Vincenzo Bellini (1801 – 1835): “I Capuleti e i Montecchi” (1830)

Opera in due atti su libretto di Felice Romani. Joyce DiDonato (Romeo), Olga Kuchynska (Giulietta), Benjamin Bernheim (Tebaldo), Robert Lorenzi (Lorenzo), Alexei Botnarciuc (Cappellio). Philarmonia Zürich, Fabio Luisi (direttore), Chor der Oper Zürich, Jürg Hämmerli (Maestro del coro), Christoph Loy (regia), Christian Schimdt (scene e costumi), Frank Evin (luci), Thomas Wilhelm (coreografia).Opernhäus Zürich, giugno 2015. 1 DVD Accentus Music ACC20353

A torto scarsamente considerati per lungo tempo, “I Capuleti e i Montecchi” stanno finalmente ritrovando un proprio spazio sui palcoscenici, superati i pregiudizi sulla scarsa teatralità dell’opera – inevitabili se vista in un’ottica verdiana lontanissima dal purismo classicista del lavoro di Bellini – e l’infondata accusa di infedeltà a Shakespeare ancor meno significativa non avendo l’opera nessun rapporto con la tragedia ma rifacendosi a quelle stesse novelle italiane del tardo medioevo che erano state fonte d’ispirazione anche per il Bardo. In questa ripresa di attenzione si inserisce anche questa produzione zurighese costruita con un cast di giovani promesse intorno alla diva Joyce DiDonato. Il risultato è non privo d’interesse e anche di qualche sorpresa. A emergere su tutti è infatti la giovanissima ucraina Olga Kuchynska qui praticamente al primo impegno importante di carriera. Fisicamente perfetta per il ruolo di cui ha l’età e la giovanile freschezza, la Kuchynska sorprende per qualità di canto e di fraseggio. La voce morbida e musicale è retta da ottima tecnica e da un’emissione ideale per il belcanto italiano, perfetta nei lunghi cantabili belliniani ma anche sicura nei passaggi più accessi e nel canto di coloratura che si inserisce con piena naturalezza nella linea melodica. La pronuncia italiana è molto buona e, considerando la giovanissima età e l’inesperienza, il gioco dinamico dei colori e degli accenti mostra già un’imprevista maturità e indica questa giovane come un elemento da seguire con attenzione nei prossimi anni. Romeo non è mai stato ruolo ideale per Joyce DiDonato e questa registrazione arriva inoltre decisamente tardi. Le ripetute prove sopranili pesano sul materiale vocale, il registro grave – mai sicurissimo – è  ancor più forzato e quello acuto, pur sicuro, mostra, però, sempre come uno stacco, una frattura rispetto al resto della gamma. Se il canto però soffre, l’artista è straordinaria, in quanto non si è forse mai sentita un’interpretazione così ricca, varia, sfumata, dove ogni frase, ogni parola risultavano così studiate in tutte le loro valenze espressive. Si ascolti nella faticosissima – sul piano vocale – cabaletta del primo atto come la cantante morda la linea, come trasmetta tutto il senso di furiosa frustrazione del personaggio; non da meno è la dolcezza dei duetti con Giulietta o lo straziante dolore del finale, ancor più intenso per essere espresso in tutta la sua misurata classicità. Altro giovane interessante è Benjamin Bernheim, voce chiara e un po’ povera di colori ma sicuro e preciso nel canto e con buono squillo nel settore acuto. Di solida efficacia il Lorenzo di Robert Lorenzi mentre decisamente greve il Cappellio di Alexei Botnarciuc.Fin troppo impetuosa la direzione di Fabio Luisi che cerca di dare all’opera un passo eccessivamente teatrale quasi contrastando con il clima così elegiaco dell’opera belliniana. Si tratta sempre di un direttore di grande qualità per cura e ricchezza di colori e l’orchestra al riguardo suona splendidamente ma sarebbe stato preferibile, almeno da parte dello scrivente, un taglio più sfumato. La regia di Christoph Loy è un classico esempio di teatro di regia alla tedesca destinato irrimediabilmente a dividere gli animi in modo radicale. Ovviamente nulla resta del clima cavalleresco e medioevale della vicenda, in quanto, partendo da un pregiudizio tanto caro a un certo nord-Europa – e permeato di un razzismo nemmeno troppo celato – il regista si butta sull’equazione Italia uguale mafia calando tutto in cupe atmosfere di lotte fra clan malavitosi in stile “Il padrino”. Durante il preludio alterna quadri del passato e del futuro di Giulietta – che Loy non fa morire e che si immagina qui anziana infelicemente sposata a Tebaldo per volere famigliare – immersa in in stanze claustrofobiche (le scene e i costumi sono a fima di Christian Schimdt),  e circondata da cadaveri accatastati. A differenza di altri Loy ha una notevole capacità di lavorare sulla recitazione e anche in questo caso è innegabile che si noti una grande cura al riguardo mentre la vicenda è svolta in modo sostanzialmente lineare. Resta però l’impressione che le atmosfere luminose e cavalleresche dell’opera belliniana stridano in modo fin troppo evidente con la cupezza della regia.