Novara, Teatro Coccia. “Mosè in Egitto”

Novara, Teatro Coccia, stagione lirica 2018/19
“MOSÈ IN EGITTO”
Azione tragico-sacra in tre atti su libretto di Andrea Leone Tottola.
Musica di Gioacchino Rossini
Faraone ALESSANDRO ABIS
Amaltea SILVIA DELLA BENETTA
Osiride RUZIL GATIN
Mambre MARCO MUSTARO
Elcia NATALIA GAVRILAN
Mosè FEDERICO SACCHI
Aronne MATTEO ROMA
Amenofi ILARIA RIBEZZI
Orchestra della Toscana
Coro Ars Lyrica
Direttore Francesco Pasqualetti
Regia Lorenzo Maria Mucci
Scene e costumi Josè Yaque, Valentina Bressan
Luci Michele della Mea
Novara, 18 novembre 2018
Le celebrazioni del centocinquantenario della scomparsa di Rossini stanno purtroppo passando con una scarsa attenzione da parte di molti teatri che al compositore hanno dedicato poche e spesso scontate produzioni. In questo contesto si apprezza ancora di più la scelta dei teatri di Novara e Pisa di ricordare il compositore con un nuovo allestimento del “Mosé in Egitto” di cui si ricordano anche i duecento anni dalla prima napoletana. Una proposta coraggiosa che nell’insieme ha pagato pur con tutte le difficoltà che comporta allestire un titolo come questo. A funzionare in primo luogo è la parte visiva, essenziale e rigorosa come ben si addice a una vicenda archetipica come questa che per sua natura richiede lo spostamento su un terreno altro rispetto alla realtà contingente. L’artista cubano Josè Yaque, specializzato nell’utilizzo artistico dei materiali di scarto, crea un suggestivo impianto giocando al meglio sul labile confine fra modernità e tradizione. Utilizzando esclusivamente materiali di scarto – in coerenza con il suo forte messaggio ambientalista – Yaque ricostruisce un antico Egitto rigoroso e stilizzato dominato da austeri monoliti così come sobri e rigorosi sono i costumi dove precisi elementi egizi – come le acconciature arpocratiche dei fanciulli – sono calati in un contesto di astratto rigore. Sempre sul piano dei costumi si nota una netta contrapposizione fra le tinte chiare e calde degli egiziani e quelle scure, spente degli ebrei, rudi pastori del deserto. Altrettanto rigore mostra la regia di Lorenzo Maria Mucci che vede l’opera soprattutto come scontro politico fra una civiltà più raffinata ma vittima del proprio senso pratico – la “ragion di stato” così spesso evocata nel libretto – e una forza più barbara ma più determinata nella propria granitica visione del mondo. Regia che presente nel suo rigore momenti di fortissima intensità espressiva come il finale primo con gli ebrei che avanzano verso il proscenio nelle loro tuniche brune intonando il feroce inno di vendetta “Dio così stermina/ i suoi nemici…” inquietante evocazione dei tanti orrori di cui il fanatismo monoteista si sarebbe reso protagonista nei secoli.
La parte orchestrale era affidata all’Orchestra della Toscana guidata da Francesco Pasqualetti. Fra l’orchestra e il proprio direttore risultava palese una profonda intesa che ha positivamente giovato sulla resa complessiva. Direttore eclettico, Pasqualetti manca dell’approfondimento degli autentici specialiasti ma dirige con rigore e professionalità riuscendo a reggere con mano sicura la complessità della costruzione rossiniana. A tratti il volume di suono poteva parere fin eccessivo per una sala dall’ottima acustica come quella del Coccia così come una maggior levigatezza sarebbe stata auspicabile in alcuni passaggi ma si resta sempre nell’ambito di una rigorosa professionalità. Il coro Ars Lyrica si mostra pienamente all’altezza dell’impegno che la scrittura oratoriale della partitura richiede alle masse corali. Annunciato indisposto, Federico Sacchi affronta ugualmente il ruolo del titolo. La voce è solida e l’accento deciso si confanno al ruolo così come un settore grave di buona sonorità mentre in quello acuto apparivano alcune difficoltà. Qualche problema di emissione è forse da collegare al non perfetto stato di salute. Scenicamente è perfetto con il suo aspetto da apostolo di un mosaico paleocristiano mentre l’accento tratteggia un personaggio duro e arcigno, totalmente rivolto alla propria causa, in questo pienamente in linea con la regia. Il suo contraltare è il Faraone di Alessandro Abis, ragazzo giovanissimo dotato di un materiale sicuramene interessante e di un’ottima preparazione stilistica ma impegnato in un ruolo ancora al di sopra delle proprie possibilità. Abis si impegna con convinta attenzione ma la voce è da autentico basso e l’alta tessitura del ruolo, spesso quasi baritonale, lo mette purtroppo in difficoltà.Ruzil Gatin, come Abis prodotto dell’Accademia Rossiniana di Pesaro, è stata la vera rivelazione dello spettacolo. Il giovane tenore russo non avrà il corpo vocale ideale per il ruolo di Osiride scritto per Nozzari ma sfoggia una fluidità di canto, una naturalezza nei passi di coloratura e una facilità negli acuti che lasciano prevedere un roseo futuro. Certo deve ancora maturare – specie come interprete – ma le qualità di partenza sono innegabili. Chi invece è al pieno della propria maturità vocale ed espressiva è Silvia Della Benetta alle prese con il ruolo di Amaltea in cui ha ottenuto un trionfo personale. La voce è rilevantissima per pienezza e proiezione, ampia, timbrata, sicura su tutta la gamma e la tessitura sostanzialmente centrale di Amaltea esalta le qualità migliori del timbro della cantante. Nel corso degli anni la voce ha acquisito una patina di matura femminilità particolarmente congeniale al ruolo e le qualità interpretative e di temperamento completavano una prestazione maiuscola. Corretta ma meno entusiasmante l’Elcia di Natalia Gavrilan, timbro particolare – non piacevolissimo – ma buona linea di canto e fraseggio attento e curato. Vocalmente si avvertiva l’assenza di quella luminosità che attacchi come “Celeste man placata” o “Mi manca la voce” sembrano pretendere ma nell’insieme si rimaneva in una prestazione di solido professionismo. Vocalmente preciso e interpretativamente sobrio ed efficace il Mambre di Marco Mustaro; completavano positivamente il cast Matteo Roma (Aronne) e Ilaria Ribezzi (Amenofi). Foto Finotti