Bolzano Danza Festival 2019: “Metamorphosis”

Bolzano Danza Festival 2019
“METAMORPHOSIS”
Coreografia Virgilio Sieni
Musica Arvo Pärt
Orchestra Haydn di Bolzano
Direttore
Chloé van Soeterstède
Scene e costumi Gregorio Zurla, Silvia Salvaggio
Luci Mattia Bagnoli
Interpreti:Marina Bertoni, Giulia Gilera, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Sara Sguotti
Produzione Compagnia Virgilio Sieni
Coproduzione Bolzano Danza
Prima nazionale
Bolzano, 22 luglio 2019
Fare danza per Sieni è come dare un saggio, un saggio della sua cultura umanistica nel vero senso del termine; che vuole la riscoperta dei classici latini, ovvero una loro (re)interpretazione allegorica, che significa, al contrario, l’uso di un segno (gesto) in grado di emancipare l’uomo dal contesto (scena/paesaggio). Il prolifico coreografo fiorentino, ora con ben quattro spettacoli in giro per i festival, sa sperimentare e sa osare come sa raccontare trascendendo la misura del tempo per riuscire nell’intento di rappresentare le emozioni. A Bolzano Danza 2019, dopo aver assistito alla prima assoluta di “Metamorphosis” e averlo ascoltato al talk post spettacolo, proviamo a fare delle considerazioni sulla sua poetica; quella di un toscano affabulatore quanto Giotto, Dante e Zeffirelli: da un lato passionale (spirito inquieto), dall’altro interprete. Le metamorfosi di Sieni da “Le metamorfosi” di Ovidio sono la risposta al “De rerum natura” di Lucrezio, già magnificamente affrontato con “La natura delle cose”. In quest’ultimo poema, per contro, c’è un incitamento al genere umano affinché prenda coscienza delle proprie passioni e riesca a comprenderle, se non ad affrontarle. Di Ovidio invece Sieni confà lo stile per cui la didascalia del mito (priva di ogni morale) si fa coreografia per la medesima volontà di riscrittura, che in Ovidio è ipotattica, quanto in Sieni ricca di silenzi, da interpretarsi come i punti e le virgole della sopraddetta sintassi. E del silenzio parla Sieni citando Rilke (“Entro la solitudine, perviene/ come un suono ogni gesto/ alle cose che origliano mute”) e John Cage (“Il silenzio non esiste”) per ribadire che esso è qualcosa che non c’è nella danza: il silenzio è il respiro del gesto; il silenzio non è assenza ma uno spazio, è un luogo composto da elementi che per l’uomo sono culturali. Per contro, all’intera rappresentazione, proprio l’accompagnamento musicale dell’orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Chloé van Soeterstède, riporta l’orizzontalità del gesto ad una sospensione e una oscillazione di movimento che fa gravitare i corpi dei danzatori, “persi nella bruma” (cit. Sieni), cioè in quella nebbia formata dal sovrapporsi dei veli sullo stage. È come se le figure, grazie alle luci, trasfigurassero e svanissero nell’infinito, dando significato al panismo dannunziano.E dell’infinito parla Sieni citando Sergio Givone (“Sull’infinito”), riferendosi al perpetrate del gesto come espressione sacra e minimale (Arvo Pärt), mai neutrale, perché forma del proprio singolare (Roland Barthes). Quindi, ripensando al balletto e alle figure dei singoli danzatori e dei gruppi, riteniamo che Sieni abbia voluto usare i veli scenici per far risaltare il distacco della figura dal paesaggio e far percepire allo spettatore lo stimmung dei danzatori. Sieni confessa di aver cercato di lavorare sulla dimensione del margine (il profilo dell’uomo), giocando sulla proliferazione dei gesti in ritardo per dare la sensazione di eco. Molto bella, infatti, quanto fortuita, l’immagine della direttrice d’orchestra le cui energiche bracciate, poiché colpite da due fasci potenti di luce, sono riflesse sui veli da sembrare quelle di un ballerino, ovvero la parte movente del profilo del cervo: la metamorfosi del cacciatore Atteone.Il cervo, stavolta espresso da una sua testa indossata, c’è ne “La natura delle cose” che finiva con una voce (di Nada) che diceva: “C’è nel nostro petto qualcosa che può ribellarsi e resistere”. Per intendere che il cuore non segue la ragione e genera emozione che possiamo manifestare con la passione, che a sua volta non è altro che la metamorfosi (mutazione) del nostro ego.