Opera di Firenze: Zubin Mehta dirige Villa-Lobos, Ginastera e Dvořák

Firenze, Nuovo Teatro dell’Opera, 75° Maggio Musicale Fiorentino
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Maestro del coro Piero Monti
Heitor Villa-Lobos: Bachiana Brasileira n. 9 A. 449 per orchestra di voci
Alberto Ginastera: Variaciones Concertantes op. 23 per orchestra da camera
Antonin Dvořák: Sinfonia n. 9 in Mi minore op. 95 “Dal nuovo mondo”
Firenze, 10 maggio 2012
Un abbraccio del Vecchio Continente al Nuovo Mondo è l’impressione che il folto pubblico fiorentino ha colto accorrendo al concerto celebrativo del cinquecentenario dalla morte dell’esploratore della “quarta parte della Terra” Amerigo Vespucci e dal quale prende il nome di “Americhe”. Zubin Mehta torna a salire sul podio dell’ancora incompleto Nuovo Teatro dell’Opera con un programma che lo vedrà impegnato con l’Orchestra del Maggio per la tournée che il prossimo agosto affronterà in Sud America. Nella prima parte gli spartiti di due autori latinoamericani danno modo di godere delle singole masse artistiche del teatro fiorentino fin nelle sue specifiche componenti.
Con la breve, ma apprezzata Bachiana Brasileira n. 9 di Villa Lobos per la prima volta si ha modo di ascoltare il Coro del Maggio Musicale Fiorentino esibirsi a cappella nell’auditorio delle Cascine. Disposto nel luogo deputato all’orchestra, dopo l’introduttivo Preludio (Vagaroso è mistico), i baritoni e i bassi introduco alla Fuga (Pouco apressado) a cui si aggiunge la linea dei tenori seguita da quella dei mezzosoprani e dai contralti e da quella dei soprani. Il coro si dimostra capace di offrire una vasta gamma di sfumature sonore all’interno del quale l’orecchio riesce ad individuare distinte sezioni di voci equivalenti alle famiglie strumentali comportandosi come se fosse un’orchestra nel vero senso del termine. La spontaneità delle melodie popolari brasiliane si fondono al rigore formale del Kantor di Lipsia. La palpabile sintonia dei singoli componenti della compagine in complicità con la freschezza dell’ottima acustica della nuova sala che ancora odora di vernice fresca sono sinonimo di una qualità di primaria importanza che Piero Monti è riuscito nel suo operato di maestro del coro. Il risultato è un edificio sonoro compatto, spigliato, travolgente.
L’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino entra in scena con le Variaciones Concertantes op. 23 di Ginastera il cui primo tema è intonato dal dialogo espressivo tra l’arpa e violoncello a mó di duetto vocale a seguito del quale l’esecuzione si dispiega in altri undici numeri senza soluzione di continuità tra loro in cui tra variazioni, riprese e interludi la formazione orchestrale ha modo di essere apprezzata fin nelle sue singole componenti. Si segnalano, per aver destato particolare interesse, il n. V dove la viola solista è sostenuta da lunghi accordi dei fiati all’unisono lievitando il valore drammatico della variazione, il moto perpetuo del violino della spalla di Yehezkel Yerushalmi sfociante in un brillante virtuosismo al n. VIII, l’equilibrato dialogo dei fiati al n. X, il ritorno del duo al n. XI dove l’arpa è ora accompagnata dal contrabbasso di Alberto Bocini il cui vigoroso virtuosismo accompagna tutta l’orchestra al rondò finale del n. XII quale culla di una stilizzata danza caratterizzata da una serie di scale ascendenti e discendenti spigionanti un senso di potenza che la lettura di Mehta sceglie di esporre in tutta la sua grandiosità.
Ultimo brano del concerto non poteva che essere se non il più celebrato omaggio che la vecchia Europa musicale ha fatto alle nuove terre dell’oltreatlantico: la Sinfonia n. 9 del boemo Dvořák. È un’esecuzione di orgogliosa potenza ove i singoli temi sono plasmati con compattezza in modo da emergere dalla solida massa sonora di base. Il tipico tratto della sensibilità di Mehta è riscontrabile nella propensione a creare un suono grosso, corposo, pieno e che porta ad ampliare i tratti di una musica il cui carattere si distingue da una già di sua rocciosa compattezza. Emerge così il tema dello spiritual “Swing Low Sweet Charriot” che ricompare nel corso di tutta la sinfonia sotto forma di leitmotiv in maniera netta, decisa ma integrata all’interno della complessa massa sonora congiungendosi ad essa con sfumati passaggi. E’ l’acustica della sala, come già accennato (a cui il pubblico fiorentino non è evidentemente abituato se non è riuscito a contenersi a un applauso fuori luogo al termine del primo movimento), ad avere innanzitutto il merito di concorrere al raggiungimento del travolgente risultato finale che si è tentato di descrivere garantendo di captare integralmente ogni certosina coloratura orchestrale, ma anche la qualità di evidenziare i difetti: è innegabile l’incertezza che il corno inglese ha incontrato nel corso dell’enunciazione dell’espressivo tema del secondo movimento che è riuscito a portare avanti in tutta la sua poeticità, incertezza che è purtroppo emersa in tutto il suo stridore. Pubblico in delirio in piedi ad applaudire gli artisti come rarissime volte accade a Firenze.
Foto Gianluca Moggi – Maggio Musicale Fiorentino