Altamura, Teatro Mercadante: “Il barbiere di Siviglia”

Altamura, Teatro Mercadante
IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti libretto di Cesare Sterbini.
Musica di Gioachino Rossini
Il conte d’Almaviva NICO FRANCHINI
Don Bartolo DOMENICO COLAIANNI
Rosina GAIA PETRONE
Figaro MARCELLO ROSIELLO
Berta ANNA MARIA STELLA PANSINI
Fiorello VINCENZO PARZIALE
Ambrogio SILVANO PICERNO
Orchestra Sinfonica Città Metropolitana di Bari
Coro Maschile Mercadante
Direttore d’orchestra Giovanni Rinaldi
Maestro del coro Alfredo Luigi Cornacchia
Regia Luigi Travaglio
Scene Damiano Pastoressa
Costumi Angela Gassi
Lighting designer Giuseppe Ruggiero
Coreografie Francesco Colonna
Altamura, 23 marzo 2019
Dopo Serva padrona di Pergolesi il Teatro Mercadante di Altamura – gioiello ottocentesco restaurato e riaperto al pubblico dopo quarantacinque anni di silenzio – prosegue la sua programmazione lirica con Barbiere di Siviglia, titolo che ha fatto registrare un concorso di pubblico straordinario. Che il circuito teatrale pugliese, floridissimo fino a tutto l’Ottocento, si stia oggi riattivando grazie alla programmazione dei teatri comunali, tornati a nuova vita, è un dato di fatto che testimonia l’attuale ricchezza culturale della Puglia, regione pilota di un meridione d’Italia propositivo e vitale. Un’opera tanto celebre, proposta peraltro con scene e costumi tradizionali, può correre il rischio di risultare scontata. Ciò non è accaduto alla fresca regia di Luigi Travaglio che ha saputo rispettare il ritmo della drammaturgia originale di Sterbini e Rossini senza sovrapporvi ulteriori livelli di lettura. Ciò nondimeno il regista ha pensato ad acclimatare l’ambientazione in un Sud familiare, a cominciare dai suonatori dell’Introduzione – interpretati dai bravi coristi guidati dal M° Alfredo Luigi Cornacchia – che sembravano usciti da un presepe napoletano, per continuare poi con la scena del travestimento di Almaviva in Don Alonso, dove i recitativi venivano recitati con inflessioni del dialetto altamurano. Don Basilio, inoltre, nel rassicurare Bartolo modifica il verso originale «noi lo farem sloggiar da queste mura» in «noi lo farem sloggiar da Altamura» ammiccando in modo divertito e divertente al pubblico. Si tratta di piccole strizzate d’occhio intese a rendere familiare un’opera famosa ai più ma che in una città rimasta priva del proprio teatro per tanti anni può suonare nuova. Anche l’idea di coinvolgere tra le comparse le giovani danzatrici d’una realtà locale come la scuola Ecole d’Etoile diretta da Mariagrazia Continisio era volta a stringere il tessuto stesso della comunità cittadina dentro la realtà del melodramma: non a caso alla fine dell’opera sul fondale veniva proiettato l’interno del teatro a ribadire un gioco di specchi tra la realtà della platea e il mondo fittizio del palcoscenico. In una città importante della Puglia ma priva dell’esperienza diretta dell’opera lirica, questo Barbiere ha voluto rimarcare l’assoluta coincidenza tra Arte e Vita, tra un mito del melodramma e il vissuto degli spettatori. Nulla di casereccio o improvvisato, beninteso, in questa impostazione registica – anche se talvolta i movimenti dei figuranti sortivano una certa caoticità – al contrario si può affermare che pure i più esperti conoscitori dell’opera rossiniana hanno ricevuto un’idea di freschezza e di sincerità espressiva, corroborata dalla scarna semplicità delle scene di Damiano Pastoressa. Suggestiva poi la resa del Temporale attraverso una coreografia più complessa che impegnava le danzatrici a muovere un enorme lenzuolo blu, evocativo degli effetti di mare in tempesta di certa effettistica del teatro barocco. Curati nei dettagli i costumi, disegnati appositamente dalla brava Angela Gassi, con particolare merito negli accostamenti cromatici delle truppe di soldati e nella sontuosità degli abiti di Don Bartolo, funzionale a una lettura del personaggio mai caricaturale. Attento all’incedere della musica anche il disegno luci di Giuseppe Ruggiero. La correttezza del direttore Giovanni Rinaldi nel guidare l’ottima Orchestra Sinfonica Città Metropolitana di Bari (l’ex Orchestra della Provincia) – una realtà radiosa del territorio pugliese che merita il sostegno delle istituzioni locali forse più di quanto attualmente si faccia – ha evitato di sfilacciare i tempi dei concertati e ha assicurato straordinaria compattezza all’intera opera. Un merito particolare va tributato ai corni e alle trombe. Per quanto concerne il cast una prima menzione d’onore va a Domenico Colaianni, maestro impeccabile dell’operismo buffo che, nel pieno della sua maturità artistica, continua ad abbinare arte canora e attoriale in modo mirabile: specialista nell’interpretare i ruoli dei buffi caricati – dai primi intermezzi d’inizio Settecento fino alle opere Ottocentesche “nazionalpopolari” (quali il Don Checco del barese Nicola De Giosa), passando per i maggiori titoli di Paisiello – Colaianni ha qui scelto di caratterizzare Don Bartolo come un aristocratico dottore spagnolo, determinato e intelligente. La nobiltà dell’incedere al suo ingresso in scena ricordava quasi uno Scarpia e, in effetti, il personaggio possiede analoghi tratti di cinismo e crudeltà, spesso travisati da interpretazioni volte a rimarcarne il lato ridicolo. Di certo la capacità improvvisativa comica di Colaianni non era arginata (nel rimpiangere la musica dei suoi tempi Bartolo non citava il castrato Caffariello ma Patty Pravo! una gag forse creata all’impronta dalla verve del baritono barese), ma non ha mai prevalso la facile caricatura; questa era semmai pertinenza del Don Basilio di Marco Pauluzzo, un basso con tanti anni di carriera alle spalle che ha compensato una certa stanchezza nella voce con una irresistibile comicità nel suo porsi sulla scena. Stupenda, per qualità della voce e padronanza scenica, l’interpretazione di Marcello Rosiello, un baritono di straordinaria levatura per ricchezza di armonici, squillo, proiezione, verve attoriale. Di rado si ascolta un Figaro così vicino al dettato rossiniano, curatissimo nei rapidi sillabati e uniforme in ogni registro. Ottima anche la Rosina di Gaia Petrone, mezzosoprano scuro che ha caratterizzato in senso quasi virile il personaggio, sfrondandolo dagli inopportuni vezzi di tante interpretazioni del passato. Punto di forza di questa giovane cantante sono le colorature, sempre ben sgranate e stilisticamente adeguate, così come il colore della tessitura centrale, intenso e vibrante. Nico Franchini si staglia tra le più promettenti giovani voci presenti in Puglia, con particolare riferimento al grande repertorio belcantistico; in questo caso si è messo alla prova nell’affrontare la vocalità di Almaviva, a lui meno consona e insidiosa per i tanti passaggi di coloratura che gli riservano ancora un margine di crescita. La cura riservata alle dinamiche e la bellezza naturale del timbro della sua voce hanno tuttavia garantito una piena riuscita, dovuta anche all’assoluta dedizione riversata in questo ruolo. La prorompente fisicità e l’intrinseca verve comica di Franchini hanno peraltro contrassegnato in modo nuovo la baldanza del personaggio del conte dando vita a momenti di memorabile ilarità. Molto buona anche la Berta di Anna Maria Stella Pansini e il Fiorello del giovane Vincenzo Parziale.