Franco Fagioli: “Rossini”

Gioachino Rossini (1792-1868): “Pien di contento in seno” (Demetrio e Polibio); “Sazia tu fossi alfine…Ah, perchè, perchè la morte” (Matilde di Shabran); “Serti intrecciar le vergini…Questi che a me presenta”(Adelaide di Borgogna); “O sospirato asilo…Dolci d’amor parole” (Tancredi); “Salve, Italia…O sacra alla virtù” (Adelaide di Borgogna); “Eccomi alfine in Babilonia…Ah, quel giorno” (Semiramide); “Nel misero tuo stato…Ah! Chi sa dirmi se la sposa” (Eduardo e Cristina). Franco Fagioli (controtenore), Christos Kechris (tenore), Petros Magoulas (basso). Armonia Atenea Orchestra e Coro. George Petrou (direttore), Agathangelos Georgatos (M°del Coro). Registrazione: Atene, Megaron, Metropoulos Hall, novembre 2015. T.Time: 75.23. 1 CD Deutsche Grammophon DG 479 5681

Franco Fagioli
in un album interamente dedicato a Rossini, di fronte a questa proposta le reazioni possono essere le più differenti ma sicuramente è difficile restarne indifferenti. Una delle stelle dell’attuale panorama lirica, un cantante di riferimento nell’esecuzione del repertorio barocco affronta da controtenore una scelta dei maggiori brani scritti da Rossini per voce di contralto. Attrazione e dubbi non possono che sorgere spontanei e all’ascolto entrambi trovano in qualche modo conferma.
L’idea di fondo è comprensibile ma lascia inevitabilmente aperte molte questioni, se è vero che la prassi di affidare ruoli eroici a voci femminili rappresentava una continuità della tradizione dei castrati settecenteschi è anche vero che questo voluto anti-naturalismo acquisisce in Rossini una precisa valenza estetica finalizzata ad una sublimazione neoclassica degli effetti che prescinde dal genere dell’interprete per librarsi su un piano di ideale perfezione da intendersi in chiave quasi platonica e non bisogna lasciarsi trarre in inganno da certi rimpianti rossiniani per l’età dei castrati, che molto hanno a che fare con una certa immagine di “uomo del Settecento nel secolo sbagliato” con cui Rossini amava giocare ma che non trovano mai riscontro nell’effettiva prassi teatrale dove l’unico caso di collaborazione con un autentico castrato pare sia stato tutt’altro che idilliaco.
Pur non potendo prescindere dalle considerazioni preliminari bisogna riconoscere che il repertorio del belcanto italiano del primo Ottocento ha giocato un ruolo importante nella formazione di fagioli dove rappresentava un passaggio necessario di affinamento tecnico mancando una tradizione di canto barocco nella natia Argentina e questa conoscenza e questo amore si sentono pienamente e che il programma proposto è stato costruito con particolare cura nel dipanarsi sull’intero arco della produzione italiana di Rossini e giocando con intelligenza l’efficace contrasto fra arie molto celebri ed altre praticamente ignote – come la notevole scena di “Edoardo e Cristina” l’ultimo dei lavori rossiniani ad attendere ancora una riscoperta attendibile – passando per versioni alternative di brani celebri come nel caso del “Tancredi” dove in luogo di “Di tanti palpiti” è proposta l’alternativa “Dolci d’amor parole”.
Il programma si apre con il debutto rossiniano di “Demetrio e Polibio” in cui non si può non restare ammirati dalla maturità del compositore adolescente in un brano in cui già sono i semi della futuro maturazione rossiniana ma in cui si apprezzano alcune delle doti migliori di fagioli, il bel timbro luminoso e compatto specie nella zona medio acuta, la chiarezza della dizione, l’ammirevole pulizia delle colorature specie se molto rapide. Sono tra i tratti migliori dl canto di Fagioli insieme alla ricchezza di colori e di accenti e alla capacità di cogliere sempre molto bene la cifra espressiva del singoli brani. Ogni rosa ha però le sue spine e qualcuna comincia già a notarsi nel brano seguente, la grande scena di Edoardo Lopez dalla “Matilde di Shabran” – uno dei meriti della registrazione è quella di proporre sempre in brani nella loro completezza senza tagli inevitabilmente forzati – in cui restano la musicalità, l’eleganza e la pulizia della linea di canto ma in cui si nota maggiormente la presenza di centri non sempre così solidi che si ripercuotono in palesi forzature nel settore grave alla ricerca di un suono più robusto ottenuta con discese in poco piacevoli suoni di petto. Le colorature sono sempre molto pulite anche se nel canto di forza emerge qualche difficoltà. Se  la voce sale bene in zona acuta,  le puntature estreme sono più tese  e mancano di autentico squillo come  in “Al trono tuo primiero” da “Adelaide di Borgogna”.
In linea di massima i meriti prevalgono comunque sui difetti e la registrazione si asciolta con sostanziale piacere pur non potendosi togliere il senso di operazione costruita dell’insieme, quello che si ascolta è un “capriccio” di un divo, pienamente legittimo in se ma che non deve trarre in inganno sulla legittimità filologica dell’operazione, il Rossini di Fagioli si ascolto con lo stesso piacere con cui ancora si possono ascoltare Prey o Fischer-Dieskau in Giulio Cesare od Orfeo, di una piacevolezza epidermica che può tranquillamente prescindere della ragioni filologiche ma che deve fermarsi a questo livello.
Ad accompagnare Fagioli il complesso greco Armonia Atenea diretto da George Petrou conferma le qualità strumentali già altre volte apprezzate ma suona Rossini come si trattasse di Händel o Vivaldi senza cercare di far propria le sostanziali differenze sul piano dei timbri e dei colori orchestrali che spesso risultano tropo secchi e poveri di corpo, migliore nel complesso la prova del coro.