Torino, Teatro Regio:”Madama Butterfly”

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera 2018/19
“MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in due atti (tre parti) su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal racconto di John Luther Long e dal dramma di David Belasco
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio Cio San) REBEKA LOKAR
F.B. Pinkerton MURAT KARAHAN
Sharpless SIMONE DEL SAVIO
Suzuki SOFIA KOBERIDZE
Goro LUCA CASALIN
Il principe Yamadori PAOLO MARIA ORECCHIA
Lo zio Bonzo IN-SUNG SIM
Il commissario imperiale MARCO TOGNOZZI
Kate Pinkerton ROBERTA GARELLI
Lo zio Yakusidé FRANCO RIZZO
L’ufficiale del registro GIUSEPPE CAPOFERRI
La madre di Cio Cio San CLAUDIA DE PIAN
La zia RITA LA VECCHIA
La cugina ASHLEY MILANESE
Ballerini LETIZIA GIULIANI, FRANCESCO MARZOLA
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Daniel Oren
Regia, scene e costumi Pierluigi Pizzi
Coreografia Francesco Marzola
Luci Fabrizio Gobbi
Maestro del coro Andrea Secchi
Torino,  20 gennaio 2019
La farfalla torna a volare a Torino; è infatti la quarta volta negli ultimi dieci anni che “Madama Butterfly” viene allestita sul palcoscenico del Regio. Dopo l’iconoclastia di Michieletto – la cui regia aveva caratterizzato le tre precedenti produzioni – si assiste al ritorno all’ordine con la scelta di proporre lo spettacolo concepito nel 2009 da Pier Luigi Pizzi (autore di regia, scene e costumi) per lo Sferisterio di Macerata. La concezione dell’impianto per un contesto particolare come quello maceratese penalizza in parte la resa visiva dello spettacolo costretto a una veduta rigidamente frontale non ideale per la concezione architettonica e tridimensionale della scenografia di Pizzi. Lo spettacolo resta però un capolavoro di equilibrio formale. Una lettura tradizionalissima e rigorosa ma che della tradizione recupera gli elementi migliori decantandoli e purificandoli da quel sovraccarico di orpelli che spesso invadono gli allestimenti di quest’opera. Un impianto elegante e formale con la casa di Cio Cio San isolata da alcune passerelle rispetto al mondo circostante, la casa della tradizione ma resa con una rigorosa purezza geometrica. Pochissimi elementi d’arredo – il Buddha di fronte a cui prega Suzuki, un albero di ciliegi e quasi nell’altro – costumi molto belli tutti giocati su colori spenti, varianti di bianco, di nero, di grigio, colori dominanti anche la scenografia. Una visione rigorosa e impeccabile, profondamente giapponese nel suo rifarsi alle concezioni dell’estetica Zen e lontana da ogni troppo facile bozzettismo. Altrettanto sobria e rigorosa la recitazione, tutta centrata su gesti parchi ma intensi cui sfugge solo il volgare gesticolare di Pinkerton; si veda il nobile contegno dei parenti di Cio Cio San – ripuliti di ogni carattere macchiettistico – così da rendere ancora più fuori luogo i commenti sarcastici di Pinkerton. Un tocco di originalità durante il preludio al III atto con il coro che appare in scena nelle vesti dei famigliari di Cio Cio San mentre lo Zio Bonzo li guida suonando la viola; ma essi appaiono come disincarnati nei veli bianchi che li celano. Lo spettacolo è arricchito da visioni di sogno, ombre degli antenati, yōkai il cui dolce canto accompagna il riposo di Butterfly e segna la pacificazione con il proprio mondo pronto a riaccoglierla nella morte; queste sono visioni che aprono la strada ai sogni felici della fanciulla realizzati con un breve ed elegante momento di danza. Pizzi come da tradizione fa compiere a Butterfly il Seppuku anziché il più corretto Jigai messo in scena da Hermanis nella scorsa produzione scaligera.
Sul piano musicale difficilmente si poteva fare scelta migliore di Daniel Oren che qui conferma lo speciale legame che ha con il repertorio pucciniano e in specie proprio con “Madama Butterfly”. Una direzione che non cerca tanto i possibili agganci con la scena europea, ma esalta le qualità intrinseche della partitura. La bellezza più autentica di quest’opera è nella scrittura orchestrale e Oren è maestro nel coglierne le suggestioni cromatiche e timbriche. La sua è una lettura setosa, levigata, carica di erotismo in cui emergevano con ancor maggior evidenza certe sciabolate sonore che scuotono come il vento scuote le fronde, quelle delicatezze cameristiche che il direttore sa pienamente esaltare. Una lettura vivida e pulsante, di una ricchezza di colori e di accenti pianamente riuscita e a cui i complessi del Regio in grandissima giornata forniscono tutto il loro contributo. Altrettanto positiva la prova del coro impegnato in pochi ma fondamentali momenti.
Già notevole interprete di Turandot nella scorsa stagione Rebeka Lokar è una rilevantissima Butterfly. Voce ampia, imponente, scultorea in tutta la gamma, venata di suggestive bruniture nel registro grave e di acuti ampi e sicuri, la Lokar non solo regge senza cedimenti una parte impegnativa come poche altre per lunghezza e impego della scrittura ma riesce con maestria a piegare l’imponente mezzo vocale ad una ricerca sempre attenta di colori e dinamiche. Una voce di questo tipo ovviamente deve giocare un po’ in difesa nelle fragilità adolescenziali del I atto ma questa Cio Cio San così seria, così nobilmente profonda fin da subito non manca di suggestione; già dal principio è chiara quella grandezza d’animo che solo Pinkerton non riesce e non può cogliere nel suo “facile vangelo”. A partire dal II atto la Lokar può far trionfare le sue qualità drammatiche ma senza mai trascurare fraseggio ed espressione come in un “Un bel dì vedremo” autenticamente cesellato nelle sue valenze espressive. Al suo fianco si inserisce alla perfezione la Suzuki di Sofia Koberidze, essenziale ed elegante nel canto come nell’interpretazione con un sempre presente sottofondo di tenera umanità. Le voci della Lokar e della Koberidze si sposano inoltre alla perfezione nel duetto del II atto. Mezzi decisamente interessanti ma ancora da maturare sfoggia la vocalità del tenore Murat Karahan, voce di bel colore, potente e sicura con acuti ricchi di suono anche se con emissione troppo di gola. A latitare è però soprattutto quella naturalezza del canto di conversazione che della vocalità pucciniana è l’elemento essenziale. Considerando l’ancor giovane età, i margini di miglioramento non mancano. Ben cantato e interpretato con cura e sensibilità lo Sharpless di Simone del Savio. Im-Sung Sim è uno Zio Bonzo ben presente vocalmente e giustamente essenziale nell’accento; Luca Casalin (Goro), sebbene appaia un po’ più affaticato vocalmente di altre volta, è sempre un interprete di rara raffinatezza. Positive le prove di tutte le parti di fianco e una nota per la particolare bravura attoriale della piccola Sofia La Cara come Dolore. Successo convinto per tutti gli interpreti con autentiche ovazioni per Oren.