivendicherà una “Spargi d’amaro pianto” splendidamente controllata e intensissima, in cui la soprano ceca ripone tutta la sua non indifferente capacità interpretativa. Senz’altro è lei la vera stella che guida questo cast, anche se sorpresa gradevolissima si rivela il Raimondo di Mariano Buccino, basso potente, preciso, coinvoltissimo anche scenicamente, dal timbro piacevolmente caldo e vellutato (si riascolterebbe la sua “Dalle stanze ove Lucia” più e più volte). Anche due ruoli secondari come Alisa e Normanno vengono ben sostenuti da Carlotta Vichi e Didier Pieri, sia scenicamente che vocalmente (la prima massimamente nel concertato della fine del secondo atto).  Prova più alterna per  Stefano Antonucci (Enrico): baritono di razza, è talvolta a corto di fiato, si affanna in certi passaggi, in altri risulta un po’ intubato (in una non indimenticabile “Cruda funesta smania”, ad esempio, in cui il Maestro Yurkevych sembra anche faticare a farlo andare a tempo); Marcello Nardis  di certo non è un Arturo esangue, mostra esuberanza vocale (forse troppa?), giacché dotato di un mezzo pregevole per forza emissiva, e di un timbro squillante, dalle venature metalliche, guidato senza dubbio da un desiderio interpretativo apprezzabile. Un caso del tutto a parte – anche poiché principale causa del chiacchiericcio di cui sopra – rappresenta l’Edgardo di Andrea Bocelli: è davvero difficile giudicarne l’interpretazione, certamente al di sotto delle aspettative che una superstar dell’operatic pop come lui potrebbe generare. È la fascia vocale medio-bassa che tradisce le maggiori debolezze, con suoni nasaleggianti e sfocati; le  cose vanno meglio nella gestione del registro acuto che risulta più a fuoco e gestito con una certa brillantezza, e senza dubbio il pubblico genovese lo ricambia con scrosci affettuosi. Resta un dubbio sull’effettiva bellezza del timbro, su un fraseggio incolore, ma de gustibus non disputandum, diceva il saggio. A dirigere cast e orchestra è il maestro Andriy Yurkevych, altre volte apprezzatissimo, questa, invece, anch’egli al di sotto delle aspettative: è una direzione, la sua, che, oltre ad offririci una partitura alquanto tagliata, parte prudente, ma procede in maniera troppo discontinua, spesso a causa di alcuni membri del cast che faticano a rispettare la scelta direttiva, e tendono ad allargare o rubare eccessivamente sul tempo scandito; ne risente anche il tessuto orchestrale, non troppo omogeneo, con archi e ottoni a volte discrasici, ma nel quale spicca l’abilità dell’arpista,  Laura Papeschi, emozionante nell’introduzione alla seconda scena del primo atto. Infine, come già abbiamo detto altre volte, grande protagonista apprezzato anche dal pubblico, che gli tributa sempre fragorosi applausi, è il coro del teatro Carlo Felice, magistralmente diretto dal Maestro Franco Sebastiani: qui più che in altre produzioni, abbiamo visto la presenza scenico del coro e abbiamo sentito la sua potenza vocale e la capacità di agire davvero di concerto, sia nel coro maschile del primo atto, sia in quello al completo, e di regalare un’emozione pure all’orecchio più avvezzo. 
Anche l’allestimento scenico dà senza dubbio ragioni di attenzione: Lorenzo Mariani si lancia in una regia in cui poco resta all’interpretazione, con un Enrico che tenta l’incesto fraterno e una Lucia che trascina il cadavere del povero Arturo in scena – oltre ad apparire impiccata già sul Preludio; unica figura da “interpretare” è quella di Raimondo: tradizionalmente reso come un frate (“educatore” lo indica il libretto, e gli educatori sono stati per secoli dei religiosi, almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento), viene in questa scelta attualizzante trasformato in un generico studioso, il cui legame con gli Ashton non è chiaro, né è più chiaro il suo continuo parlar di Dio; così come non si comprende la ragione di trasportare la vicenda cinquecentista nel XX secolo, per poi delegarne la caratterizzazione a uno scatto fotografico e ai costumi di Silvia Aymonino; le scene raffinate di Maurizio Balò si articolano sui toni del verde, forse per dare un sapore scozzese, o venatorio, al tutto: peccato che vi si accosti la pietra nuda, quasi megalitica, e non, come sarebbe logico aspettarsi, la boiserie, o un opus dal sapore di passato, magari in toni più muschiati, per evitare effetti kitsch – e se il finestrone d’angolo che domina la scena le conferisce già di per sé movimento, sembrano davvero peregrine le proiezioni naturalistiche al di là di esso. Le luci di Linus Fellbom appaiono invece riuscitissime, in un gioco di contrasti talvolta arditi, altri più tradizionali, ma di effetto sicuro. Nell’insieme uno spettacolo godibile, ma che lascia degli interrogativi, principalmente legati all’allestimento: li spazza via Lucia, la sua storia tremenda, la musica praticamente perfetta di Gaetano Donizetti e la già decantata presenza scenica e vocale della Marková. Foto Marcello Orselli