XIII Festival “Tones on the Stones”, 2019: “Aida”

Montecrestese (VCO), Cava La Beola di Monte – XIII Festival “Tones on the Stones”, 2019
AIDA
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni, da un soggetto di Auguste Mariette.
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re LUCA GALLO
Amneris MADDALENA CALDERONI
Aida MARTA MARI
Radamès SAMUELE SIMONCINI
Ramfis FULVIO FONZI
Amonasro DANIEL IHN KYU LEE
Un messaggero RICCARDO BENLODI
La gran sacerdotessa LEONORA TESS
Orchestra Filarmonica del Piemonte
Coro Schola Cantorum “S. Gregorio Magno”
Direttore 
Aldo Salvagno
Regia Renato Bonajuto
Scene Danilo Coppola
Costumi Artemio Cabassi
Coreografie Giuliano De Luca
Progetto video immersivo Aesop Studio
Nuova produzione Tones on the Stones in collaborazione con il Teatro Coccia
Montecrestese (VCO), 20 luglio 2019
Ormai giunto alla tredicesima edizione, il festival “Tones on the Stones” muove i suoi passi da un’idea di indubbio successo: portare la musica nel cuore di un’area insolita e distante dalla scena musicale tradizionale, ossia le cave del Verbano-Cusio-Ossola. Questa provincia piemontese, tra il lago Maggiore, il massiccio del Monte Rosa e la Svizzera, offre magnifiche possibilità turistiche, ma possiede anche una solida tradizione di filarmoniche e cori, di artisti e musicisti di un certo rilievo: un plauso quindi a questo festival, che partendo dal dato locale spalanca le porte ad artisti nazionali ed internazionali, a generi diversissimi tra loro.
Quest’anno la scelta è più che mai coraggiosa, cioè inaugurare la serie di eventi con “Aida” di Giuseppe Verdi, in coproduzione con la fondazione operistica più vicina, cioè il Teatro Coccia di Novara: non capita certo spesso di assistere a un’opera tanto complessa in una cava di beola argentea, cantata peraltro con una vera orchestra dal vivo, e l’aspettativa non poteva che essere, da una parte, quella di uno spettacolo emozionante, dall’altra una certa perplessità sull’effettivo apporto artistico. Se la prima di queste aspettative è stata senz’altro soddisfatta, fa piacere constatare come le remore si siano in gran parte dissolte di fronte all’alta qualità della produzione, soprattutto della compagine musicale. La scelta di microfonare gli artisti e l’orchestra, va detto subito, non ha ovviamente consentito di testare il reale peso delle voci, ma, d’altro canto, è stata la scelta più oculata per consentire al pubblico una piena fruizione dell’opera: in primis si è messa in luce Marta Mari, vero soprano lirico spinto, alla quale il timbro pieno, la linea di canto varia e omogenea e il fraseggio curato conferiscono l’auctoritas di una grande Aida. Il suo  “Cieli azzurri” è chiaramente la vetta di questa interpretazione, tutta sapientemente giocata sui colori di un’emotività spezzata e vibrante. Ottimo anche l’apporto di Samuele Simoncini, un Radamès dal fraseggio accurato,  diverso dai molti interpreti stentorei e a “senso unico” cui si assiste spesso: Simoncini sfoggia una valida emissione in tutti i registri vocali. Acuti svettanti e grande coinvolgimento scenico dimostra pure Maddalena Calderoni, che nella parte di Amneris non si risparmia di certo: qualche suono non sempre a fuoco nel settore centrale, non inficia la buona resa di un personaggio complesso, accuratamente disegnato dalla Calderoni. Fulvio Fonzi (Ramfis), riconferma il suo timbro corposo e la buona proiezione vocale; sorprende per il colore chiaro e fresco della voce Riccardo Benlodi (il messaggero); corrette le interpretazioni di Leonora Tess (la gran sacerdotessa) e Luca Gallo (il re). Convince meno l’Amonasro di Daniel Ihn Kyu Lee: l’emissione, specie nei centri, suona innaturalmente immascherata, nel complesso poi, viene a mancare la caratura del baritono verdiano. Il coro “S. Gregorio Magno” di Trecate si distingue come sempre per performance di grande coinvolgimento, e alto valore musicale; l’Orchesra Filarmonica del Piemonte viene diretta con energia e attenzione coloristica dal Maestro Aldo Salvagno, anche se qualche suono degli archi non sembra del tutto a fuoco. Dal punto di vista creativo, questa “Aida” certamente emoziona, soprattutto grazie alle gigantesche proiezioni a 180° dell’Aesop Studio, giovane realtà italiana di rilievo nel contesto della videoarte e del videomapping: bassorilievi, iscrizioni geroglifiche, templi fantastici, volti giganteschi scolpiti nel deserto, questo e molto altro caratterizzano queste proiezioni, dai colori brillanti e i chiariscuri fortemente contrastati. Senz’altro il pubblico viene rapito, ma una perplessità permane: perché coprire, quasi riconvertire, lo spettacolare setting della cava di beola, piuttosto che evidenziarne le precipuità? A volte ci dimentichiamo del luogo nel quale siamo, e, se fossimo a teatro, questo sarebbe perfetto, ma non è così: le stones di questo festival andrebbero esaltate, piuttosto che passare sopra loro un pesante strato (per quanto splendidamente prodotto) di mapping, proprio per conservare l’anima del luogo. Inoltre queste proiezioni dal sapore egizio hanno però una mano chiaramente contemporanea, virtuale, multimediale: mal si accordano, quindi con i costumi tradizionali di Artemio Cabassi e la regia di Renato Bonajuto, che ha i pregi e i limiti della maniera d’antan, del naturalismo dei rapporti scenici, dell’andirivieni per il palco, dello sbracciamento dei solisti. Per non “disturbare” le proiezioni, si sfoderano anche gli occhi di bue da teatro di varietà, che inquadrano e seguono unicamente il solista sul palco, a volte creando anche inconvenienti tecnici o straniamenti ingiustificati, vista la regia tanto classica. Tuttavia il pubblico, come già detto, è estasiato dal magnifico spettacolo, dalle belle voci, dai gradevolissimi balletti curati da Giuliano De Luca, non si accorge quasi di certe derive grottesche, anzi sembra apprezzare persino la ridicola sfilata animata da una proiezione sulla famosa marcia trionfale: schiavi neri, soldati, cammelli ed elefanti, stilizzati, tutti che passano sulla parete della cava a tempo di musica a mo’ di “trenino”. Questo non stupisce: il pubblico di certe manifestazioni estive è spesso passante, casuale, del tutto disabituato al teatro e/o all’opera – basti pensare che durante l’intervallo, fra II e III atto molti hanno fatto per andarsene, credendo terminato lo spettacolo. C’è da sorprendersi che non abbia battuto le mani sulla già citata marcia trionfale, nemmeno fossimo al Capodanno del Musikverein di Vienna. In ogni caso la serata può ben dirsi riuscita: c’è da augurarsi che iniziative curate in questo modo si moltiplichino, affinché contribuiscano ad avvicinare alla musica alta, di qualità, proprio lo smarrito pubblico contemporaneo. Foto Susy Mezzanotte & Stefano Di Buduo