Giacomo Puccini 160: “Madama Butterfly” (1904)

A 160 anni dalla nascita
Mentre era ancora viva l’eco della prima rappresentazione di Tosca, Puccini già fremeva alla ricerca di un soggetto per una nuova opera, al punto che in una lettera indirizzata alla futura moglie Elvira si autodefiniva, utilizzando un suo neologismo, inoperaio e in un’altra del mese di agosto dello stesso anno indirizzata a Ricordi si firmava il vostro operaio disoccupato. Tra i soggetti proposti in questo periodo Puccini manifestò un certo interesse per il celebre romanzo di Alphonse Daudet Tartarin de Tarascon, ma i suoi entusiasmi furono raffreddati sia da Illica che da Ricordi i quali lo ritenevano comico e, quindi, poco adatto alla sua vena musicale. La ricerca si concluse, in modo del tutto inaspettato, una sera a Londra, dove Puccini si trovava nell’estate del 1900 per le rappresentazioni di Tosca al Covent Garden. Quella sera, infatti,  il compositore, pur non comprendendo quasi nulla, dal momento che non conosceva l’inglese, rimase fortemente impressionato dall’impatto drammatico di un lavoro che in quel periodo si dava a Londra, l’atto unico Madama Butterfly di David Belasco che, alla prima rappresentazione al Duke of York’s Theatre con Evelyn Millard nella parte della protagonista, aveva ottenuto un successo tale da essere replicato fino a luglio. Secondo il racconto, per la verità poco attendibile, di Belasco, Puccini, che si sarebbe recato, subito dopo la rappresentazione, nel suo camerino per chiedergli il permesso di musicare questo suo lavoro, avrebbe dato vita ad una scena poco rispondente alla verità dei fatti:
“Giacomo Puccini, il compositore italiano, era presente quella notte e, dopo che il sipario fu calato, venne dietro le quinte per abbracciarmi con entusiasmo e chiedermi di concedergli di servirsi di Madama Butterfly per un libretto d’opera. Fui subito d’accordo e gli dissi che poteva fare qualunque cosa gli piacesse del dramma e che preparasse qualunque tipo di contratto dal momento che è impossibile discutere di affari con un impulsivo italiano che ha le lacrime agli occhi e ti mette tutte e due le braccia al collo. Non potevo mai credere che egli abbia visto Madama Butterfly quella prima notte; aveva solamente sentito la musica che avrebbe scritto”.
La verità è un po’ diversa: le trattative, condotte da George Maxwell, rappresentante a New York di Ricordi, ci furono e non si conclusero prima del mese di aprile del 1901 quando fu firmato il contratto con Belasco. Puccini, tuttavia, confidando sul consenso verbale strappato al drammaturgo, aveva cominciato a lavorare all’argomento sin dal mese di novembre abbozzando dei progetti iniziali di adattamento scenico. All’inizio aveva pensato di fare un atto unico, l’attuale primo atto, con un prologo, poi di stenderne due, dei quali il primo avrebbe dovuto essere ambientato nel Nord America, mentre il secondo in Giappone. Infine decise di affidarsi ad Illica affinché ricavasse importanti idee dalla lettura del romanzo, pubblicato da John Luther Long, un avvocato di Philadelphia, nel 1898 sul «Century Magazine», di cui il dramma di Belasco era a sua volta un adattamento teatrale. Il romanzo di Long era ispirato ad un fatto vero, di cui lo scrittore era venuto a conoscenza grazie alla sorella, Mrs. Irwin Corell, moglie di un missionario americano a Nagasaki, la quale aveva appreso da un mercante, la triste storia di una geisha, convertita al cristianesimo proprio dall’American Missionary House di Nagasaki. Firmato il contratto con Belasco, l’adattamento della Butterfly fu abbastanza facile, anche perché il testo teatrale si prestava molto bene ad una trasposizione per il teatro musicale. Messosi  al lavoro con un certo entusiasmo, Puccini, per creare un’opera il più possibile realistica, cercò di documentarsi sul suono della lingua e sulle caratteristiche della musica giapponese e a tale fine, nella primavera del 1902 contattò la grande attrice giapponese Sada Yacco, in quel momento a Milano, per sentirla parlare nella lingua originale. Per la stessa ragione aveva incontrato anche la moglie dell’ambasciatore giapponese in Italia, dalla quale aveva appreso importanti notizie sui costumi di quella nazione e dalla cui voce aveva sentito alcuni canti della sua terra natale. Sembra che la donna gli abbia dato anche consigli a proposito dei nomi dei personaggi e, in particolar modo, di quello del principe Yamadori, a suo giudizio, poco adatto ad essere attribuito a un uomo, dal momento che era tipicamente femminile. Alla fine del mese di novembre del 1902 egli aveva iniziato l’orchestrazione del primo atto e il lavoro sembrava procedere con una certa facilità quando, vittima di un incidente d’auto, il 25 febbraio 1903 mentre era di ritorno a Torre del Lago di notte con la moglie Elvira e il figlio Tonio dopo una cena a Lucca, fu costretto a ben otto mesi di convalescenza. Ripreso soltanto alla fine dell’estate e portato a termine il 27 settembre alle 11:10 di sera, il lavoro, nella versione in due atti andò in scena il 17 febbraio 1904 alla Scala di  Milano, ma, nonostante l’ottimo cast, che comprendeva Rosina Storchio (Cio-Cio-San), Giovanni Zenatello (Pinkerton) e Giuseppe De Luca (Sharpless) e con Cleofonte Campanini sul podio, fu un clamoroso fiasco.  Impietosi furono anche i giornali dell’epoca nei cui titoli si lesse: «Puccini fischiato», «Fiasco alla Scala» o ancora «Butterfly, opera diabetica, risultato di un incidente». Puccini, convinto dei valori musicali della sua opera, il giorno dopo la sfortunata prima alla Scala, scrisse a Camillo Bondi, un suo amico milanese: «la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e più suggestiva che io abbia mai concepito! e avrò la rivincita, vedrai – se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni». Puccini ebbe effettivamente ragione e l’opera, con Salomea Krusceniski nella parte della protagonista al posto della Storchio,  trionfò al Teatro Grande di Brescia il 28 maggio 1904 in una sala gremita di importanti personalità del mondo musicale milanese, tanto che la rappresentazione può essere ritenuta di pari livello rispetto ad una vera e propria prima alla Scala. Contrariamente alla dichiarazione iniziale di non volere toccare nulla, il compositore apportò delle modifiche non solo per quest’occasione, ma anche in seguito, al punto che si contano quattro diverse versioni a stampa. Le modifiche più significative furono la divisione del secondo atto nell’attuale secondo e terzo dove fu aggiunta la romanza Addio fiorito asil e l’eliminazione delle battute colonialistiche di Pinkerton nel primo.