Torino, Teatro Regio: “La Sonnambula” (cast alternativo)

Torino, Teatro Regio, Stagione lirica 2018/19
“LA SONNAMBULA
Melodramma in due atti su libretto di Felice Romani da “La Somnambule ou l’Arrivée d’un nouveau seigneur” di Eugène Scribe e Jean-Pierre Aumer
Musica di Vincenzo Bellini
Amina HASMIK TOROSYAN
Elvino PIETRO ADAINI
Il conte Rodolfo RICCARDO FASSI
Lisa ASHLEY MILANESE
Teresa NICOLE BRANDOLINO
Alessio GABRIELE RIBIS
Un notaro VITO MARTINO
Orchestra e coro del Teatro Regio
Direttore Renato Balsadonna
Regia Mauro Avogadro
Scene Giacomo Andrico
Costumi Giovanna Buzzi
Luci Andrea Anfossi
Maestro del coro Andrea Secchi
Torino,  19 aprile 2019

Cast giovane è forse il termine ideale per definire quello alternativo messo insieme dal Teatro Regio per questa “Sonnambula” che riporta sul palcoscenico subalpino l’opera belliniana a più di vent’anni dall’ultima esecuzione affidandone in questo caso l’intepretazione a un insieme di giovani voci nel complesso decisamente interessanti.
Per l’occasione si è riproposto il medesimo allestimento di allora con regia di Mauro Avogadro, le scene di Giacomo Andrico e i costumi di Giovanna Buzzi. Spettacolo di impianto tradizionale e didascalico, non particolarmente attraente sul piano visivo già alla nascita e a cui gli anni trascorsi non hanno certo giovato. L’ambientazione è tradizionale con costumi d’epoca e vedute montane di sapore un po’ troppo da cartolina illustrata ma incorniciate da grigie e pesanti strutture da archeologia industriale che imprimono una cupa cappa a tutta la vicenda. L’idea di vedere nella “Sonnambula” un dramma dell’incomunicabilità, in cui il lieto fine giunge quasi posticcio e non scioglie i nodi drammaturgici, è pianamente condivisibile ma si poteva cercare di renderla in modo esteticamente più piacevole. Sul piano prettamente registico la vicenda è svolta in modo chiaro e lineare, con buone capacità narrative e senza inutili sovrastrutture interpretative, il che è già un merito. Poca emozione però nel finale dove l’assenza della ruota del mulino riduce il sonnambulismo di Amina a una tranquilla passeggiata su un dolce pendio verdeggiante della cui pericolosità non ci si riesce a capacitarsi.

A guidare i complessi del Regio troviamo Renato Balsadonna. Il maestro veneziano è sicuramento uno dei maggiori direttori di coro dei nostri tempi e tutti lo conosciamo in questa veste almeno per le registrazioni londinesi di Antonio Pappano – su tutte i recenti DVD di “Les Troyens” e “Guillaume Tell” – dove guida in modo superbo le masse corali della Royal Opera House. Il passaggio sul podio conferma la sua musicalità. Si apprezza la sua particolare sensibilità per il canto sempre accompagnato con premurosa attenzione così come grande attenzione è riservata ai dettagli – in specie agli interventi degli strumenti solisti – alla pulizia degli attacchi, alla perfetta fusione di tutte le componenti in un elegante disegno unitario. Di contro si è sentita la mancanza di un’autentica personalità interpretativa che sapesse andare oltre le pur innegabili doti di concertazione. Più discutibili le scelte filologiche, se infatti sono riaperti molti dei tagli tradizionali – quartetto del II atto, aria di Lisa – di contro si assiste al taglio di non poche riprese secondo un gusto esecutivo ormai troppo datato tanto più in un’opera sostanzialmente breve e concentrata come questa. Va inoltre notato come la scelta – dovuta a ragioni tecniche – di inserire un intervallo fra le due scene del I atto non giova alla continuità drammaturgica. Ottime le prove dell’orchestra e del coro del Teatro Regio con un momento di particolare riuscita nella scena iniziale del II atto resa con grande poesia. Fra i cantanti brilla su tutti la protagonista. Rivelatosi come Lisetta ne “La gazzetta” al Rossini Opera Festival del 2015, il giovane soprano armeno Hasmik Torosyan conferma di essere fra i talenti più interessanti della sua generazione. A una voce di soprano leggero particolarmente agile e squillante unita a un timbro morbido e carezzevole, privo delle asprezze che a volte caratterizzano questa tipologia vocale la cantante unisce un’ottima impostazione belcantista.
La formazione rossiniana si apprezza nella quadratura stilistica, nella facilità del canto fiorito, nelle ottime doti tecniche che le permettono acuti di particolare facilità, sonori e squillanti e un rigoroso controllo del fiato con cui realizza impeccabili mezze voci e filature che sono risultate fra gli elementi più suggestivi della sua prestazione. Solo sul finale si è sentita una maggior prudenza – forse un filo di stanchezza – che però non ha compromesso una prestazione notevolissima. Sul piano interpretativo realizza un’Amina fragile e immacolata, forse un po’ di maniera, ma perfettamente inserita nel taglio complessivo dello spettacolo.
Di buona professionalità l’Elvino di Pietro Adaini, autore di una prestazione corretta ma forse non pienamente maturo per affrontare uno dei ruoli più massacranti scritti per le funamboliche doti di Rubini. Al giovane tenore va riconosciuto il merito di aver retto con sicurezza tutta la parte e sfoggiato acuti sicuri – compreso il re acuto della puntatura di «Ah! Perché non posso odiarti” – anche se spesso presi con un impeto più romantico che belcantista. Il timbro, pur non spiacevole, soffre di una certa nasalità e l’accento è abbastanza di maniera anche se il personaggio non offre molto sul piano interpretativo. Bella sorpresa – almeno per lo scrivente – il Rodolfo di Riccardo Fassi. Voce di autentico basso, profonda e robusta come non così di frequente capita di ascoltare tanto più in un cantante ancora alquanto giovane. A un materiale vocale di assoluto rilievo Fassi unisce un’autorevolezza dell’accento e una nobiltà del fraseggio perfette per la parte del Conte. Ashley Milanese è al limite come Lisa e pur in una prova complessivamente corretta palesa qualche difficoltà in “De’ lieti auguri  vi son grata” oltre a mostrare ancora una certa immaturità interpretativa. Di composta eleganza e buon materiale vocale si notano nella Teresa di Nicole Brandolino, efficace sia nelle scene con Amina sia nel quartetto del II atto. Un po’ grezzo l’Alessio di Gabriele Ribis. Completava il cast il notaro di Vito Martino. Forse anche per l’orario pomeridiano la sala presentava purtroppo numerosi posti vuoti, successo convinto per tutti gli interpreti. Foto Edoardo Piva