Firenze, Belcanto Festival: Chris Merritt

Opera di Firenze – Stagione 2016/17
Belcanto Festival Concerto
Tenore Chris Merritt
Pianoforte Beatrice Benzi
Musiche di Francesco Durante, Alessandro Scarlatti, Giovanni Battista Bononcini, Christoph Willibald Gluck, Giovanni Legrenzi, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Gioachino Rossini

Firenze, 10 ottobre 2016

È stato un ritorno in grande, da protagonista assoluto, dopo le amichevoli, divertenti apparizioni in Candide al Maggio Musicale del 2015 e in Hänsel e Gretel l’ultima primavera.
Con questo concerto il Teatro dell’Opera di Firenze ha reso omaggio a Chris Merritt e lui, in cambio, ha fatto un regalo al pubblico fiorentino, come per suggellare un reciproco rapporto d’affetto iniziato quasi trent’anni fa, nel 1987, con un Benvenuto Cellini di Berlioz rimasto nella storia, seguito in rapida successione dalla Boheme, da I Puritani e da diversi recital; poi la frequentazione si è interrotta a lungo, fino all’anno scorso.
La serata tutta dedicata a Merritt era inserita nel Belcanto Festival, una sezione della programmazione della stagione in corso, che in una settimana apertasi con la rappresentazione in forma di concerto della Rosmonda d’Inghilterra, ha proposto tre concerti e due opere tutti imperniati sul Belcanto.
Chris Merritt nel mese di agosto, partecipando al Festival Solo Belcanto di Montisi, aveva offerto una performance che in un certo senso è stata un’anteprima di quella del 10 ottobre, un interessantissimo concerto, recensito qui, con la stessa Beatrice Benzi e con un programma in parte coincidente con quello proposto a Firenze.
Del Belcanto Merritt, specie negli anni d’oro della sua carriera, un decennio di trionfi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, è stato un alfiere in tutto il mondo, un interprete di riferimento, insieme ad un plotoncino di fuoriclasse, del quale facevano parte nomi come Samuel Ramey, Rockwell Blake, Marilyn Horne, June Anderson, tutti entrati come lui nella leggenda.
Ciascuno di questi si segnalava per qualità vocali e tecniche caratterizzate dall’eccezionalità e per l’attitudine al Belcanto e ai ruoli rossiniani soprattutto.
Tra di loro il nostro Chris portava in dote una voce lunghissima e potente, con una discesa al grave facile, da baritono, una prima ottava e mezzo scura e densa, un registro centrale corrusco che gradualmente si arrotondava e si librava verso le altezze più stratosferiche con un suono misto dolce e morbido, ma nello stesso tempo luminosissimo e penetrante, dal volume importante e ottimamente saldato alle note di petto.
A questo si univa un che di astratto e stilizzato nel timbro, la padronanza del canto di agilità, una grande musicalità e professionalità e una formazione completa.
Certo era una voce sui generis, specie per le orecchie del pubblico di trenta e più anni fa, abituato al tenore da repertorio standard, o lirico o drammatico; era una voce che faceva discutere, esaltava alcuni, faceva storcere il naso ad altri, perché i suoni che produceva erano in un certo senso nuovi e ‘strani’, impossibili da catalogare nelle categorie adatte alle vocalità da opera romantica e verista.
E infatti non poteva essere diversamente in quanto la voce di Merritt sembrava nata apposta per far rivivere personaggi che dormivano da più di un secolo o che erano stati di tanto in tanto portati in scena, ma travisati nello stile e alleggeriti dei maggiori ostacoli vocali da tagli disinvolti.
Merritt era il tenore giusto al momento giusto: il primo vero, completo baritenore rossiniano del Novecento, capitato proprio allo zenith della Rossini Renaissance per affrontare di nuovo ruoli che per decenni erano sembrati impossibili e che tutto sommato un po’ impossibili erano davvero, specialmente quelli suggeriti a Rossini dalla voce monstre di Andrea Nozzari, artista tanto abnorme da poter cantare in tutte le corde maschili, addirittura alternando Don Ottavio a Don Giovanni nel capolavoro di Mozart.
Ma Merritt non è stato solo questo: artista intelligente e versatile, ha esplorato molti altri territori, dopo contatti occasionali con il repertorio romantico – l’opera verdiana, ad esempio, dai Vespri Siciliani al Trovatore – e il Grand Opéra – Les Huguenots, tra le altre – e ancor più saltuari con Puccini, ha avuto una lunga e proficua frequentazione con l’opera novecentesca e contemporanea, da Strauss a Boulez, che ancora dura in questa fase matura, ma ancora ricca di attrattive, della sua carriera.
Chris Merritt ha compiuto sessantaquattro anni meno di un mese fa e canta dal 1975, è stato spesso raffigurato come un artista in pieno declino, tanto che chi non era tra i pochi fortunati che l’hanno sentito in concerto a Montisi lo scorso agosto poteva crederlo davvero, dal momento che le sue apparizioni in Italia in tempi recenti si contano sulle dita di una mano; invece la voce di Merritt è sempre al suo posto, come la sua capacità di usarla. Fermo restando che nessuno, a più di sessant’anni canta come quando ne aveva trenta – pensiamo ai cantanti più longevi che conosciamo, a Lauri-Volpi, alla Olivero, a Domingo o a chi altro ci venga in mente – Merritt oggi ha un timbro praticamente intatto, un volume sempre ragguardevole, un buon controllo dell’intonazione, una dinamica ampia, un’estensione che supera tuttora abbondantemente le due ottave.
Il passare degli anni ha lasciato il segno più evidente negli aspetti atletici della vocalità: la lunghezza dei fiati e lo scatto nelle agilità più rapide.
Inoltre l’esecutore è sempre un musicista elegante e corretto, l’interprete è tendenzialmente sobrio e asciutto, ma ha qua e là piccoli tocchi che rivelano il guizzo dell’artista.
Dal momento che il programma sostenuto ha molti brani in comune con quello portato in concerto a Montisi, rimando chi è curioso di conoscere ulteriori dettagli all’altra recensione, osservando che in quest’occasione Merritt si è presentato nella medesima forma vocale, ma con un’attenzione, una cura in più, specialmente verso certi noti aspetti deboli: la pronuncia italiana è sembrata decisamente più pulita, come ‘risciacquata in Arno’, e ancor più l’intonazione sembra essere stata oggetto di revisione, nel tentativo riuscito di eliminare o limitare quei glissando che gli venivano rimproverati anche in gioventù.
Nel primo blocco di arie antiche – i brani di Gluck, Durante, Legrenzi, Bononcini, Scarlatti, già ascoltati a Montisi – emerge l’esecuzione di “O del mio dolce ardor” da Paride ed Elena, una lettura elegante ed espressiva che fonde classicità e pathos; molto pregevole è anche la resa di “Per la gloria di adorarvi” per il controllo dinamico dal piano al forte con tutte le gradazioni intermedie.
Le due successive ariette belliniane, ascoltate anche a Montisi, si addicono alla vocalità attuale di Merritt: “Dolente immagine di Fille mia” mette in luce la delicatezza e la sensibilità dell’interprete con mezzevoci dolcissime e appoggiature intrise di malinconia; “Bella Nice”, di tessitura piuttosto gagliarda, saggia la solidità e la tenuta del mezzo in zona medio-acuta.
Si prosegue con Donizetti.
“Il sospiro” è un brano cameristico che ci porta verso la vocalità melodrammatica del tenore protoromantico; Chris Merritt esibisce, insieme alla consueta facilità nel salire e scendere, un canto legatissimo, ricco di colori, espressivo; in “Amor marinaro”, meglio nota come “Me voglio fa’ ‘na casa”, il nostro tenore è incantevole: il napoletano è più che accettabile, ma soprattutto lo stile è perfetto, rallentamenti e sottolineature sono opportunamente insinuanti, senza mai passare i limiti del buon gusto, l’esecuzione è piena di brio e di eleganza, la voce si espande, l’interprete è divertito e sciolto. Una fiammeggiante puntatura al do sopracuto corona, in maniera spettacolare quanto inattesa, una delle più belle prove della serata.
La seconda parte del concerto è tutta dedicata a Rossini.
Merritt sceglie otto brani, tre dalle Soirées musicales, tre dai Péchés de vieillesse più altri due non facenti parte di raccolte, ma legati da affinità a costituire una serie di quattro coppie: “La Promessa” dalle Soirées musicales è subito seguita dalla “Canzonetta”, brano sciolto scritto sul medesimo testo di Metastasio; le successive ”Ariette à l’ancienne” e ”Ariette villageoise”, entrambe dai Péchés, utilizzano invece un testo amoroso di Jean Jacques Rousseau; seguono due brani di ispirazione patriottica, “L’esule” dai Péchés de vieillesse e il pezzo sciolto “Nizza”; si chiude con una coppia di arie da camera celebri, inneggianti alla vita e alle gioie terrene, “L’orgia” e “La danza”, entrambe dalle Soirées musicales.
La difficoltà esecutiva sale, e con questa l’ampiezza della tavolozza espressiva.
Nei primi due brani emergono la sicurezza dell’intonazione anche nei passaggi di sbalzo che portano la voce sue e giù per i registri, ricordandoci le glorie baritenorili di Merritt; le due Ariettes, uniche di questo blocco rossiniano presentate anche a Montisi, confermano la flessibilità vocale del nostro tenore, essendo la prima piuttosto bassa di tessitura, con una affascinante ripresa in pianissimo, ben eseguita, e la seconda piuttosto acuta; i due brani successivi richiedono un interprete baldanzoso e coinvolto che sappia spaziare dalla tenerezza malinconica ai toni retorici e solenni e la tessitura ricca di slanci verso l’alto non crea problemi; Beatrice Benzi, bravissima in tutto il corso del recital, qui brilla particolarmente nell’introduzione di “Nizza”; degli ultimi due brani “L’orgia” è un’interpretazione di qualità, che coniuga con naturalezza brio ed eleganza, “La danza”, ovvero la famosa Tarantella di Rossini, brano rapido, convulso, con le sillabe che si accatastano come in uno scioglilingua, mette un po’ in affanno Merritt: qua e là il testo si ingarbuglia, qualche “frinche” salta, non è tra le migliori prestazioni della serata, anche se la pianista fa un lavoro eccellente per non stringere troppo i tempi senza perdere il brio spumeggiante che deve caratterizzare questo brano; francamente non l’avrei scelto come pezzo di chiusura.
Gli applausi sono sonori e calorosi nei limiti del possibile, per cui viene concesso un piccolo bis.
Già che siamo a parlare di applausi, però, non si può non parlare del pubblico e passare sotto silenzio una situazione che è tanto più triste quanto più sta diventando di routine.
Senza aver fatto indagini precise direi che a occhio e croce il teatro era pieno per molto meno di metà, forse si arrivava a un terzo, forse no. Degli spettatori presenti, una parte non trascurabile e dall’età media tremendamente alta era lì perché aveva il concerto in abbonamento, senza una precisa intenzione o volontà di ascoltare una vecchia gloria, un tenore che ai suoi tempi ha fatto la storia della Belcanto Renaissance, alcuni senza proprio sapere chi Merritt sia, o forse confondendolo con qualche altro cantante straniero con la barba, magari sentito vent’anni fa nella Tosca o nella Turandot.
Conseguenza di questo sono stati gli applausi di circostanza, freddini e sindacali, i signori e le signore che, appena finito il programma previsto, si sono alzati e se ne sono andati, come se avessero compiuto un dovere e si sentissero finalmente liberi di tornare a casa, perché è meglio non rientrare troppo tardi, tanto più che ‘la sera ha rinfrescato parecchio’.
A fianco di questi, erano perfettamente distinguibili i pochi appassionati veri, molto vivaci, rumorosi ed entusiasti, venuti anche da lontano, perché cantava Merrit e sentirlo in concerto oggi è cosa praticamente impossibile al di là di questa occasione singola, che quindi va presa al volo.
Questa purtroppo è una scena che si ripete troppo spesso, indipendentemente dalla qualità sempre piuttosto alta della proposta, tanto da indurre a domandarsi come stia oggi Firenze, se sia ormai più vicina a una cittadina provinciale e addormentata che a una capitale internazionale della bellezza e della cultura.
In ogni caso le grida di ‘bravo’ si sono fatte agevolmente strada e le chiamate al proscenio hanno indotto Chris Meritt e Beatrice Benzi, tra i quali l’affiatamento artistico, l’affetto e la stima reciproca sono evidenti, ad offrire un bis: un brano tratto dalla parte della Strega da Hänsel e Gretel. In questi interventi brillanti, da caratterista, la mimica, l’imponenza scenica, un che di fanciullesco nel coinvolgimento interpretativo, compongono un insieme di grande simpatia che non manca di suscitare altri applausi.
Così Chris Merritt, sorridente e in forma, saluta per il momento il suo pubblico italiano; tornerà presto per attività didattiche. Speriamo ci siano prossime occasioni anche per sentirlo cantare.