Christoph Willibald Gluck (1714-1787): “Iphigenia in Aulis” (Rev. Richard Wagner)

Tragédie-Opéra in tre atti su libretto di François Gand-Leblanc du Roullet da Racine. Revisione, traduzione e adattamento di Richard Wagner (1847).  Camilla Nylund (Iphigenia), Michelle Breedt (Klytämnestra), Christian Elsner (Achilles), Oliver Zwarg (Agamemnon), Raimund Nolte (Kalchas), Mirjam Engel (Artemis), Richard Logiewa (Patroklus / Anführer), Thilo Dahlmann (Arcas). Chorus Musicus Köln, Das Neue Orchester, Christoph Spering (direttore). Registrazione: Köln, Deutschlandfunk Kammermusiksaal, 3-10 aprile 2013 2 CDs OEHMS Classics OC953
In occasione di una ripresa a Dresda dell”Iphigenie en Aulide” di Gluck Wagner realizzò appositamente una propria versione dell’opera
intervenendo in modo significativo tanto sul libretto – non si tratta di una semplice traduzione ma di un’autentica riscrittura realizzata dallo stesso Wagner secondo precisi principi drammaturgici – quanto sul piano musicale; un’operazione per certi versi simile ma con soluzioni più radicali rispetto a quella condotta nel 1859 da Berlioz sull’”Orfeo ed Euridice”. L’interesse di Wagner nei confronti del teatro di Gluck era per molti versi quasi inevitabile specie negli anni ’40 quanto era in corso la riflessione teorica che avrebbe portato il compositore alla definitiva rottura con le forme dell’opera tradizionale e alla nascita dell’ideale dell’”opera d’arte totale” che si sarebbe in seguito realizzato nella Tetralogia. In quest’ottica il teatro di Gluck con la sua tendenza a superare le partizioni rigide fra aria e recitativo, la centralità dell’elemento drammatico e la rigorosa logica che veniva a connettere fra loro tutti gli elementi rappresentava un’inevitabile modella di riflessione per lo stesso Wagner; egualmente fra le opere del compositore di Erasbach era quasi inevitabile che l’attenzione wagneriana si concentrasse proprio sull’”Iphigenie en Aulide” le cui tematiche – il tema del sacrificio, la centralità dell’elemento femminile come punto di snodo della vicenda drammatica, il rapporto fra umano e soprannaturale/divino – erano sicuramente le più prossime all’universo poetico wagneriano di quegli anni in cui il compositore era appena uscito dalla composizione del “Die Fliegende Holländer” e della prima versione del “Tannhäser” e stava lavorando al “Lohengrin”. Ifigenia inevitabilmente destinata ad essere sacrificata per un bene più grande doveva apparire a Wagner come una sorta di archetipo di Senta e di Elisabeth e forse non è casuale che nella riscrittura musicale si sentano come in trasparenza echi di questi personaggi.
Sul piano drammaturgico Wagner semplifica e alleggerisce l’insieme; molti personaggi minori vengono soppressi o fortemente ridimensionati – come nel caso di Patroclo; i recitativi vengono ridotti anche in modo significativo ed i balletti sono totalmente espunti in nome di una maggior compattezza dell’insieme.
La vicenda viene seguita in modo fedele fino al finale dove gli interventi di Wagner si fanno decisamente più estesi, la nuova stesura del libretto elimina totalmente l’inverosimile lieto fine con le nozze fra Achille ed Ifigenia – per altro originariamente non previsto da Gluck e verosimilmente imposto da ragioni contingenti legate al gusto francese – per tornare allo svolgimento originario della vicenda previsto da Euripide e Racine con l’apparizione di Artemide che salva Ifigenia portandola con se in Tauride, momento che nella revisione wagneriana si presenta come un’autentica apoteosi, quasi una prova generale di quella che sarà l’apoteosi di Senta nella versione definitiva del “Die Fliegende Holländer”.
La versificazione non è priva di efficacia teatrale anche se non sempre la prosodia tedesca si sposa compiutamente con le esigenze melodiche della scrittura gluckiana e in alcuni passaggi ritroviamo formule analoghe a quelle utilizzate nelle opere precedenti, si pensi al finale con l’unisono di tutti sulle parole “Nach Troja!” che immediatamente non può che ricordare il “Nach Rom!” dei pellegrini del “Tannhäser”.
Sul piano strettamente musicale vediamo un rafforzamento della compagine orchestrale alla ricerca di un suono più denso e robusto, più vicino alla nuova sensibilità romantica; vengono raddoppiate le viole, rinforzate le sezioni dei fiati e degli ottoni. L’andamento melodico e armonico dei singoli brani è invece stabilmente rispettato anche se si assiste alla volontà di ridurre drasticamente la differenza fra recitativi ed arie in modo molto maggiore di quanto fosse pensabile all’epoca di Gluck. La distribuzione vocale dei ruoli rimane quella originaria ma alcune vocalità sono trasformate alla luce del nuovo gusto del tempo; questo adattamento è evidente soprattutto per la figura di Achille originariamente pensato per un haute-contre nella più pura tradizione del Settecento francese è che diventa nella riscrittura wagneriana un tenore drammatico, quasi un heldentenorer ma anche la parte di Agamennone subisce modifiche non indifferenti passando da un’originaria vocalità di basso cantante a quello di autentico baritono.
Registrata nel 2013 dalla radio tedesca questa registrazione ha sicuramente il suo punto di forza nella Das Neue Orchester e nel Chorus Musicus Köln guidati dal loro fondatore e direttore stabile Christoph Spering; si tratta di una lettura capace di unire assoluto rigore filologico e trascinante forza vitale; il suono è sempre pulito, luminoso, di smaltata compattezza; il fraseggio orchestrale teso, fortemente teatrale nel suo passo scandito e vitale, di grande forza comunicativa. Se proprio si vuole trovare una pecca a questa lettura va forse cercata nella scelta di una lettura molto gluckiana nella sua chiarezza neoclassica, forse più vicina all’idea originale dell’opera che alla rilettura in chiave romantica che ne fa Wagner.
Nella compagnia di canto si assiste ad un deciso predominio qualitativo da parte della componente femminile del cast, fenomeno per altro non raro in questi tempi. Camilla Nylund è un’ottima protagonista; il soprano finlandese – grande specialista dei ruoli lirici wagneriani e straussiani – dispone di una voce molto bella, morbida e carezzevole con acuti sicuri e settore grave solido e ricco di suono. Inoltre l’interprete è molto convincente nel tratteggiare l’ingenuo e melanconico eroismo della protagonista, la sua evoluzione psicologica fino all’accettazione del suo ruolo di vittima sacrificale che come detto l’accomuna ad alcune creazioni wagneriane degli stessi anni. La grande scena del primo atto “Hab ‘ich recht gehört?” colpisce per il lirismo del canto e l’intensità dell’espressione come i bei duetti con Achille e con la madre.
Michelle Breedt come Klytämnestra non è altrettanto perfetta sul piano vocale, anzi si nota una certa discontinuità fra i registri ed un settore grave a tratti ovattato specie nei recitativi. Di contro sostiene bene la tessitura decisamente acuta del ruolo – la parte fu risistemata da Wagner per Wilhelmine Schröder-Devrient che era sostanzialmente un soprano – ed interpreta con grande convinzione esaltando la natura drammatica del personaggio. Merita di essere segnalata la prova del soprano Mirjam Engel nel breve ruolo di Artemis non solo cantato con grande eleganza e musicalità ma la cui voce chiarissima e delicata, quasi infantile, evoca alla perfezione quell’infinità giovinezza che è uno dei tratti peculiari della divina fanciulla.
La parte maschile si attesta purtroppo su un livello decisamente più basso anche se in generale di accettabile professionalità. Oliver Zwarg è chiamato ad affrontare l’impervia parte di Agamennon i cui monologhi sono fra le pagine più drammaticamente compiute dell’intera produzione gluckiana e che Wagner arricchisce ulteriormente di una forza emotiva che fa dell’Atride una sorta di incunabolo di Wotan. Zwarg ha una voce decisamente baritonale, di colore anche abbastanza chiaro, di buona ampiezza e sonorità naturale ma non sempre controllatissima mentre l’interprete cerca di evidenziare la forza drammatica del personaggio quasi aggredendo certe linee vocali – specie nei recitativi – ma spesso tende ad essere troppo prosaico. L’immensa “O Artemis, Erzurnte” che apre l’opera è risolta in modo sostanzialmente corretto ma è lontanissima dall’intensità emotiva che altri interpreti del ruolo sapevano trasmettere.
Christian Elsner è un Achilles solido e squillante, la voce non è particolarmente attraente ma robusta e sicura e la parte è retta con sicurezza ammirevole considerando l’impegno richiesto anche se si sente la mancanza di un autentico abbandono lirico specie nel duetto con Ifigenia che chiude il II atto. Molto modesto il Kalchas di Raimund Nolte, in primo luogo la voce è troppo leggera e manca di quella cavata ampia e profonda richiesta dal ruolo inoltre il controllo dell’emissione è spesso problematico e la voce tende ad indurirsi e a sfibrarsi quanto è chiamata a salire in acuto. Completano il cast Richard Logiewa come Patroklus la cui presenza è molto ridotta nella revisione wagneriana e Thilo Dahlmann come Arcas.