Vincenzo Bellini: “Adelson e Salvini” (Versione del 1825)

Dramma semiserio in tre atti adattato da un libretto di Andrea Leone Tottola, basato sul romanzo omonimo nella raccolta Les Épreuves du Sentiment di François-Thomas-Marie de Baculard d’Arnaud. Edizione critica, Casa Ricordi.  Cecilia Molinari (Nelly, orfana); Sara Rocchi (Fanny, giovane vassalla d’Adelson); Giovanna Lanza (Madame Rivers, governante in casa d’Adelson); Merto Sungu (Salvini, amico di Adelson); Rodion Pogosson (Lord Adelson); Baurzhan Anderzanhov (Struley, nobile proscritto); Clemente Antonio Daliotti (Bonifacio); Enrico Marchesini (Geronio, confidente di Struley). Orchestra Sinfonica “Rossini”. José Miguel Perez Sierra (direttore); Coro lirico marchigiano V. Bellini. Carlo Morganti (Maestro del coro). Regia Roberto Recchia, Scene Benito Leonori, Costumi Catherine Buyse Dian, Luci Alessandro Carletti, assistente alla regia Simone Guerro. Registrazione effettuata al Teatro Pergolesi di Jesi – 11 e 13 novembre 2016 nel corso della XLIX stagione lirica di tradizione. T. Time: 140′ 1DVD Bongiovanni AB20036
“Nel carnevale del 1825, composi l’Adelson e Salvini, opera in tre atti semiseria, pel teatrino del nostro collegio  [il Conservatorio di San Sebastiano], eseguita da tutti gli stessi collegiali, e pel canto, e per l’orchestra: la riuscita di quest’opera mi meritò il Premio destinato dal Re, che consisteva nell’onore di scrivere un’opera nel Real teatro di S. Carlo, e in una somma di 300 ducati. L’opera fu Bianca e Fernando, ed andò in scena nel maggio 1826”. In questa lettera del 30 luglio 1831 a Luigi Remondini, Vincenzo Bellini, compositore già affermato e reduce del successo ottenuto all’inizio del mese di marzo al Teatro Carcano con La Sonnambula, ricordava ancora questo suo fortunato debutto nel mondo teatrale a testimonianza di un legame con questo suo lavoro mai venuto meno nel corso degli anni. Ancora più precisa e dettagliata è la testimonianza di Francesco Florimo che nella sua biografia Bellini. Memorie e lettere, pubblicata nel 1882, scrisse:
“L’anima di Bellini si rivelò nell’Adelson e Salvini. Lo Zingarelli, desiderando di avere da lui un saggio tutto proprio, lo esortò a far da sé, e non volle metter mano ad alcuna correzione a quella partitura, per poter giudicar meglio il valore di lui ed il suo avvenire. Ed ecco che, nel carnevale del 1825, comparve sul teatrino del Collegio di Musica in San Sebastiano la prima operetta del Bellini intitolata: Adelson e Salvini, cantata dai suoi stessi compagni, Manzi, Marras e Perugini, da lui composta senza aver consultato che il proprio cuore. Lo Zingarelli volle assistere al penultimo concerto generale, e dandogli dei consigli sommarii intorno alla parte tecnica dell’arte, finì col dirgli: «Le altre correzioni poi ve le farà il pubblico quando ascolterà questo vostro primo lavoro; ed il più delle volte esse sono più giuste e più sensate di quelle che possono fare tutti i maestri del mondo».
Produsse grande fanatismo questa operetta nel pubblico napolitano, che non si mostrava mai sazio di udirla e riudirla; e furono tali e tante le pratiche fatte presso il Ministro, acciocché permettesse la continuazione delle rappresentazioni, che l’Eccellentissimo, per accondiscendere ai desideri del pubblico, concesse che fosse ripetuta ogni domenica per tutto l’anno 1825″.
La testimonianza di Florimo, oltre a mettere in evidenza lo scarso apporto, per la verità quasi del tutto insignificante, dato da Zingarelli alla composizione di quest’opera, ci fornisce anche alcune notizie interessanti riguardanti gli interpreti  e le loro voci. Giacinto Marras, allora quindicenne, sostenne, infatti la parte di Nelly che, quindi, risulta scritta per una voce di contralto, mentre Antonio Manzi (baritono) e Leonardo Perugini (tenore) interpretarono rispettivamente quella di Adelson e quella di Salvini. Non si hanno notizie sul nome dell’interprete della parte di Fanny, mentre quella di Madame Rivers fu sostenta da Luigi Rotellini anche lui en travesti.
Per la composizione di questo suo lavoro Bellini si era avvalso di un vecchio libretto che Tottola, poeta ufficiale del San Carlo e anche librettista di molte opere di Rossini, aveva scritto per Valentino Fioravanti nel 1816 e che dal punto di vista formale ricordava la settecentesca Commedeja pe’ Mmuseca napoletana dalla quale traeva l’alternanza di brani cantati a lunghi dialoghi e l’uso del dialetto napoletano che, però, nel caso dell’Adelson, è limitato alla sola parte di Bonifacio.  Tottola aveva tratto il soggetto di questo libretto da una novella di François-Thomas-Marie de Baculard d’Arnaut, intitolata Adelson et Salvini: Anecdote anglaise (1772) che faceva parte di una raccolta Epreuves du sentiment. Oggi il nome di Baculard d’Arnaut è quasi del tutto sconosciuto, ma nel Settecento godette di grande fama tanto che la stessa regina Maria Antonietta aveva nella sua biblioteca alcune delle sue opere e in Italia fu tra gli autori più conosciuti e tradotti.
Fino a qualche tempo fa si riteneva impossibile la messa in scena della versione del 1825 dell’Adelson e Salcini, formalmente un’opera semiseria con dialoghi alla francese sul modello dell’Opéra-Comique, in quanto il testimone più consistente era costituito dalla partitura autografa che, conservata presso il Museo Civico Belliniano di Catania e trascritta dal professore Salvatore Enrico Failla nel 1985 per la prima esecuzione moderna (incompleta) dell’opera avvenuta il 6 novembre a Catania in concomitanza con il Convegno Internazionale di Studi Belliniani organizzato dall’Università di Catania, è però mutila di alcune parti. L’autografo catanese, infatti, manca della sinfonia e di Immagine gradita, oltre che di altri passi più o meno consistenti. Un fortunato ritrovamento delle parti orchestrali  nel 2001 nel Fondo Mascarello da parte di Claudio Toscani presso la Biblioteca del Conservatorio di Milano ha consentito di lavorare a un’edizione critica ad opera del professore Fabrizio Della Seta per la Casa Editrice Ricordi di Milano. È stata, quindi, realizzata una partitura provvisoria, che, come affermato sempre da Della Seta nelle note introduttive, ricostruisce la versione del 1825 per il 97%; sulla base di questa partitura è stato possibile allestire una messa in scena.
Così ricostruita, la partitura si compone di 13 numeri a cui va aggiunta la sinfonia, della quale si erano perse le tracce e che è stata oggetto di discussione già nella documentata monografia dedicata al cigno di Catania da Friedrich Lippmann e Maria Rosaria Adamo; gli studiosi si chiesero, infatti, quale sia stata l’ouverture che fu eseguita nel 1825 dal momento che non era certo se la versione originaria fosse quella della seconda versione dell’opera, più prolissa nei due temi dell’Allegro, particolarmente lunghi e poco interessanti, o quella testimoniata in particella (con indicazioni degli strumenti) attestata da un manoscritto conservato presso la Biblioteca del Conservatorio di Napoli (rari 4.3.248) che corrisponde a quella trovata nel fondo Mascariello. Quest’ultima è una prefigurazione di quella del Pirata dalla quale differisce oltre che per alcuni dettagli nel primo tema dell’Allegro in forma-sonata (un mi raggiunto con un’appoggiatura discendente e qualche lieve differenza di natura ritmica) per l’assenza dell’Allegro con fuoco iniziale. Tra le parti riportate alla luce vanno segnalate, inoltre, le prime 61 battute di Immagine gradita, nella cui introduzione strumentale Bellini aveva inserito un disegno cromatico discendente che ricorda il quarto tempo del quartetto K. 173 di Mozart al quale sembra ispirarsi anche per la struttura fugata, ed altre lacune più o meno consistenti nel corso dell’opera, come quelle riguardanti alcuni passi della stretta del finale, che prefigurano, anche questi, il finale dell’atto primo del Pirata.
La ricostruzione della prima versione dell’Adelson e Salvini appare particolarmente significativa per la conoscenza dei primi passi nel mondo operistico dell’Ottocento del cigno di Catania e dei successivi sviluppi del suo stile e del suo linguaggio i cui elementi si rivelano già in germe in quest’opera. Certo non mancano reminiscenze della tradizione napoletana ed evidenti influenze rossiniane soprattutto nel trattamento della scrittura vocale del basso buffo, ma non si può negare che già sono rivelatori di uno stile personale elementi come l’espansione lirica nel duetto fra Nelly e Salvini e una vocalità più robusta che imprime una maggiore caratterizzazione del personaggio, in questo caso, Salvini. È, tuttavia, a Nelly, giovane orfana contesa da Adelson e Salvini, che Bellini riservò le più belle pagine della partitura, nelle quali si intravedono già i primi segnali del suo stile. Significativa è l’aria di Nelly, Dopo l’oscuro nembo, che Bellini ritenne tanto matura da decidere di riprenderla nei Capuleti e Montecchi per l’aria di Giulietta, Oh! quante volte, oh quante. È una melodia nella quale si afferma già la caratteristica espressività belliniana con patetiche appoggiature che sottolineano il testo e sembrano evocare dei sospiri.
Registrata dall’etichetta Bongiovanni nel novembre 2016 a Jesi (Teatro Pergolesi), questa produzione si segnala per l’aspetto visivo particolarmente curato con la scenografia disegnata da Benito Leonori che ha ambientato le vicende dell’opera non in un’Irlanda reale, ma in un’Irlanda che, come notato dal regista Roberto Recchia nelle sue note di regia, è il frutto della mente di Salvini. Lo spettatore, infatti, si trova di fronte a quinte e fondali animati dai dipinti di William Etty, pittore contemporaneo di Bellini, che non solo finiscono per costituire l’ambiente in cui si muovono i personaggi, ma che, come affermato dal regista Roberto Recchia nelle sue note, diventano le parti costitutive di una «rappresentazione che probabilmente avviene nella fantasia del pittore». In questa scenografia, così scarna, come si immagina possa essere stata quella del teatrino del Collegio di San Sebastiano non certo ricco di mezzi teatrali, la scelta dei dipinti di Etty con la sua ossessione per il nudo risponde, inoltre, ad una ragione profonda, quella di rappresentare la follia amorosa di Salvini. Perfettamente coerenti appaiono i costumi di Catherine Buyse Dian che sembrano essere usciti anche questi dai dipinti del pittore e che ben raffigurano i ruoli sulla scena dal puro abito bianco di Fanny e di Nelly alla tenuta da pittore di Salvini e al bel costume, quasi di gentiluomo, di Bonifacio per finire a quello di autentico lord inglese di Adelson. Coerenti anche le luci di Alessandro Carletti generalmente sobrie e improntate a tonalità scure che si animano di un  rosso fuoco nella scena dell’incendio del casino nel parco. All’interno di questo spazio scenico i personaggi, ben diretti dal regista Roberto Recchia che si è mantenuto fedele al dettato del libretto di Tottola, si muovono con disinvoltura usando il corpo e il volto per esprimere i loro sentimenti.
Passando all’aspetto musicale appare sostanzialmente buona la concertazione di  José Miguel Perez Sierra per la scelta sia delle sonorità orchestrali che dei tempi; per quanto riguarda le prime, non particolarmente difficili da controllare essendo la partitura scritta per un organico da camera, si può affermare che sono sostanzialmente corrette, in quanto non soverchiano mai i cantanti, nonostante in certi passi appaiano quasi incorporee.  Migliore sicuramente la scelta dei tempi, non lenti ma ben calibrati e, quindi, tendenti ad evitare il carattere cantilenante che potrebbe rendere alcuni passi noiosi. Ciò si nota nella romanza di Nelly, Dopo l’oscuro nembo, la cui lunghezza e la cui ripetitività, se non ben bilanciate da una corretta scelta dei tempi, avrebbero potuto rendere il brano noioso. Dotata di una bella e corposa voce,  Cecilia Molinari è una convincente Nelly sia sul piano vocale che su quello scenico. La sua interpretazione di Dopo l’oscuro nembo è intensa ed espressiva. Fanny, l’altra protagonista femminile, è ben interpretata da Sara Rocchi, espressiva nella sua Immagine gradita. Discreta la prova sul piano interpretativo del tenore Merto Sungu che, tendenzialmente forzato vocalmente, con acuti tesi. si  mostra più a suo agio nei cantabili piuttosto che nei passi più scopertamente belcantistici. Dotato di buoni mezzi vocali ma di una dizione non proprio felice, Baurzhan Anderzanhov è autore di una prova che non va oltre una sostanziale correttezza sul piano del fraseggio nella parte di Struley, mentre sicuramente di livello è l’Adelson di Rodion Pogossov che, dotato di una voce omogenea e di bel timbro, mostra anche una buona tecnica e un fraseggio accurato. Tra le parti maschili emerge sicuramente Clemente Antonio Daliotti, un brillante Bonifacio, le cui doti di attore sono accompagnate da una complessivamente valida tecnica vocale. Corrette le prove di Giovanna Lanza (Madama Rivers) e di Enrico Marchesini (Geronio) e ottima quella del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, splendidamente diretto e preparato da Carlo Morganti.