Piacenza, Teatro Municipale: “Kiss me Kate”

Piacenza, Teatro Municipale – Stagione d’Opera 2018-19
KISS ME, KATE
Musical in due atti su libretto di Samuel e Bella Spewak
Musiche di Cole Porter
Fred Graham/ Petruchio TIMOTHY PAGANI
Lilli Vanessi/ Kate ANTONELLA DEGASPERI
Lois Lane/ Bianca LICIA CRISTOFARO
Bill Calhoun/ Lucentio ALESSIO RUARO
Henry Trevor/ Battista CORRADO ABBATI
Flynt/ Gremio CLAUDIO FERRETTI
Riley/ Hortensio LUCA BENINI
Primo Gangster FABRIZIO MACCIANTELLI
Secondo Gangster ALESSIO CIONI
Hattie CRISTINA CALISI
Paul UMBERTO CAPUANO
e con GIORGIA ALUZZI, GIULIA FERRARA, ANTONIETTA MANFREDI, GRETA MOSCHINI
Regia Corrado Abbati
Allestimento scenico e costumi InScena Art Design
Coreografie Francesco Frola
Direzione musicale Barbara Cocconi
Nuova produzione Compagnia Abbati di Reggio Emilia, su licenza Tams-Witmark di New York.
Piacenza, 31 marzo 2019
È ormai costume di molti teatri d’opera importanti di arricchire il proprio calendario di contaminazioni legate al mondo del teatro musicale: non stupisce del tutto, quindi, la scelta del Municipale di Piacenza, che quest’anno ci propone, accanto a titoli più canonici, anche “Kiss me, Kate“ di Cole Porter, grande classico di Broadway ancora poco frequentato in Italia, nonostante risalga a una settantina d’anni fa. Per questa ragione, par giusto dare un accenno della trama, ideata dai coniugi Bella e Samuel Spewack nel ‘48: Fred e Lilli sono regista e primadonna di una compagnia teatrale, ma anche ex marito e moglie freschi di divorzio. L’occasione di lavorare insieme alla “Bisbetica domata” di Shakespeare, fa scattare una serie di battibecchi e riavvicinamenti, in scena oltre che fuori, che coinvolgeranno anche la nuova stellina del teatro Lois, l’attore di lei innamorato Bill e il nuovo ricchissimo fidanzato di Lilli, Harrison; a complicare le cose arriveranno anche i buffi scagnozzi di un malavitoso locale, cui Bill ha rilasciato una cambiale firmandola come Fred. Insomma, la tipica, godibilissima, pochade di una volta. È quindi doppio il piacere, quello di assistere a un classico del teatro musicale, e quello di scoprire un’opera di rara esecuzione nel nostro Paese. È forse per queste aspettative che sorgono fin dall’alzata del sipario alcune perplessità circa la produzione: la prima e più consistente è senz’altro la scelta di usare musiche registrate, e non interpretate dal vivo, magari da un’orchestra ridotta. L’effetto è straniante, anche in virtù del luogo in cui ci troviamo: le bellissime musiche di Porter passano in totale secondo piano, la sensibilità del compositore è sostanzialmente ignorata, travalicata con una nonchalance quasi inquietante. Possiamo dire che di Porter rimanga un alone, un’atmosfera vagamente diffusa da delle casse, nulla più; anche perché, dal punto di vista registico, si è deciso per un adattamento contemporaneo, per cui anche l’aspetto estetico si discosta da quello del celebre compositore americano. È facilmente intuibile come questa mancanza infici la godibilità dell’intero spettacolo, ma, come già anticipato, non è l’unico aspetto poco riuscito: Timothy Pagani (nei panni di Fred) accosta a una gradevole fisicità una buona disinvoltura scenica, credibilità d’attore, fluidità nel movimento coreografico; emergono però dei limiti sul piano vocale, aldilà di un timbro non personalissimo, emergono imprecisioni d’intonazione. Antonella Degasperi (Lilli) evidenzia più o meno gli stessi limiti: da un punto di vista musicale è intonata, ma il suono, di impostazione lirico-pop, risulta poco gradevole; anche lei, tuttavia, sfoggia buon talento scenico – forse solo un po’ manierata. Molto a suo agio nelle parti danzate, più che in quelle cantate, è apparso Alessio Ruaro, confermando una sensazione che già ci aveva dato nello “West Side Story“ bolognese della stagione passata. Piacevole scoperta si è rivelata, d’altro canto, Licia Cristofaro: nella parte della starlet arrampicatrice sociale, quanto di buon cuore o svampita non si sa, dimostra buone doti di attrice, precisione di intonazione e un’inaspettata corposità della voce in “Always true to you (in my fashion)”; anche il ruolo danzato è convincente per armonia ed espressività. Veri beniamini del pubblico sono stati Fabrizio Macciantelli e Alessio Cioni, nei ruoli dei due sgangherati gangster che cercano di estorcere soldi al protagonista, finendo per innamorarsi del teatro. La loro “Brush up your Shakespeare“, dal sapore “petroliniano”, è il momento più gustoso dell’opera, con tanto di bis finale, in pieno stile rivista. Anche la vis comica del regista-attore Corrado Abbati non passa certo inosservata, regalandoci battute fulminanti recitate con la giusta naturalezza e con gli appropriati tempi comici. Sulla sua regia, invece, c’è molto da dire, giacché questo “Kiss me, Kate” presenta una peculiare caratteristica, praticamente ignota al teatro d’opera che di solito recensiamo: la microregia – cioè la cura delle posizioni, dei gesti attoriali, delle intonazioni – è praticamente perfetta, senza la minima svista, e di questo bisogna apertamente rendere atto ad Abbati; è la macroregia, il progetto registico che dovrebbe tenere insieme tutto lo spettacolo, che latita, quando, invece, dovrebbe essere il sostegno principale dell’impalcatura drammaturgica. È un errore ingenuo, quanto non trascurabile: infatti, nel teatro musicale, raramente il testo di scene e canzoni, quando non la vicenda stessa, sa reggere autonomamente l’impatto sul pubblico. La regia si deve porre come intermediario tra opera e pubblico, e questo intermediario si è visto molto poco in questa produzione; un esempio: si è scelto di attualizzare la vicenda, ma i riferimenti sociali in essa contenuti non sono stati attualizzati, e così ci troviamo di fronte un’America nella quale si usa il cellulare, ma un debito di sedici dollari è un debito ingente e dove la mafia si serve di gangster italiani vestiti come Erminio Macario. Si potrebbe controbattere che il testo non andrebbe toccato, e potremmo essere d’accordo su questo, ma allora perché tradurlo? Perché tentare un’attualizzazione tirata per i capelli, come si suol dire, quando “Kiss me, Cate“ è uno splendido esempio di ibrido tra musical americano d’altri tempi e operetta (non per niente il pezzo più celebre è “Wunderbar”)? Ma torniamo alla recita: il resto del cast regala interpretazioni corrette sul piano attoriale e canoro, ma dà il meglio di sé nelle coreografie (riuscitissima è quella su “Too darn hot”, ove pulizia del gesto ed espressione si fondono pienamente); spicca per grazia del gesto e senso del ritmo Cristina Calisi (in altre produzioni pure coreografa), la quale anche dal punto di vista canoro sa farsi notare per la buon tecnica e la naturalezza dell’emissione, nonostante la sua parte risicata. Nelle scene di insieme, i piccoli difetti del singolo vengono pienamente suppliti dalla buona coesione del gruppo, con numeri semplici ma d’effetto, non privi di originalità e contemporaneamente inserendosi nella più chiara tradizione à la Broadway – un plauso al coreografo Francesco Frola. Convincenti e funzionali sono le scenografie (sostanzialmente, un fondale a pannelli semovibili, in grado di passare dalla Padova cinquecentesca ai giorni nostri in un lampo), mentre i costumi “attuali” talvolta hanno un effetto troppo disorientante nella loro semplicità (entrambi questi aspetti sono curati da InScena Art Design). Tutto sommato uno spettacolo godibile, con chiare pecche, cui però il pubblico piacentino – non molto, in verità – non pare fare troppo caso: gli applausi sono scroscianti e la soddisfazione sembra generale. Meglio così.