“La Vedova Allegra” torna al Teatro dell’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2018/2019
“DIE LUSTIGE WITWE” (La vedova allegra)
Operetta in tre atti,
libretto di Viktor Léon e Leo Stein, dalla commedia L’Attache d’ambassade di Henri Meilhac.
Musica di Franz Lehàr
Barone Mirko Zeta   ANTHONY MICHAELS-MOORE
Valencienne  ADRIANA FERFECKA
Hanna Glawari  NADJA MCHANTAF
Graf Danilo Danilowitsch  PAULO SZOT
Camille De Rossilon  PETER SONN
Raoul de St Brioche MARCELLO NARDIS
Vicomte Cascada SIMONE SCHORR
Bogdanowitsch  TIMOFEI BARANOV*
Sylviane RAFAELA ALBUQUERQUE*
Kromow ROBERTO MAIETTA*
Olga IRIDA DRAGOTI*
Pritschitsch ANDRII GANCHUK*
Praskowia SARA ROCCHI*
Njegus KARL-HEINZ MACEK
*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Constantin Trinks
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia
Roma, 19 aprile 2019

Dopo essere andata in scena al Teatro La Fenice di Venezia, giunge a Roma La Vedova Allegra di Lehàr nell’allestimento curato da Damiano Michieletto e da noi visto nella penultima replica prevista che, certamente per un involontario errore  nella programmazione, è capitata di Venerdì Santo quasi in sovrapposizione con la Via Crucis presieduta dal Santo Padre al Colosseo. Il regista traspone la vicenda in una ambientazione degli anni ’50 ed all’interno di una immaginaria Banca del Pontevedro con l’idea che il denaro sia il motore di tutta la storia. Così niente più aristocrazia, ambasciate, salotti e quant’altro  ma ambientazione assolutamente borghese e da ufficio. Il Barone Zeta diviene il direttore dell’istituto di credito sull’orlo della bancarotta, il conte Danilo uno svogliato, piacente e scapestrato impiegato, la signora Glawari una ricca e scollacciata correntista e il lied di Vilja viene intonato innanzi ad un improbabile microfono vicino ad una batteria e ad una tastiera che allietano la festa del secondo atto.
L’operetta viene eseguita in tedesco con i sovratitoli in italiano e in inglese a dispetto del titolo annunciato in italiano e della presenza di ampie parti di di parlato, con il vantaggio però che così grazie all’ignoranza vengono mitigate le non poche incongruenze fra il testo, anche quello pubblicato nell’interessante e curato programma di sala, e quanto mostrato sulla scena. Il ritmo dello spettacolo indubbiamente c’è, tutti si  muovono con estrema ed ammirevole  disinvoltura sulla scena come in un musical, le melodie sono irresistibili, travolgenti e arcionote ma l’impressione all’ascolto è come se queste venissero presentate come citazione o pretesto per un’altra azione scenica ad esse sovrapposta. Difficile ritrovare la corrispondenza nella parte visiva con quanto questa musica esprima comunque e suo malgrado in termini di eleganza, varietà di stili, ironia, leggerezza. Infine  è soprattutto  difficile ritrovare la sottile, ineffabile ma ben presente malinconia che tinge fascinosamente di sé gli anni della Finis Austriae. Il maestro Constantin Trinks dirige con asciutta eleganza l’orchestra del teatro dell’Opera seguendo ma anche sostanziando il vivace ritmo della narrazione. Buona la prova del coro diretto dal maestro  Roberto Gabbiani.
Hanna Glawari incolore vocalmente ma assai funzionale allo spettacolo per bravura e disinvoltura scenica e stata Nadja Mchantaf. L’impressione è che esegua quanto richiesto con una discreta professionalità e con una oggettiva indubbia bravura sul palcoscenico ma da questo a costruire un personaggio compiuto però ne corre molto. Paulo Szot nonostante un registro medio grave a tratti poco sonoro rende credibile e assai simpatico il personaggio di Danilo. Molto buoni sul piano vocale e scenico viceversa l’altra coppia di amorosi, Camille e Valencienne rispettivamente Peter Sonn e Adriana Ferfecka  entrambi con voci dai timbri belli, solide, ben proiettate ed omogenee che nel duetto del secondo atto hanno offerto il momento musicalmente più interessante della serata. Tutti su un piano di ottima  professionalità gli interpreti delle numerose parti di fianco, compreso il nutrito gruppo dei giovani del progetto Fabbrica. Infine assai efficace Karl-Heinez Macek nei panni di Njegus, il quale sebbene forse il ventaglio non sia l’accessorio principale della borghesia degli anni ’50, riesce a darne un senso teatralmente convincente. Alla fine la musica di Lehàr trionfa e  applausi per tutti. Foto Yasuko Kegeyama