Bologna, Teatro Comunale:”Nabucco”

Bologna, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2013
“NABUCCO”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Temistocle Solera da Nabuchodonosor  di Auguste Anicet-Bourgeois.

Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco VLADIMIR STOYANOV
Ismaele SERGIO ESCOBAR
Zaccaria DMITRY BELOSELSKIY
Abigaille ANNA PIROZZI
Fenena  VERONICA SIMEONI
Il gran sacerdote di Belo ALESSANDRO GUERZONI
Abdallo GIANLUCA FLORIS
Anna ELENA BORIN
Orchestra  e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Michele Mariotti 
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Regia Yoshi Oida 
Ripresa da Maria Cristina Madau
Scene Thomas Shenk
Costumi Antoine Kruk
Luci Andrea Oliva
Allestimento del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 24 ottobre  2013
Attendere qualche giorno prima di posare le dita sulla tastiera è un’abitudine poco gradita all’editore, ma molto igienica per il critico teatrale, che spesso, dopo una serata in un teatro italiano, deve depurare il suo pensiero da quell’italianissimo sentimento che queste illustri istituzioni provocano nello spettatore: l’indignazione. Per quanto mi è possibile cercherò quindi di presentare sine ira ac studio le gravissime deficienze di questo spettacolo, che insultano l’arte di Giuseppe Verdi. Quale mancanza si potrà mai trovare a questo Nabucco bolognese, con quattro ottimi cantanti protagonisti, un’orchestra e un coro eccellente e un giovane direttore di provato talento, dirai tu, gentile lettore melomane? Mancava quella cosa fondamentale della cui esistenza ti sei quasi dimenticato per non averne quasi mai avuto esperienza nelle rappresentazioni melodrammatiche: il teatro. Al suo posto, il solito concerto in costume, che questa volta si è astenuto perfino dall’attuazione di quelle due o tre didascalie sceniche fondamentali che potrebbero fare intendere al pubblico la complicata trama del libretto di Solera. Per enumerare solo alcune delle tantissime vistose enormità, non trovando il teatro soldi a sufficienza per ingaggiare un numero sufficiente di coristi, sono state abolite le divisioni fra Ebrei e Babilonesi nelle scene che li dovrebbero vedere compresenti, col risultato di avere un popolo di idioti che si deporta e si opprime da sé stesso. In compenso sono stati trovati i soldi per otto inutili figuranti, impegnati in imbarazzanti ballettini televisivi (che oggi si chiamano “movimenti coreografici”) privi di significato. Nell’unico “guizzo registico” dello spettacolo, uno di questi fa finta di farsi una doccia durante “Va’, pensiero”, forse per ricordare che questo famoso motivetto ha accompagnato le abluzioni di molte generazioni di italiani. Assenti le concitate scene di massa, l’idolo di Belo infranto, quasi incomprensibili il tentato omicidio di Fenena e la sua conversione ecc… Insomma, è impossibile parlare del nulla. L’ottuagenario Yoshi Oida è famoso per essere stato un attore della compagnia di Peter Brook, ma non si può immaginare nessuno spettacolo più lontano da quelli del maestro e più rispondente alla definizione di “teatro mortale” di questa ridicola, vuota, noiosissima messinscena basata unicamente sui costumi sontuosi e kitsch dello stilista Antoine Kruk, ora costumista del Crazy Horse di Parigi.
Scriveva Verdi: “Purtroppo per il teatro è necessario qualche volta che poeti e compositori abbiano il talento di non fare né poesia né musica”. Se alle sue opere si toglie il teatro, quello che resta è spesso pessima poesia e non di rado mediocre musica. Non si insultano in questo modo solo le aspirazioni drammatiche del compositore, ma si ridicolizza la sua stessa musica, che ha la sua prima ragione d’essere nell’espressione drammatica. Si potrebbe dire che questa è la ripresa di uno spettacolo del 2006 e che riprendere gli spettacoli sia un’ottima pratica, tanto più nella presente crisi. Ma simili spettacoli non fanno altro che annoiare a morte chi si accosti al teatro d’opera per la prima volta, allontanandolo per sempre, e soprattutto confermano il melomane e il critico musicale medio nella sua ignorante convinzione che l’unica cosa importante dell’opera sia la musica e che i registi da fischiare siano quelli che distolgano l’attenzione da un ascolto “discografico” e che da premiare siano invece quelli che si limitino ad avere scene e costumi gradevoli e ad incassare l’assegno. Il Teatro Comunale di Bologna è un’istituzione ricca di grandi talenti, ma queste scelte dissennate della direzione artistica (in questo caso, quella precedente all’odierna) fanno ben poco per “dare valore alla cultura”, come recitava lo striscione della protesta preventiva contro l’ex-decreto (ora legge) “Valore Cultura” dei lavoratori del Teatro, argomento che segnalo all’attenzione del lettore ma che esula dai propositi di questa recensione.
Passando a considerazioni ben più liete, in contrasto con il totale fallimento scenico, dal punto di vista esclusivamente musicale questa produzione ha confermato lo standard elevatissimo delle produzioni curate dal direttore musicale principale Michele Mariotti, amatissimo beniamino del pubblico bolognese. Efficenti i comprimari. Sergio Escobar (Ismaele) ha un timbro di grande bellezza, cui si accompagna purtroppo una tecnica disordinata, evidente dai portamenti che precedono ogni attacco, da certi Sol non ortodossamente aperti e dall’incapacità di non sforare nei concertati. Veronica Simeoni è stata una toccante e irreprensibile Fenena e Dmitry Beloselskiy uno Zaccaria dalla voce ampia e scura, anche se più a suo agio negli acuti, molto belli, che nei gravi, sonori ma traballanti. Vladimir Stoyanov ha prestato un nobilissimo metallo vocale e un’ottima dizione al ruolo del protagonista, cesellando alcuni splendidi cantabili. Purtroppo ha deciso che alla fine della cabaletta “O prodi miei, seguitemi” è obbligatorio infilare un La bemolle acuto, anche a costo di rovinare una bella esecuzione con un suono anche brillante ma chiuso in maniera goffa e ridicola. È opinione di chi scrive che simili prodezze siano giustificabili solo quando eseguite alla perfezione e che il direttore d’orchestra dovrebbe vigilare contro l’eccessiva sicurezza di sé di taluni cantanti. Simili rimproveri non si possono muovere invece ad Anna Pirozzi, che ha sbalordito il pubblico con il sovrumano controllo tecnico necessario a fronteggiare la parte notoriamente impossibile di Abigaille: ricche note di petto, liquidi filati, agilità e un accento franco e intelligibile… Ciliegina sulla torta, un certo numero di Re e Mi bemolli sovracuti non scritti di potenza inaudita, che ben caratterizzano l’esibizionismo borderline del personaggio. Sarebbe proprio “pignolare” lamentarsi l’assenza del trillo nell’armamentario di questa artista, meritatamente passata in pochi anni dalle scalcinate “marchette” di provincia ai palcoscenici maggiori. Nell’opera italiana “corale” per eccellenza, il Coro del Comunale di Bologna ha dato un’ottima prova di sé e l’Orchestra ha saputo realizzare al meglio l’onestà ritmica e la raffinatezza timbrica che caratterizzano le letture sensibili ma coi-piedi-per-terra di Michele Mariotti. Ci fosse stato anche il teatro… P.V.Montanari Foto Rocco Casaluci