Dai ‘doppi finali’ alle edizioni anastatiche. Alcune considerazioni in merito alla tradizione de L’Orfeo (prima parte)

In occasione del 450esimo anniversario della nascita del compositore riproponiamo gli approfondimenti a cura del M° Stefano Aresi.
La presente versione di questo articolo, pubblicata nel 2010, non poteva tener conto del lavoro svolto da Rinaldo Alessandrini per la casa editrice Baerenreiter, pubblicato nel 2012: Claudio Monteverdi, L’Orfeo, favola in musica, hrsg. von Rinaldo Alessandrini, Baerenreiter, Kassel 2012. Questa edizione non solo colla finalmente tutte le copie note delle due stampe Amadino, ma pone l’attenzione degli studiosi sull’importanza delle indicazioni manoscritte attestate nel testimone di Wroclaw. Sebbene venduta come edizione “Urtext”, e sebbene, dato l’impianto dato alla pubblicazione, il curatore non si addentri nelle questioni di ordine filologico e storico affrontate nel saggio qui riedito, questa versione de L’Orfeo garantisce un ricco apparato critico, utile e dettagliato strumento per verificare e valutare le singole scelte del curatore in termini di varianti. Metodologicamente essa si configura, quindi, come un notevole passo avanti rispetto alle edizioni moderne descritte nel presente articolo, indirizzando lo sguardo dei fruitori a realtà scientifiche spesso ignorate o sottovalutate. Stefano Aresi

Lo studio si propone anzitutto di fornire una analisi sistematica della genesi de L’Orfeo di Claudio Monteverdi, della storia del suo testo e delle modalità di trasmissione dello stesso, ricostruendo non solo le vicende di testimoni perduti e i legami tra quelli esistenti, ma anche dimostrando le aporie metodologiche presenti nelle moderne edizioni dell’opera, oltre che l’infondatezza di molti miti musicologici legati alla partitura.
In particolare si cerca di dimostrare l’insostenibilità dell’ipotesi della presenza di un finale “bacchico” come originariamente musicato da Monteverdi in loco di quello presente nelle stampe Amadino.
Introduzione 1
Per una maggiore consapevolezza nell’accordare le proprie preferenze ad una delle non poche partiture a stampa de L’Orfeo disponibili sul mercato attuale, è necessaria una operazione di lettura che aiuti a comprendere se e quanto il rigore dei curatori si sia dimostrato costante in tutte le fasi del lavoro di edizione o quanto essi abbiano altalenato, più o meno consapevolmente, tral’integerrimità metodologica e aporie di carattere concettuale, errori di recensio e/o di scelta delle varianti, o fenomeni di ipercorrettivismo.
È infatti spesso evidente, specie nelle introduzioni, una generica confusione attorno al termine “originale”, non tanto identificato come un testimone (non necessariamente autografo) che fissi la redazione d’autore e da cui si diparta la tradizione, quanto piuttosto come il “contenitore del testo” più antico rinvenibile nelle biblioteche, l’editio princeps Amadino, del 1609.2
Questa stampa viene genericamente intesa come una sorta di oggetto astratto e per giunta (a prescindere, e senza alcuna reale verifica in merito)3 scevro da qualunque rischio derivante dall’ipotesi di una sequenza di emissioni nella medesima tiratura. Amadino 1609 viene insomma investita, nella maggior parte dei casi, di una autorevolezza assoluta, tale da giustificare come unica
soluzione per il curatore una best text edition.
Alcuni editori, tuttavia, attribuiscono questa auctoritas, pur sempre non giustificando in modo stringente la propria preferenza, ad Amadino 1615, sostenendo talora un presunto intervento (tutto da dimostrare) di Monteverdi nella preparazione della seconda stampa (ignorando, a priori anche in questo caso, la possibilità di varianti legate a differenti emissioni, e, quindi, non procedendo a verifica
alcuna in tal senso).
4 L’Orfeo, in sostanza, non ha ancora goduto dei dei frutti del progresso della critica testuale in campo musicale: da Eitner (1881) in poi l’assunto che si potesse plausibilmente procurare l’edizione del lavoro di Monteverdi semplicemente trascrivendo in notazione moderna una delle due stampe Amadino (fatti salvi i tagli, le riorchestrazioni e le realizzazioni del basso dettate dalle necessità proprie dei momenti e dei contesti storici in cui le curatele si compirono) ha assunto in più occasioni un sapore dogmatico; la prima voce nettamente contraria a questo modus operandi pare quella Jane Glover (non a caso una studiosa principalmente dedita all’attività di esecutore) che a più riprese, nei propri scritti, esprime o lascia intendere la necessità di procedere a collazione tra Amadino 1609 e Amadino 1615, seppur giungendo a conclusioni tali da giustificare de facto una contaminatio indiscriminata tra lelezioni presenti in entrambi i testimoni.5 Si dovrà attendere il 1987 perché Tim Carter, recensendo in «Music & Letters» il noto testo di John Whenham sul capolavoro di Monteverdi,6 esprima in modo chiaro alcune generiche perplessità in merito alla liceità di un tal modo di operare, ponendo in dubbio la natura meccanica del legame tra le due differenti stampe de L’Orfeo.
Tuttavia, alcuni eccessi semplificatorii sono spesso ravvisabili lungo tutto il percorso editoriale de L’Orfeo, a prescindere dall’adesione ad un atteggiamento più o meno critico nei confronti della storia della tradizione da parte dei singoli curatori: credo in tal senso significativo il commento all’edizione Tarr offerto da Albert Seay,7 in cui è valutato non disdicevole un progetto di recensio che porti come conseguenza alla collazione sistematica tra le stampe antiche e la resa del testo data da Malipiero,8 e ciò non tanto – si badi bene – per il rischio che lo studioso italiano potesse a suo tempo aver avuto accesso a testimoni oggi scomparsi, quanto per la “bontà” delle lezioni in essa presenti, tali da renderla metodologicamente un collettore di varianti di valore pari alle Amadino.
Individuate queste generiche tendenze nelcampo della curatela, basti sapere che, comunque, problemi di natura squisitamente lachmanniana o pasqualiana non paiono aver mai pesato più di tanto nell’operato degli editori e sui fruitori de L’Orfeo: esemplari in tal senso paiono le recensioni date a due differenti partiture moderne da Robert Donington nel 1968 sulla rivista «Notes».9
Eppure, nella letteratura dedicata a Monteverdi, alle “origini dell’opera” in generale, e ad Orfeo nello specifico, alcuni suggerimenti attorno ai rapporti stemmatici tra i testimoni esistenti e alle problematiche relative alla genesi e alla trasmissione del testo emergono, talora in modo decisivo. Queste evidenze demoliscono completamente l’assunto comunemente accettato di una storia della tradizione del testo solamente verticale e rigidamente ancorata al  modello sequenziale Autografo – Amadino 1609 –  Amadino 1615, poiché sin dalla genesi dell’opera è evidente un proliferare di testimoni incontrollabile per noi ma della cui esistenza non è saggio non tener conto. Senza considerare, poi, quanto – e cercheremo di dimostrarlo più sotto – il momento preparatorio di Amadino 1615 sia stato tutt’altro che caratterizzato da un lavoro di piana copiatura e “correzione” al meglio della stampa precedente.
( fine prima parte )

GB Opera ringrazia Stefano Aresi e la  prof.ssa Maria Caraci Vela che a nome di Philomusica on-line  ci hanno permesso la pubblicazione di questo saggio.

1 Il presente saggio prende le mosse dal lungo lavoro preparatorio alla registrazione discografica de L’Orfeo realizzata in occasione del quarto centenario del capolavoro dall’ensemble La Venexiana: MONTEVERDI (2006). Rivolgo qui a Claudio Cavina i più sentiti ringraziamenti per la fiducia e il sostegno accordato alle mie ricerche, e a Maria Caraci Vela, Marco Mangani, Antonio Delfino, Rodobaldo Tibaldi, Angela Romagnoli, Daniele Sabaino, Maria Teresa Rosa Barezzani per l’ascolto e i consigli offertimi all’inizio d’una impresa così complessa.
2 L’ORFEO /FAVOLA IN MUSICA / DA CLAUDIO MONTEVERDI / RAPPRESENTATA IN MANTOVA / l’Anno 1607. & novamente data in luce. / AL SERENISSIMO SIGNOR / D. FRANCESCO GONZAGA / Prencipe di Mantova, & di Monferato, &c. / [doppio fregio] / In Venetia Appresso Ricciardo Amadino /MDCIX. // D’ora in avanti Amadino 1609. Parimenti Amadino 1615 indicherà: L’ORFEO /FAVOLA /IN MUSICA / DA CLAUDIO MONTEVERDE / MAESTRO DI CAPPELLA / DELLA SERENISS. REPUBLICA. /RAPPRESENTATA IN MANTOVA / L’Anno 1607. Et novamente Ristampata. / [fregio] / IN VENETIA MDCX.V. / Appresso Ricciardo Amadino. //
3 Esemplari le considerazioni di Benvenuti nell’introduzione a MONTEVERDI (1942).
4 La necessità di una collazione sistematica degli esemplari sopravvissuti pare non essere percepita come tale anche in forza dell’estrema praticità di lavoro determinata dalla diffusione dei facsimile, in specie quello edito nel 1972 da Gregg International Publishers a cura di Denis Stevens (riproduce un non meglio specificato esemplare di Amadino 1615) e quello edito da SPES nel 1993 a cura di Pietro Mioli (riproduce l’esemplare Amadino 1609 conservato con segnatura Landau Finaly Mus. 4 presso la Biblioteca Nazionale di Firenze). Il primo facsimile mai stampato de L’Orfeo di cui abbia recuperato notizia parrebbe quello pubblicato nel 1927 ad Augsburg da Sandberger (riproduce un esemplare di Amadino 1609 non identificabile).
5 La Glover ben traccia il percorso editoriale de L’Orfeo in tempi moderni in GLOVER (1975); la visione e i metodi propri dell’autrice nei confronti de L’Orfeo sono chiaramente riassunti in GLOVER (1986).
6 Si tratta della recensione a Claudio Monteverdi Orfeo apparsa in «Music and Letters» (1987, 68, pp. 74-75).
7 MONTEVERDI (1974), già MONTEVERDI (1969).
8 MONTEVERDI (1930).
9 DONINGTON (1968).