Genova, Teatro Carlo Felice: “La Traviata”

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione Lirica 2012/2013
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valery MARIELLA DEVIA
Flora VALERIA SEPE
Annina PAOLA SANTUCCI
Alfredo Germont FRANCESCO MELI
Giorgio Germont ROBERTO SERVILE
Gastone ENRICO SALSI
Barone VALDIS JANSONS
Marchese CLAUDIO OTTINO
Dottor Grenvil CHRISTIAN FARAVELLI
Giuseppe GIAMPIERO DE PAOLI
Domestico ROBERTO CONTI
Commissionario ALESSIO BIANCHINI
Danzatori/Mimi DEOS (Luca Alberti – Luisa Baldinetti – Emanuela Bonora – Dario Greco – Nicola Marrapodi – Erica Melli – Roberto Orlacchio – Roberto Pierantoni)
Coro e Orchestra del Teatro Carlo Felice
Direttore Fabio Luisi
Maestro del Coro Patrizia Priarone
Regia Jean-Louis Grinda
Scene Rudy Sabounghi
Costumi Jorge Jara
Coreografia Eugénie Andrin
Ripresa da Giovanni Di Cicco
Luci Laurent Castaingt
Genova, 18 maggio 2013

I più attenti tra i numerosi spettatori che hanno gremito il Teatro Carlo Felice in occasione della prima rappresentazione di “La Traviata”, produzione che chiude la stagione operistica del maggiore ente lirico genovese, avranno certamente notato l’insolita assenza in buca dei professori d’orchestra intenti, come di consueto, ad accordare gli strumenti ed a ripassare alcuni passi della partitura. Quando le luci si spengono, il Maestro Fabio Luisi avanza sul proscenio accompagnato da una folta rappresentanza dei lavoratori del teatro e legge al pubblico un appello in cui invita le autorità ad adoperarsi per salvare il Carlo Felice affinché tanta eccellenza non vada persa per sempre. Trascorsi due minuti di silenzio a sipario chiuso (che, come affermato da Luisi, avrebbero dovuto rendere l’idea di un teatro incapace di produrre), la parola passa ai rappresentanti sindacali delle maestranze del Teatro, che leggono un durissimo comunicato nel quale attaccano senza mezzi termini l’incapacità del CDA dell’ente lirico, del sovrintendente Giovanni Pacor, del sindaco (e presidente della Fondazione) Marco Doria e del presidente della regione Liguria Claudio Burlando, che, a loro dire, non sono riusciti a rilanciare il Carlo Felice nonostante i sacrifici dei dipendenti. Applausi composti dalla platea. Certamente non compete a noi di addentrarci nel merito delle questioni economiche della Fondazione, soprattutto in mancanza di una replica dell’altra parte interessata; pertanto, ci “limiteremo” a parlare di teatro.
Cast stellare per questa Traviata, che è anche una sorta di celebrazione del talento ligure nel mondo, dal momento che, oltre al direttore, anche i tre personaggi principali sono originari della Liguria.
La coproduzione con l’Opéra de Monte-Carlo mette in scena un’opera che non si può certo dire modernizzata, quanto piuttosto post-datata di circa un secolo rispetto al ’700 indicato nel libretto di Piave, come peraltro era previsto nelle intenzioni originarie dell’autore prima dell’intervento della censura austriaca. La scenografia disegnata da Rudy Sabounghi, pur escludendo una gran parte del boccascena nel senso dell’altezza, risulta elegante e funzionale: essa è costituita da un soffitto semicircolare e da due pannelli, raffiguranti uno squallido interno, che muovendosi lungo il lato curvo, assieme a sipari neri semitrasparenti, consentono un passaggio rapido da un’ambiente ad un altro. La scelta del regista Jean-Louis Grinda di mostrare, durante il preludio, alcune donne in abiti discinti, tra cui Violetta, che vengono visitate dal medico risulta di cattivo gusto, quasi si volesse rendere la figura della protagonista come quella di una prostituta da bordello e non di un’assidua frequentatrice dei nobili salotti parigini. Terminato questo insolito incipit con la vestizione di Violetta, i pannelli si aprono per rivelare l’eleganza del salone in cui si svolge la festa del primo atto: le masse eseguono pochi e spenti movimenti, compresa la stessa protagonista che sembra capitata per caso al ricevimento in casa sua, contrastando con la frizzante e vivace musica del Verdi. Anche la scelta di far camminare Alfredo e Violetta sulle sedie durante il celebre brindisi ha poco di originale, mentre spostare il dialogo successivo tra i due in un ambiente diverso, grazie alla dinamicità della scenografia, risulta trovata gradevole. Enigmatici i movimenti su “Si ridesta in ciel l’aurora”, con una Violetta troppo assorta nei suoi pensieri per ricambiare il saluto degli invitati che, alle sue spalle, spezzano la staticità del momento piegandosi insensatamente su e giù sulle ginocchia. La bella prima scena del secondo atto vede l’inedita apparizione della sorella di Alfredo al di lá delle vetrate che danno sulla campagna durante l’intervento di Germont padre, mentre la festa a casa di Flora si rivela piuttosto avara di zingarelle (una sola ballerina) ma meglio fornita di toreri, che rendono la situazione meno statica rispetto al primo atto (coreografie di Eugénie Andrin riprese da Giovanni di Cicco), anche se risulta francamente difficile identificare i personaggi secondari che stanno cantando. Non convince la reazione composta e l’atteggiamento quasi di sfida di Violetta nel momento in cui viene pesantemente offesa dall’amato abbandonato a forza. Criptica la trovata sul tragico finale, in cui la protagonista spira applaudita da figure avvolte nella semi-oscurità. Belli ed eleganti i costumi di Jorge Jara, suggestive le luci di Laurent Castaingt, pur non esenti da qualche paradosso logico: come è possibile che l’ombra delle finestre del secondo atto si stagli contemporaneamente sia sul pavimento sia sulle due pareti della casa di campagna? Realistico l’effetto dello spiraglio di luce aperto da Annina su ordine Violetta nel terzo atto, peccato che durante il coro carnevalesco la stanza piombi nell’oscurità per poi reilluminarsi misteriosamente.
Mariella Devia ripropone la sua collaudata Traviata con la sicurezza e la padronanza delle grandi artiste. Passate le primissime battute, eseguite, per la verità, un po’ in sordina, il soprano ligure ha modo di dar sfoggio a tutta la prestanza del suo strumento, dando vita ad una prestazione in continuo crescendo. Salda l’intenzione anche nei passaggi più temibili della cabaletta in finale dell’atto primo e convincente interpretazione nella seconda parte; brividi autentici sull’arioso “amami Alfredo”. A voler trovare un difetto, si può rilevare una maggiore inconsistenza negli estremi gravi della partitura ed avremmo inoltre preferito che quel “è tardi!” declamato al termine della lettura della lettera di Germont fosse stato reso con la drammatica desolazione prevista dal libretto, piuttosto che, come è avvenuto, con rabbia violenta. Magistrale il resto dell’esecuzione del terzo atto, con un toccante “Addio del passato” che raccoglie l’applauso prolungato del pubblico.
Meraviglioso l’Alfredo del genovese Francesco Meli, dotato di voce giovanile e sonora, corposamente timbrata in tutta l’estensione. Il tenore combina una convincente presenza scenica ad uno strumento in stato di grazia che gli consente di spaziare con padronanza colori in tutta la tessitura. Rinuncia (saggiamente) alla puntatura al termine dell’aria “O mio rimorso, o infamia!”; struggente la cieca rabbia con cui getta le banconote guadagnate al gioco in faccia a Violetta.
Non all’altezza, di altre performance e del resto del cast, Roberto Servile nel ruolo di Giorgio Germont. Forse indisposto (nulla è stato comunque segnalato), il baritono nato all’ombra della Lanterna non ha saputo far corrispondere ad una presenza in scena composta ed all’occorrenza dignitosamente pentita altrettanta saldezza vocale. La voce non ha reso le necessarie cromature, è parsa avara di legati e sembrava sempre provenire flebile da una stanza remota. Per lui, isolate contestazioni al termine della recita hanno sovrastato l’applauso di stima del pubblico.
Ottima, nonostante la pochezza della parte, la prova di tutti i comprimari, con particolare menzione per Paola Santucci (Annina), Valeria Sepe (Flora) ed il frizzante Enrico Salsi (Gastone), coadiuvati da Claudio Ottino (Marchese), Valdis Jansons (Barone Duphol) e Christian Faravelli (Dottor Grenvil), cui spetta l’ingrato compito rendere il pubblico consapevole, con viva emozione, che a Violetta non restano “che poche ore”.
Molto buona la prova del coro preparato da Patrizia Priarone, nonostante qualche lieve imprecisione sugli attacchi. Direzione sublime quella del principal conductor del Metropolitan Fabio Luisi, che riesce a trarre una notevole prestazione dall’esperta Orchestra del Teatro Carlo Felice. Il suono è garbato e ben temperato, i colori sono resi con vivida partecipazione e l’equilibrio tra palcoscenico e golfo mistico è sempre impeccabile. Particolarmente significativi gli speculari preludi al primo e terzo atto, in cui Luisi ha modo di esaltare il suono malinconico e delicato degli archi.
Il pubblico, al termine della recita, dimostra di aver apprezzato uno spettacolo complessivamente all’altezza delle aspettative, con particolari ovazioni per la coppia Devia-Meli ed il Maestro Luisi.
Cala quindi il sipario su una stagione qualitativamente molto valida, ma ancora, data l’incertezza che regna sovrana, non si fa menzione della successiva. Non resta che augurare tempi migliori ad un’eccellenza tra le Fondazioni musicali italiane, nonché ad una struttura che, per particolarità e caratteristiche tecniche, ha pochi rivali nel mondo. Foto Marcello Orselli – Teatro Carlo Felice di Genova.