“Carmen” tra ombre e luci

Trieste, Teatro Verdi, Stagione Lirica 2013
“CARMEN” 
Opèra-comique in quattro atti di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, dalla novella omonima di Prosper Mérimée.
Musica di Georges Bizet
Carmen LUCIANA D’INTINO
Don Josè ANDREA CARE’
Escamillo LUCIO GALLO
Micaela SERENA GAMBERONI
Frasquita ARAGAKI YUKIKO
Mercèdès CRISTINA DAMIAN
Moralès NICOLO’ CERIANI
Il Remendado  GIANLUCA SORRENTINO
Il Dancaire DARIO GIORGELE’
Zuniga FEDERICO BENETTI
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste
Coro di Voci Bianche “I Piccoli Cantori della Città di Trieste”
Direttore Donato Renzetti
Maestro del Coro Paolo Vero
Voci bianche dirette da Cristina Semeraro
Regia Carlos Saura (ripresa da Elisabetta Brusa)
Scene Laura Martinez
Costumi Pedro Moreno
Luci Francisco Belda
Allestimento del  Palau de les Arts Reina Sofia – Fundacio de la Comunitat Valenciana e Fondazione Teatro del Maggio Fiorentino
in collaborazione con Japan Art Society
Trieste, 5 febbraio 2013

Dopo l’azzeccata messinscena inaugurale del verdiano “ Corsaro”, un’opera molto amata  e popolare come la “Carmen” di Georges Bizet nel cartellone del Teatro Verdi, che nel secondo titolo di stagione ha riportato sul palcoscenico le vicende dell’eroina di Merimée, assente nove anni dalla scena triestina. Per l’occasione si è puntato su una trasposizione particolare e originale, scaturita dal pensiero di un grande regista cinematografico come Carlos Saura, autore di quell’indimenticabile “Carmen Story”  – vero e proprio inno alla passione alla Spagna e al flamenco  – che qui ispira e sostiene l’allestimento minimale realizzato in coproduzione tra Palau de les Arts Reina Sofia – Fundaciò de la Comunitat Valenciana e Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino.
A Trieste la ripresa della regia è stata curata da Elisabetta Brusa che, nella nota sul programma di sala, presenta quest’edizione di Carmen come “geometrica, elegante, straniante, bidimensionale e colorata, dove non si lavora per accumulo ma per sottrazione….Spazi vuoti, pochi oggetti di scena e corpi statici per sposare le linee pulite della scenografia e ancora effetti di luce giocati con le trasparenze di pannelli che rimandano al cinema, alle ombre cinesi, a quella dinamica luce/ombra che vive nelle viscere della Spagna profonda”. In effetti le scene create da  Laura Martinez sono minimali ma di inaspettato effetto, create da pannelli che nel primo atto sono collocati in modo da dividere a metà il palcoscenico, a suggerire dietro ad essi la manifattura tabacchi  e le sigaraie,  davanti la piazza di Siviglia con i soldati e i passanti, mentre negli atti successivi sono posti a semicerchio, quasi a contenere in soffocante abbraccio il dipanarsi della storia e il compiersi del destino dei protagonisti. Il movimento delle masse, attento ai dettagli della storia, dipana fluidamente il filo narrativo e non dimentica, nel secondo atto,  un accenno di flamenco. Al positivo riscontro visivo hanno contribuito  il monocromatico ma efficace gioco di luci realizzato da Francisco Benda nonchè i costumi tradizionali ma non polverosi creati da Pedro Moreno. Alla guida dell’Orchestra del Teatro Verdi, Donato Renzetti  ha dato vita a una lettura di poco slancio e molta routine, traendo ispirazione più dall’espansione lirica che dal ritmo incalzante  della passione, preoccupandosi  della coesione canora piuttosto che del fraseggio orchestrale. Di cio’ se n’è giovato la compagnia di canto che, alla fine, “porta a casa” lo spettacolo con successo e una punta d’eccezione offerta dalla coppia Don José – Micaela.  Al primo regala passione e baldanza vocale il giovane tenore Andrea Caré, scenicamente disinvolto e capace di affrontare note gravi e puntature acute in piena sicurezza e con variegato fraseggio mentre Serena Gamberoni, dotata di buoni mezzi e capacità espressiva, si è fatta apprezzare per la palpitante interpretazione che, senza tradire il personaggio, sottrae Micaela alla stereotipata immagine di fanciulla timida buona e brava per restituire quella di una donna innamorata che lotta per salvare il proprio amore. La protagonista, Luciana D’Intino, nonostante affronti la tessitura del ruolo con una disomogeneità timbrica che lascia alquanto perplessi, ha voce potente e di bel colore ma il personaggio è lontano anni luce dal suo sentire e la credibilità scenica praticamente inesistente. Costantemente con le mani sui fianchi e lo sguardo fisso, più che Carmen la D’Intino sembrava Santuzza costretta a cantare le proprie disgrazie in francese, peraltro in  sintonia involontaria con l’Escamillo di Lucio Gallo, spesso costretto a forzare per risolvere una scrittura che richiederebbe un bass-bariton quando non addirittura un basso e per le tentazioni veriste dell’interprete, più vicino al rude carrettiere Alfio che al seducente torero sciupafemmine.  Yukiko Aragachi (Frasquita), Cristina Damian (Mercedes), Gianluca Sorrentino (Remendado) e Dario Giorgelè (Dancairo) componevano brillantemente il quartetto dei contrabbandieri. Completavano efficacemente il cast il bravo Nicolo’ Ceriani nel ruolo di Morales e Federico Benetti in quello di Zuniga. Buona la prova offerta dal Coro diretto da Paolo Vero e nota di merito al Coro di Voci Bianche “I Piccoli Cantori della Città di Trieste” preparati da Cristina Semeraro. Al termine della recita, calorosi  applausi  tributati dal pubblico che esauriva il Teatro a tutti gli interpreti e prolungato lancio di fiori fin dall’apparire delle comparse. Foto Fabio Parenzan