Roma, Teatro Vascello: “Canto per Orfeo”

Roma, Teatro Vascello,  Invito alla danza 2013, 23° edizione della Rassegna Internazionale di danza e balletto
“CANTO PER ORFEO
Compagnia Aterballetto
Coreografia di Mauro Bigonzetti
Musica originale dei Kitarodia
Antongiulio Galeandro (fisarmonica), Cristina Vetrone (voce, organetti, tamburelli), Lorella Monti (voce, tamburelli)
Interpreti: Saul Daniele Ardillo, Angel Blanco, Hektor Budlla, Alessandro Calvani, Charlotte Faillard, Martina Forioso, Johanna Hwang, Marietta Kro, Valerio Longo, Ivana Mastroviti, Giulio Pighini, Roberto Tedesco, Lucia Vergnano, Serena Vinzio.
Elementi scenici di Mauro Bigonzetti e Carlo Cerri
Video e luci di Carlo Cerri
Costumi di Kristopher Millar, Lois Swandale
Roma, 22 luglio 2013
Orfeo viene in città. L’Ade tra i bidoni, in uno spazio senza tempo, col ritmo scandito dalle mani sulla latta e fisarmoniche, tamburelli, organetti e canti purificatori e dal racconto viscerale e possente. Per separarsi e salutare il suo Ater nel 2012 ed andar via per altri lidi Bigonzetti entra di pancia, e dona alla Compagnia Canto per Orfeo. Sulle voci profonde dei Kitarodia, intrise di richiami popolari, arcaici che invitano ad assistere alla struggente storia il coreografo disegna la metafora del distacco, della fine. Orfeo ed Euridice hanno sempre abitato l’arte. Infinitamente raccontato, il mito del cantore che sfida il destino, scende negli inferi, domostra il suo dolore, commuove, porta indietro la sua amata. Euridice, la bella che muore due volte, ma felice, per l’amore che ha ricevuto. Bigonzetti indaga l’anima tralasciando ogni racconto melodico. Mentre uomini e donne, come in un antico coro greco, a ritmi che sembrano di pizzica si abbandonano all’estasi danzante, l’anima popolare della musica fa emergere sentimenti nudi e crudi, che nella ripetizione parossistica amplificano il sentire.
Lontano da ogni visione romantica, da ogni sublimazione se vuoi banale, se non quella del dolore costante, attratto dal dramma terreno Bigonzetti crea la sua danza povera, quella di Orfeo; Euridice, più compostamente segue. Nessuna costruzione post-accademica, neanche gestuale, solo movimenti di impulsi, scatti e pause, fratture, contorcimenti mossi dall’animo dolorante, mani accrampate, piedi contorti, dita spezzate; come un racconto di parole urlate, direttamente dalle viscere e poi fermi a sentire di nuovo i moti interni. Tutto è pervaso da un dolore costante, fatto di rassegnazione, fallimento e consapevolezza della fine. Resta solo questo, difficile andare oltre. Fin dall’inizio quel dolore invade gli incontri tra i due, che sembrano spesso delle lotte, faticosi, mai morbidi, abbracci ed immediate separazioni e poi da lontano a studiarsi e fissarsi. Concettuale nella costruzione, forse troppo, l’atmosfera è pesante e si sente la mancanza del più piccolo racconto dell’infinito emozionale variegato della coppia. Nella seconda parte la danza prende respiro, il coro si fa più incisivo fino al tragico epilogo, con le mani di Orfeo che non trovano più quelle dell’amata Euridice, che inesorabilmente svanisce. Partitura complessa, difficile, seppur attraente non sembra però la più riuscita del coreografo romano. Nonostante gli elementi interessanti, il sostegno delle musiche toccanti dei Kitarodia, le raffinate immagini e le belle  luci di Carlo Cerri, non si è pienamente coinvolti e anche se il racconto è fatto di stati d’animo, non si entra in empatia con i personaggi. La più prestigiosa e amata compagnia di balletto italiana, ormai l’unica di livello veramente internazionale, non sembra valorizzata al meglio delle sue possibilità. Pieno successo di pubblico.