Festival Verdi 2013: “I Masnadieri”

Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2013
“I MASNADIERI”
Melodramma tragico in quattro parti su libretto di Andrea Maffei da Die Räuber di Friedrich Schiller
Musica di Giuseppe Verdi
Massimiliano, conte di Moor, reggente MIKA KARES
Carlo, figlio di lui ROBERTO ARONICA
Francesco, figlio di lui DAMIANO SALERNO
Amalia, orfana, nipote del conte AURELIA FLORIAN
Arminio, camerlengo della famiglia reggente ANTONIO CORIANÒ
Moser, pastore GIOVANNI BATTISTA PARODI
Rolla, compagno di Carlo Moor ENRICO COSSUTTA
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, 23 ottobre 2013
Ci prova anche il Teatro Regio di Parma, inserendolo come ultimo spettacolo delle celebrazioni verdiane, a far rivivere I Masnadieri dopo la recente produzione che ha visto coinvolti il Gran Teatro La Fenice di Venezia e il San Carlo di Napoli. Ci prova però limitandosi a seguire quanto avvenuto lo scorso anno per La battaglia di Legano: cantanti e direttore beniamini di casa più un nuovo allestimento. Meno fastosi (e meno “già visti” rispetto al Pizzi del Festival trascorso) i Masnadieri di Leo Muscato vengono posposti dal XVI secolo in un’epoca non ben precisata. Un vago richiamo all’ambientazione originaria potrebbe essere ravvisato nei costumi creati da Silvia Aymonino mentre le scene di Federica Parolini sono completamente atemporali e fisse, tranne per gli alberi calati dall’alto a simulare la foresta alla parte terza. Gran parte dell’aspetto visivo viene assolta dalle luci di Alessandro Verazzi; uno sfondo boschivo, l’atmosfera notturna e caliginosa durante la visita di Amalia ai sepolcri attigui al castello, gli improvvisi lampi di luce che abbagliano Francesco durante i suoi incubi… Viene dato così grande rilievo alla componente gotica del dramma.
In effetti, sembra di essere catapultati in un romanzo di Ann Radcliffe dove ogni aspetto, ogni tratto di personaggi e vicende viene portato alla massima esasperazione, talvolta fino alla caricatura – come per le improponibili scene di “lascivia” da parte dei masnadieri alla parte prima o al duetto tra Francesco e Amalia -, sempre in bilico tra realtà e allucinazione, come sempre in bilico sembrano le assi lignee della scena su cui si muovono i protagonisti. Francesco viene rappresentato con il viso dipinto di rosso per metà, in modo di rimanere subito impresso nello spettatore come l’elemento “marchiato”, quello che possa rappresentare al meglio il volto di questa famiglia marcescente; è l’unico per il quale vengono utilizzate candele per illuminarne l’incedere allucinato per il palco. Gli oggetti e arredi scenici sono pochi, pressoché inesistenti, in modo da essere sempre facilmente riconducibili all’azione in atto, come per il letto e lo scranno che affiancano il vecchio conte di Moor. Circa il resto molta routine, sia per quanto riguarda la gestione del coro che il lavoro sui rimanenti personaggi.
Dello strumento un tempo squillante di Roberto Aronica (Carlo) colpisce ora una cerca difficoltà nel passaggio all’acuto, piuttosto laborioso, che si risolve spesso in falsetti o suoni puntuti e spinti; il canto, poi, è sempre impostato sul forte così da vanificare una qualsivoglia ricerca di colori e accenti, come ad esempio al duetto con Amalia. Damiano Salerno (Francesco) ha una tipica voce “a piramide”, con acuti sempre coperti e poco proiettati; ad un volume non propriamente debordante, si aggiunge una certa tendenza a “cantarsi in bocca”, così da rendere inudibili frasi come «Rimanti! Un altro invia.». Nei panni di Amalia, Aurelia Florian è forse quella che tenta più degli altri di rifuggere da una semplice meccanicità nel cantabile; restano però irrisolti i problemi legati al canto fiorito e un registro acuto sbiancato e teso, scollato dal resto della voce. Delle due voci di basso, Mika Kares (Massimiliano) e Giovanni Battista Parodi (Moser), ci limitiamo a rilevare come suonino costantemente “indietro”. Bene l’Arminio di Antonio Corianò, sonoro e squillante, l’unico che sia riuscito a tirar fuori da questo personaggio diviso tra sottomissione e disobbedienza nei confronti di Francesco una certa rilevanza musicale e drammaturgica. Davvero eccellente la prova – strettamente musicale ma anche attoriale – del Coro del Teatro Regio di Parma guidato da Martino Faggiani, in particolar modo la sezione maschile che trova in quest’opera un impiego davvero massiccio. Francesco Ivan Ciampa, a capo della Filarmonica Arturo Toscanini ancora una volta in ottima forma, offre una direzione sì rispettosa di canto e scena ma davvero povera di colori e dinamiche: sicché, come abbiamo riferito sopra, chi canta sembrerebbe farlo secondo una propria logica e direzione. Molti i consensi per tutti; particolarmente festeggiato dal pubblico Roberto Aronica. Foto Annalisa Andolina – Teatro Regio di Parma