Mola di Bari, Palazzo Pesce: “La serva padrona”

Mola di Bari, Palazzo Pesce
“LA SERVA PADRONA”
Intermezzo comico in due parti libretto di Gennarantonio Federico
Musica di
Giovanni Battista Pergolesi
Serpina VALERIA LA GROTTA
Uberto GIUSEPPE NAVIGLIO
Vespone RINO GIULIANI
Ensemble barocco Santa Teresa dei Maschi
Direttore e maestro concertatore al cembalo Sabino Manzo
Regia, Giuseppe Naviglio
Scene e costumi, Angela Gassi
Disegno luci, Vito Orlando
Mola di Bari, 14 settembre 2018
L’edizione 2018 del festival barese di musica antica “Oriente-Occidente” ha inaugurato il progetto “Opera a corte” che si propone di inserire produzioni di melodrammi all’interno di dimore storiche da valorizzare e talvolta da riscoprire: è il caso di Palazzo Pesce a Mola di Bari, splendida residenza settecentesca oggetto di un recente restauro. Il cortile interno del palazzo di forma semicircolare, articolato da un sistema di scale e arricchito da una balconata sovrastante, offre di per sé uno spazio congeniale all’azione teatrale dove l’ottima proiezione del suono permette al pubblico, ospitato nell’androne d’ingresso, di avere una perfetta esperienza d’ascolto. In questo contesto ha preso vita una preziosa interpretazione del celeberrimo intermezzo di Pergolesi che si è distinta per la cura con la quale è stato ricreato il sound primigenio: l’ensemble barocco Santa Teresa dei Maschi – diretto al cembalo da Sabino Manzo e composto da Giovanni Rota, primo violino di concerto, Sabrina Santoro secondo violino, Mattia Cuccilato alla viola, Claudio Mastrangelo al violoncello e Giuseppe Lillo al violone – ha infatti saputo restituire il raffinato gioco di ritmi e di dinamiche che costella la partitura di Pergolesi, sorretto da un lavoro accurato condotto sulle fonti manoscritte (l’edizione critica preparata da Francesco Degrada non è mai apparsa e questo tipo di operazioni di musicologia applicata ne sopperisce la mancanza).
L’adeguatezza stilistica dell’ensemble strumentale si è sposata alla perfezione con le voci di Valeria La Grotta e Giuseppe Naviglio, tra loro amalgamate in una simbiosi rara, dovuta alla comune ricerca di un timbro, di una dizione e di una gestualità modellati il più possibile su quello che accadde al Teatro san Bartolomeo nel 1733. Valeria La Grotta è un soprano di coloratura smagliante che si muove a proprio agio nell’arte della variazione snocciolando le diminuzioni nei da capo con precisione e gusto. La tessitura di Serpina necessita tuttavia anche una voce piena e ben proiettata che Valeria La Grotta possiede appieno. Giuseppe Naviglio è un baritono con alle spalle una carriera che lo ha visto spiccare tra i massimi esperti mondiali del barocco napoletano. Le collaborazioni con Toni Florio approdate a tante incisioni discografiche hanno fatto la storia della prassi interpretativa di un Settecento finalmente sottratto a tradizioni fuorvianti, le stesse che ancora oggi allineano il modo di cantare Mozart con quello impiegato per Donizetti o Verdi. Colore brunito, eleganza di fraseggio, vis comica sono cifre distintive dell’arte di Naviglio il cui Uberto non eccede mai la misura. In questa occasione Naviglio era anche il regista, coadiuvato dal bravo Marco Altini. L’idea di coinvolgere Vespone (l’attore Rino Giuliani del gruppo TeatrAmico) in una liaison con Serpina è stata concretizzata con azioni mute eloquenti ed eleganti: nell’intervallo strumentale tra la prima e la seconda parte dell’Intermezzo (Manzo improvvisava al cembalo sul tema dell’aria delle Variazioni Goldberg di Bach) la servetta, novella Eva, porgeva una mela al servo, suo complice, dopo averla fatta scorrere sul volto e sul décolleté con irresistibile sensualità; quella stessa mela si duplicava alla fine dell’operina divenendo motivo del bisticcio tra lei e il neomarito Uberto, una sorta di pomo della discordia o di mela della tentazione nel giardino dell’Eden. Il triangolo amoroso tuttavia non portava ad una conflittualità ma ad una solidarietà tra i due uomini, entrambi vessati dalla servetta, che si rassegnano a svolgere le faccende domestiche, come quella di piegare un lenzuolo dove è scritto “Il servo padrone”! Ottima la disposizione sulla scena e il continuo movimento rotatorio dei tre personaggi che hanno reso ancor più frizzante la messinscena impreziosita dai costumi di Angela Gassi (esperta di storia del costume), appositamente confezionati, che ricostruivano fin nei minimi dettagli le fogge settecentesche. Il disegno luci di Vito Orlando ha inoltre immesso alcuni elementi espressivi: notevole l’effetto del rosso proiettato nel momento in cui gli stessi musicisti dell’orchestra cantavano “Uberto pensa a te” con voci come provenienti dall’Oltretomba. Divertentissima la mimica che accompagnava le numerose onomatopee del duetto finale, così come quella che caricaturava al massimo grado la duplicità di affetti esposta nell’aria “A Serpina penserete”. Il sold out delle quattro recite (si replicherà il 27 ottobre al Teatro Mercadante di Altamura) ha mostrato la piena riuscita di operazioni culturali così raffinate e coraggiose. Foto Lino Paglionico