Massa Marittima, Festival Lirica in piazza 2019: “Die Zauberflöte”

Massa Marittima (GR), Piazza Garibaldi – 34° Festival Lirica in Piazza
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Singspiel in due atti di Emanuel Schikaneder, con rielaborazione dei testi dei recitativi di Gabriella Arcangeli
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Voce Narrante MONI OVADIA
Sarastro LUCA GALLO
Tamino DANIELE ADRIANI
Pamina PATRIZIA CIGNA
La Regina della Notte ELISA CENNI
Papageno ENRICO MARRUCCI
Papagena ARIANNA CASTELLI
Monostatos GIOVANNI CASTAGLIUOLO
Prima Dama LUCIA FILACI
Seconda Dama MONICA CUCCA
Terza Dama DANIELA MY
Sacerdote/ Secondo Armigero GIULIANO BONELLI
Primo Genio ELEONORA LEONORI
Secondo Genio NICOLETTA TURLIU
Terzo Genio EMANUELA GRASSI
Primo Armigero ANDREA DI GREGORIO
Orchestra sinfonica Europa Musica
Coro Lirico Italiano
Direttore Stefano Seghedoni
Maestro del Coro Renzo Renzi
Regia Gianmaria Romagnoli
Scene Giovanni Di Mascolo
Costumi Sartoria Teatrale PIPI
Produzione Impresa Europa Musica
Massa Marittima (GR), 05 agosto 2019
Si conclude la tre giorni di Massa Marittima con il titolo senz’altro più ambizioso in cartellone, cioè “Il flauto magico” di Mozart, opera musicalmente complessa, scenicamente e, almeno per noi, anche linguisticamente, trattandosi di un singspiel, e dunque in tedesco (senza sovratitoli né libretto sottomano). Per aggirare almeno in parte la difficoltà linguistica, si è deciso di tagliare le parti recitate, e ridurle a dei riassunti, affidati al famoso attore Moni Ovadia; la parte cantata, invece, si è mantenuta integra sia per la lingua che per l’estensione. L’impianto scenico (curato da Giovanni Di Mascolo) vuole chiaramente calcare la mano sull’aspetto massonico-simbolico della storia, presentando superfici marmorizzate, una piramide rotante al centro della scena, un fondale a semicerchio, delle scalinate; sul fondale vengono proiettate una serie di immagini, talvolta di gusto vagamente neoclassico o razionalista, altre invece di imperscrutabile ispirazione. La regia di Gianmaria Romagnoli presenta alcuni spunti interessanti: si cerca di sottolineare l’azione ma anche il senso di quello che viene detto, o dell’atmosfera creatasi. In questo, si può definire uno spettacolo riuscito, giacché la costruzione scenica, la mimica e la prossemica, chiaramente aiutano e veicolano l’attenzione dello spettatore non germanofono. Da segnalare la scioltezza attoriale di Enrico Marrucci, che crea un Papageno certamente tradizionale, ma né esageratamente smargiasso né in sordina; anche la Pamina di Patrizia Cigna è scenicamente un personaggio molto ben delineato, sofferente, sbarazzina o innamorata, alla bisogna; più rigidi in questo frangente la Regina della Notte, Tamino e Sarastro, mentre gustosissima è la resa scenica di Monostatos da parte di Giovanni Castagliuolo. Un’opera fiabesca, settecentesca e in tedesco, oggi, richiede ai cantanti italiani una decisa tendenza attoriale (pensiamo al “Ratto del serraglio” mozartiano, ma anche al “Fidelio” di Beethoven o al “Franco cacciatore” di von Weber), che dovrebbe sempre essere scontata per dei performer, ma che spesso si tralascia in favore di una prestazione prevalentemente canora. Questo repertorio, invece, per veicolare anche i messaggi più semplici, ha bisogno di un impegno scenico, che va dunque riconosciuto agli interpreti migliori in tal senso. Altra faccenda è invece il valore musicale della produzione: Elisa Cenni (la Regina della Notte) o Lucia Filaci, Monica Cucca e Daniela My (le tre Dame), ad esempio, pur mostrandosi fin troppo compassate, danno interpretazioni vocali pregevoli: la prima – soprano autoctona con una carriera in ascesa – mostra tecnica solida (nei sovracuti, nei picchiettati, nelle colorature), buona proiezione vocale ed intonazione – peccato per un fraseggio davvero gelido; fra le dame, senz’altro spicca il registro contraltile di Daniela My, ma sono tutt’e tre lodevoli per la pregevole linea di canto. Il Sarastro di Luca Gallo, dal canto suo, mostra probabilmente qualche affanno nella zona medio-acuta, ma sfodera gravi sicuri, e un fraseggio accurato e giustamente autorevole. Debole invece il tenore Daniele Adriani: oltre a una dizione tedesca meno approssimativa, la parte di Tamino richiede una voce più consistente di quella di Adriani e anche una diversa capacità tecnica nell’emissione. Anche scenicamente Adriani sembra meno coinvolto degli altri, ma sa farsi guidare, in tal senso, dai due interpreti che senz’altro spiccano di più in questa produzione: Enrico Marucci (Papageno) e Patrizia Cigna (Pamina). Marrucci è un ottimo caratterista: la voce è ben sostenuta e dalla solida intonazione, il fraseggio vario è adattissimo al personaggio grottesco. Patrizia Cigna sfodera centri ricchi e acuti sicuri, fraseggio sfumatissimo, che scivola con facilità dal languido al gaio, e caratterizzato da messe di voce ben gestite, agilità sgranate con precisione. Il colore limpido e la linea di canto morbida incantano il pubblico soprattutto in particolare nella sua aria nel secondo atto (“Ach, ich fül’s”),  che le attira giustamente molti applausi. Uguali apprezzamenti riceve il direttore, Stefano Seghedoni, la cui conduzione si attesta su una calibrata aurea mediocritas: dà giustamente molto rilievo al settore dei legni, ma talvolta fatica a tenere insieme le performance dei solisti con quella dell’orchestra – nella celebre “Der hölle Rache”, ad esempio, la Cenni è sempre un po’ in anticipo. Ma la vera impresa di Seghedoni è riuscire a guidare il coro in scena: spaesato, vocalmente disomogeneo, periclitante anche sull’intonazione, in ritardo sugli attacchi, il coro Lirico Italiano diretto dal maestro Renzo Renzi questa volta non dà buona prova musicale di sé. Destano qualche perplessità
anche gli interventi coreografici, alquanto arbitrari, che la regia ha voluto inserire per ragioni oscure. Altrettanto oscura è la ragione per la quale sul finale Tamino e Pamina compaiano vestiti con abiti da sera anni Trenta: la salvezza è quindi la “civilizzazione”, l’aderenza al modello borghese? Su questo inquietante quesito si chiude “Lirica in Piazza”. Ora sta al pubblico cercare una risposta.