Hector Berlioz 150 (1803 – 1869): “Benvenuto Cellini” (1838)

Opéra in due atti su libretto di Léon de Wailly e Auguste Barbier. John Osborn (Benvenuto Cellini), Maurizio Muraro (Giacomo Balducci), Laurent Naouri (Fieramosca), Orlin Anastassov (Papa Clemente VII), Nicky Spence (Francesco), Scott Corner (Bernardino), André Morsch (Pompeo), Marcel Beekman (L’oste), Mariangela Sicilia (Teresa), Michèle Losier (Ascanio). Chorus of Dutch National Opera, Ching-Lien Wu (Maestro del coro), Rotterdam Philarmonic Orchestra, Mark Elder (direttore). Terry Gilliam (regia), Terry Gilliam e Aaron Marsden (scene), Katrina Lindsay (costumi), Leah Hausman (coreografie), Paule Constable (luci), Finn Ross (video). Registrazione: Maggio 2015. T.Time: 180′ 2 DVD Naxos
E’ finalmente disponibile in video la registrazione di uno degli spettacoli più interessanti visti sulla scena europea degli ultimi anni. Per prima cosa si apprezza il fatto che sia disponibile una nuova edizione video di “Benvenuto Cellini” dopo quella salisburghese diretta da Gergiev nel 2007 in secondo luogo perché Terry Gilliam realizza uno spettacolo straordinario capace di cogliere tutta la contradditoria natura di quest’opera che sfugge a qualunque classificazione. Grand’opéra storico arricchito da elementi buffi, opera semi-seria portata al massimo grado di spettacolarizzazione, commedia storica, qualunque definizione sfiora senza riuscire a definire con precisione questa turbinante opera che non teme di volteggiare sul filo dell’eccesso ma sempre tenendosene a giusta distanza pronta a spiccare il volo verso le sublimi vette della più alta ispirazione. E così è lo spettacolo di Gilliam, vorticoso d’immagini, di colori, di movimenti – le grandi scene di massa dei primi atti – umanissimo nei momenti più teneri, autenticamente epico nella grandiosa scena conclusiva della fucina. Spettacolo tutto da vedere e da cui farsi trascinare come da un inarrestabile fiume a cui si perdona volentieri qualche piccola volgarità di cui si sarebbe potuto far a meno pur non risultando totalmente impropria nel contesto carnascialesco del II atto.
Per quanto riguardo l’aspetto più prettamente estetico la vicenda è stata trasposta dagli inizi del XVI secolo alla metà del XIX, più o meno in contemporanea alla composizione dell’opera e in sintonia con il mito romantico dell’artista che tutta la sottende. Qualche voluto anacronismo contribuisce con qualche tocco fiabesco a creare un clima vagamente onirico. Antinaturalistiche sono le scene che ricalcano direttamente le incisioni di Piranesi mantenendo un tratto grafico e disegnativo che si realizza in un’estetica bidimensionale – le statue fuse nel V atto sono pure sagome come figure ritagliate da un libro, i segni di stampa che si riconoscono sugli edifici – a dare l’impressione di un album grafico d’epoca animato per un sortilegio.
Mark Elder non ha paura della dimensione spesso eccessiva delle invenzioni berlioziane e vi si getta con ardimento e convinzione ma anche con rigoroso senso del mestiere. La sua è una direzione teatralissima, ricca di colori, di luci, di riflessi ma dove anche l’abbandono più estroverso nasconde sempre un rigore di fondo che si esalta nella capacità di concertare senza la minima sbavatura le complesse architetture sonore dei finali d’atto senza perdere nulla in fatto di brillantezza sonora e passo teatrale. La direzione di Elder può brillare di queste qualità anche per la prova strepitosa della Rotterdam Filharmonisch Orkester e del Coro dell’Opera Nazionale Olandese (magnificamente diretto da Ching-Lien Wu) autori di prove semplicemente maiuscole sotto ogni punti di vista.
La qualità registica e orchestrale trova per altro conferma anche nell’ottima compagnia di canto. John Osborn non è solo il miglior Cellini immaginabile nei nostri tempi ma forse l’unico a non sfigurare di fronte all’interpretazione paradigmatica di Gedda. Sul piano strettamente vocale Osborn mostra una sicurezza tecnica e una robustezza invidiabili che gli permettono di reggere con impressionante facilità una delle tessiture più impervie dell’intero repertorio ottocentesco. Alle qualità del cantante si assommano quelle dell’interprete. Osborn coglie tutte le contradditorie anime di Cellini, fa convivere il gusto per la spavalderia dei primi due atti con la dolcezza dei duetti con Teresa, l’abbandono romantico di “Sur les monts les plus sauvages” con l’eroismo titanico del finale. Una grande prova di maturità artistica oltre che di canto.
Mariangela Sicilia è una Teresa incantevole. Bellissima voce di soprano lirica, di una luminosità serica e molto femminile, linea di canto di raffinata eleganza, ottime doti nel canto di coloratura – si ascolti con quale sicurezza è risolta la cadenza di “Entre l’amour et le devoir”. L’irresistibile simpatia sul piano scenico contribuisce infine alla piena riuscita del ruolo.
Maurizio Murato (Giacomo Balducci) e Laurent Naouri (Fieramosca) sono una perfetta copia comica impeccabile nei tempi teatrali. Vocalmente brilla decisamente più il secondo, superiore per freschezza vocale e qualità del materiale, tanto che il suo “Ah! Qui pourrait me résister’” è un piccolo gioiello di finezza esecutiva. Il primo è un po’ più generico ma canta comunque con proprietà e interpreta con cura la propria parte. Michèle Losier è dal punto di vista scenico semplicemente perfetta nei panni maschili di Ascanio, dispone di un’ottima qualità vocale e canta con gusto ed eleganza. Un po’ sotto tono il Clemente VII di Orlin Anastassov; pur scenicamente godibilissimo nel taglio surreale che la regia dà del ruolo trasformando il Pontefice in una sorta di mandarino orientale abbastanza buffo, il cantante difetta, però, di qualità vocale – il timbro è poco seducente, la tenuta vocale non così ferma come si vorrebbe – e la buona personalità interpretativa non è sufficiente per rendere la statura del personaggio. Ottimi sia il Pompeo di André Morsch sia la coppia degli assistenti di Cellini formata da Francesco di Nicky Spence e dal Bernardino di Scott Conner. Completa il cast l’oste di Marcel Beekman.