Franz Joseph Haydn 210 – 9 (1732 – 1809): “Orlando Paladino” (1782)

A 210 anni dalla morte
Se confrontata con la produzione sinfonica e quartettistica, quella operistica occupa certo una parte marginale nel catalogo di Franz Joseph Haydn che, tuttavia, dedicò molto del suo tempo al teatro non solo componendo, nell’arco di circa trent’anni (dal 1762 al 1791), circa una ventina di lavori, tra opere liriche sia nel genere serio che in quello buffo, opere per marionette e anche operette, ma curando anche l’arrangiamento e l’esecuzione di quelli di altri compositori.
Composta tra la fine del 1781 e il 1782, Orlando Paladino è certamente uno dei lavori più interessanti di Haydn che per la sua composizione si avvalse di un vecchio libretto, in realtà un rifacimento di un testo intitolato Le pazzie di Orlando e scritto da Carlo Francesco Baldini per Pietro Guglielmi, realizzato, per una ripresa a Praga nel 1775, da Nunziato Porta. Quest’ultimo nel 1781 era stato nominato direttore dell’opera del principe Esterházy con lo scopo di ampliare il repertorio delle opere  da rappresentarsi nel suo teatro di corte, ubicato nel suo castello e che godeva all’epoca di una grande fama tanto che la stessa imperatrice Maria Teresa affermò: «Se ho voglia di godermi l’esecuzione di una buona opera, vado ad Esterháza». In effetti anche il battesimo teatrale di Orlando Paladino avrebbe dovuto avere degli ospiti illustri e, in particolar modo, il granduca russo Paolo e la consorte che avevano programmato una loro visita a Vienna nel mese di ottobre del 1782. Nella speranza che l’augusta coppia facesse una tappa presso il castello del famoso principe si era deciso allora di mettere in scena un’opera nuova, non ritenendo opportuno rappresentarne un’altra già data a  Vienna e, vista la ristrettezza dei tempi, Porta suggerì ad Haydn di mettere in musica il libretto del suo Orlando Paladino al quale il librettista apportò ulteriori modifiche, come testimoniato anche dall’analisi del manoscritto dove si vede che il compositore austriaco inizialmente musicò il vecchio testo, le cui parole, poi, in alcuni passi furono cancellate per essere interamente riscritte. Le modifiche apportate al libretto furono del resto sostanziali dal momento che riguardarono i testi di tutte le arie di Pasquale e le parti di Angelica e di Medoro che furono ampliate. Annullata, però, la programmata illustre visita, l’opera fu rappresentata per la prima volta nel Teatro del Castello di Esterháza il 6 dicembre 1782 in occasione del compleanno del principe, nel teatro di corte, con un grande successo tanto che non solo furono stampate ben 500 copie del libretto a fronte delle 200 solitamente realizzate ad Esterháza, ma l’opera fu ripresa per ben 13 volte nel 1783 e 7 nel 1784 per approdare, poi, in un gran numero di teatri dell’Europa Centrale tra cui Bratislava, Praga, Brno, Vienna, Budapest, Mannheim, Francoforte, Colonia, Graz, Norimberga, Hannover, Brema, Lipsia, Monaco di Baviera, Augusta, Königsberg, Amburgo, Breslavia e Dresda. Nonostante il successo iniziale l’opera sarebbe sparita dalle scene per circa due secoli per essere ripresa soltanto nel Novecento grazie all’edizione critica realizzata da Karl Geiringer il quale ricompose il manoscritto smembrato (quello contenente l’atto primo e secondo era conservato, infatti, presso la British Library di Londra e quello con l’atto terzo presso la Biblioteca di Stato di Berlino), e colmato la lacuna relativa al duetto tra Eurilla e Pasquale la cui musica fu concessa da Haydn a Martin y Soler, il quale, con nuovi versi scritti da Da Ponte, lo inserì in una sua opera da rappresentarsi a Londra nella stagione 1794-1795 del Kings Theatre.
La scena iniziale del primo atto raffigura un paesaggio di montagna, dove la tranquilla routine della vita della pastorella Eurilla è rotta dall’arrivo di Rodomonte, re di Barberia, il quale le chiede se è a conoscenza del luogo in cui hanno trovato rifugio Angelica e Medoro, che stanno fuggendo da Orlando, folle di gelosia. La ragazza, pur tremante, fornisce al cavaliere le informazioni richieste. La scena successiva si svolge nel rifugio dei due innamorati, dove Angelica, infastidita dal fatto di essere costretta a vivere nascosta a causa della folle gelosia di Orlando, interroga la maga Alcina che, guardando nel futuro, le promette protezione. Questa profezia sembra, però, smentita da Medoro che, ritornato trafelato nel nascondiglio, racconta di essere stato sfiorato da Orlando e dal suo scudiero i quali non lo hanno riconosciuto per poco. Nel frattempo in un bosco Pasquale, lo scudiero fanfarone di Orlando, sta per battersi con Rodomonte a duello che viene impedito da Eurilla giunta con la notizia che Orlando è alla ricerca di Rodomonte. Pasquale, dopo aver indotto Rodomonte a battersi con Orlando, si lamenta della vita condotta con il paladino in quanto piena di gesta eroiche, ma priva di cose essenziali, come mangiare e bere. Da parte sua Orlando maledice il destino che lo ha condotto alla follia instillando in lui l’amore per Angelica, oggetto del suo desiderio, che vuole raggiungere con ogni mezzo. La sua follia è acuita dagli alberi che gli ricordano il suo rivale, dal momento che Medoro vi ha inciso il suo nome e quello di Angelica. Nel finale dell’atto, Angelica, dopo aver pregato gli dei affinché la liberino dagli oscuri presentimenti di morte che coinvolgono il suo amato, fugge in seguito all’annuncio di Pasquale secondo il quale Orlando sta per arrivare. La donna incontra Rodomonte il quale manifesta la sua volontà di battersi con il paladino, nonostante fosse stato avvisato da Alcina che la sua forza sarebbe venuta meno durante il duello  che immancabilmente si verifica allorché il paladino irrompe, in preda alle furie, sulla scena. Rodomonte è però salvato da Alcina che imprigiona Orlando in una gabbia di ferro.
All’inizio del secondo atto Orlando, liberato dalla gabbia di ferro, si aggira nel bosco in preda sempre alla sua folle ossessione, finché non incontra Rodomonte, sempre smanioso di battersi con lui. Questa volta il duello è evitato da Eurilla giunta con la notizia secondo la quale Angelica e Medoro sono fuggiti. Il giovane, che si è rifugiato in un solitario tratto di costa, spaventato dall’avvicinarsi di un soldato, trova un nascondiglio provvisorio e chiede a Eurilla di dire ad Angelica che sicuramente morirà in modo crudele. Nel frattempo Eurilla e Pasquale si scoprono innamorati. Angelica, da parte sua, disperata perché pensa che Medoro sia morto, intende gettarsi in mare da uno scoglio, ma è salvata da Alcina che con le sue arti magiche la fa ritrovare tra le braccia dell’amato. Sembra che per i due giovani non ci possa essere felicità perché di lì a poco si avvicina con intenti bellicosi Orlando dalle cui furie la coppia viene salvata da Alcina che immobilizza il paladino con l’apparizione di due mostri e rende così possibile la fuga di Angelica e Medoro. Nella grotta incantata di Alcina dove sono stati convocati tutti i personaggi, la maga punisce Orlando trasformandolo in pietra, ma, spinta dai nemici del paladino che trovano quella punizione troppo crudele, decide di riportarlo allo stato umano. Le metamorfosi non migliorano le condizioni mentali di Orlando che viene fatto sparire da Alcina.
Nel terzo atto si compie lo scioglimento affidato al deus ex machina Caronte il quale riesce a liberare Orlando dalla sua insana passione per Angelica e dal rancore per Medoro spruzzandogli in fronte l’acqua del fiume Lete che ha il potere di fargli dimenticare i suoi folli sentimenti e anche di fare perdonare tutti gli atti da lui compiuti in preda alla pazzia. Il lieto fine si compie con la ricomposizione delle coppie: Angelica e Medoro da una parte ed Eurilla e Pasquale dall’altra.
Aperta da un’ouverture, nel quale emerge il conflitto tra la follia e la forza bruta di Orlando da una parte e l’amore dall’altra, l’opera si presenta come una sintesi di elementi tratti dal melodramma italiano e di melodie popolari austriache. Nella rappresentazione dei personaggi, dotati di una fisionomia musicale chiara, non manca l’ironia di Haydn che si esercita su Rodomonte, disegnato con contorni rozzi, e Orlando la cui follia è descritta in modo ora patetico ora comico, mentre sincero è il dolce desiderio di Angelica. Tra le parti migliori si segnalano le arie di Pasquale e i finali particolarmente elaborati.