Milano, Teatro alla Scala: “Ernani”

Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2017/2018
ERNANI
Dramma lirico in quattro atti di Francesco Maria Piave da “Hernani ou l’Honneur castillan” di Victor Hugo.
Musica di Giuseppe Verdi
Ernani FRANCESCO MELI
Don Carlo SIMONE PIAZZOLA
Don Ruy Gomez de Silva ILDAR ABDRAZAKOV
Elvira AILYN PEREZ
Giovanna DARIA CHERNYI
Don Riccardo MATTEO DESOLE
Jago ALESSANDRO SPINA
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Ádám Fischer
Maestro del Coro Bruno Casoni
Regia Sven-Erich Bechtolf
Scene Julian Crouch
Costumi Kevin Pollard
Luci Marco Filibebeck
Video Filippo Marta
Coreografie Laura Montanaro
Milano, 6 ottobre 2018
Ernani” mancava dalla Scala dal lontano 1982, cioè dalla produzione, ormai considerata storica ma al tempo contestata, firmata da Muti e Ronconi; era tempo che uno dei massimi capolavori della produzione giovanile verdiana tornasse sul palcoscenico milanese. A dirigere questa nuova produzione è stato chiamato l’ungherese Ádám Fischer, direttore di grandissima cultura musicale ma non certo uno specialista del repertorio verdiano. Fischer mostra tutta la sua sensibilità e la sua qualità di concertatore nel venire incontro alle caratteristiche dei cantanti a disposizione; giustamente riconosce la dimensione ancora tutta belcantista di quest’opera optando per colori nitidi e luminosi, per sonorità ariose e non coprenti ma è capace anche di trovare il giusto, cupo, colore nei momenti necessari come la resa – cromaticamente molto ben eseguita – dell’introduzione del III atto. Inoltre mostra sempre grande attenzione nell’accompagnare le voci e le loro esigenze. Sul versante opposto si notano una visione non troppo personale e soprattutto una tendenza a farsi prendere a tratti un po’ la mano nei momenti più concitati con tempi fin troppo forzati e con il rischio, sempre presente nelle opere giovanili di Verdi, di suonare un poco bandistico, come per esempio nel finale del II atto. Una lettura nell’insieme comunque apprezzabile anche se priva di quell’approfondimento che direttori più versati per questo repertorio avrebbero potuto dare. Come sempre validissima la prova dell’orchestra e ancora di più quella del coro, splendidamente diretto da Bruno Casoni che ha regalato una vibrante esecuzione di “Si ridesti il leon di Castiglia”. La compagnia di canto è stata scelta giustamente tenendo conto di una visione attenta a recuperarne tutta la matrice belcantista. Vero mattatore della serata, Ildar Abdrazakov si è confermato il miglior basso verdiano oggi sulle scene. La voce, sorretta da un’emissione esemplare e sempre sostenuta da una musicalità e da un’eleganza non comuni, è splendida per colore e timbro. Forse il volume non è gigantesco ma la qualità del canto lo compensa ampiamente. Alle doti vocali si aggiungono la ricchezza e la fantasia del fraseggio, la varietà dei colori e degli accenti così che il suo Silva ci appare con una ricchezza e una profondità che il ruolo di suo non parrebbe avere ma che il cantante riesce a scoprire ed evidenziare. Il suo Silva è un uomo complesso e lacerato in cui fierezza e fragilità si intricano inscindibilmente fino a quel “Delle vendette il demone qui venga ad esultar” dove l’abisso sembra spalancarsi di fronte alla compiuta vendetta. Francesco Meli ha la voce ideale per il ruolo di Ernani, squillante ed eroica ma di un eroismo giustamente ancora di matrice donizettiana e non rivolto verso futuri e ancora anacronistici sviluppi. La voce è quella che si conosce, di un colore magnifico e di quella radiosità che solo le grandi voci tenorili italiane sembrano possedere. Dal punto di vista interpretativo il personaggio è perfettamente posseduto e Meli trasmette un ventaglio di sfumature emotive che vanno ben al di là dell’eroe maledetto dando del bandito una lettura molto più umana e sofferta. Più d’un gradino sotto il Don Carlo di Simone Piazzola che avrebbe la voce ideale per il ruolo ma manca spesso di nobiltà. Bella voce, sana, schietta, sicura, di buona sonorità ma con una certa difficoltà a sfumare così che ne risulta un personaggio fin troppo brutale e privo di quella araldica nobiltà che dovrebbe caratterizzarlo. Il suo è un Carlo sicuramente più a suo agio nelle minacce a Silva che nelle scene di seduzione con Elvira. Una prestazione nel complesso più che sufficiente nella quale innegabilmente si sentiva la mancanza di quella componente. L’elemento più problematico del cast risulta Ailyn Perez. La parte di Elvira è sicuramente di matrice belcantista, anche se adatta a quel tipo di vocalità che era stato dei grandi ruoli regali e tragici donizettiani mentre la voce, educata ma leggera, della Perez appare più confaca parti di mezzo carattere. Doti di questa cantante sono certamente il timbro chiaro, luminoso, piacevole, innegabile musicalità; il settore medio-grave è, tuttavia, troppo povero di suono e acuti che innegabilmente ci sono ma che sono presi in modo poco ortodosso così che la voce tende spesso a risultare schiacciata. Parte malissimo – certi passaggi della cavatina l’hanno vista decisamente oltre il limite – ma nel corso dell’opera la voce si scalda e, pur rimanendo i limiti di fondo, la prestazione si fa più convincente. Anche sul piano interpretativo si assiste ad una progressiva presa di possesso del ruolo, probabilmente dovuta da una maggior tranquillità una volta superati gli scogli iniziali.  Il momento migliore della sua performance è nella sincera intensità del terzetto finale. Completavano il cast Matteo Desole (Don Riccardo), Alessandro Spina (Jago) e Daria Chernyi (Giovanna), allieva dell’Accademia scaligera già dotata di interessanti doti sceniche. Per quanto rigusrda la parte visiva, firmata da Sven-Erich Bechtolf con scene di Julian Crouch e costumi di Kevin Pollard, appare  evidente che il regista non creda minimamente alla drammaturgia di quest’opera scegliendo di affrontarla con sguardo distaccato e ironico. Il gioco del teatro nel teatro non è certo originale ma ha sempre una sua funzionalità. Siamo al tempo di Verdi, in teatro, si sta per allestire “Ernani”, durante il preludio si montano le scene, mentre i cantanti si preparano. Poi comincia lo spettacolo e siamo portati in un Rinascimento di carta pesta fra scene dipinte e costumi colorati ispirati ai bozzetti dell’epoca. La scena dei banditi rievoca le fantasie ottocentesche di Robin Hood, il castello dei Silva un palazzo moresco uscito dalle fantasie della pittura orientalizzante fino all’omaggio a Venezia – sede della prima – con le architetture palladiane del IV atto. La vicenda si snoda fra questi due poli:  la scena e il dietro le quinte che si alternano e si integrano con un gusto per altro più decorativo che narrativo. La recitazione è spesso eccessiva, caricaturale, quasi da cartone animato così come i costumi del coro e dei figuranti nonostante siano più belli anche se molto appariscenti quelli dei protagonisti. Molto modeste e sostanzialmente fuori luogo le coreografie. Alla fine qualche trovata di meno sarebbe stata gradita ma lo spettacolo scorre in generale tranquillo, senza suscitare entusiasmi o repulsioni ma lasciandosi guardare con sereno distacco. Prima dello spettacolo commosso ricordo di Montserrat Caballé da parte del sovrintendente Pereira. Foto Brescia & Amisano