Gioachino Rossini 150: “La gazzetta” (1816)

Opera in due atti su libretto di Giuseppe Palomba. Cinzia Forte (Lisetta), Enrico Marabelli (Don Pomponio), Edgardo Rocha (Alberto), Laurent Kubla (Filippo), Julie Bailly (Doralice), Monica Minarelli (Madama La Rose), Jacque Catalayud (Anselmo), Roger Joakim (Monsù Traversen), Lilo Ferrauto (Tommasino). Orchestre et Choer de l’Opéra Royal de Wallonie, Marcel Seminara (Maestro del coro), Jan Schultsz (direttore). Stefano Mazzonis di Pralafera (regia), Jean-Guy Lecat (scene), Fernand Ruiz (costumi), Marco Marri (luci), Luciana Fumarola (coreografie). Registrazione: Liegi, Opéra Royal de Wallonie 20-28 giugno 2014. T.Time. 145′ 1 DVD Dynamic 37742

Un suo posto nella storia dell’esecuzione rossiniana, questa produzione di La gazzetta andata in scena nel 2014 all’Opera di Liegi sempre lo avrà per essere stata la prima a ripresentare il quintetto Già nel capo un giramento…Mi par d’esser con la testa”, considerato a lungo perduto fino alla riscoperta negli archivi del Conservatorio di Palermo ed eseguito, prima che a Liegi, solo dagli studenti del Conservatorio del New England sotto la guida di Philip Gossett.
Vista l’importanza dell’operazione, dispiace ancor di più che il rigore filologico si limiti all’esecuzione del riscoperto quintetto mentre il resto dell’opera è afflitto da tagli tanto pesanti da annullare totalmente i momenti solistici di Doralice e Madama La Rose e da rendere incomprensibili, specie nei recitativi, snodi fondamentali della trama.
La mancanza di integralità non viene di certo compensata dalla direzione di Jan Schultsz che appare pesante,  meccanica  e priva del brio e della leggerezza che una partitura come questa sembra pretendere; si rileva, inoltre, qualche scollamento fra buca e palcoscenico. Decisamente migliore nel complesso la prestazione del cast. Cinzia Forte ha con il ruolo di Lisetta un legame profondo avendolo affrontato in importanti produzioni degli anni scorsi. E se il tempo trascorso ha lasciato qualche ruga sul piano strettamente vocale, poco conta di fronte alla grazia naturale ed elegante del porgere, al possesso assoluto dello stile e dello spirito dell’opera che gli consentono di tratteggiare un personaggio autenticamente seducente.
Al suo fianco Enrico Marabelli è un Pomponio esemplare. La voce è forse fin troppo chiara per il ruolo ma la personalità è straordinaria così come il gusto sempre curato ed elegante, retto da un fraseggio ricco e articolato e da una dizione sempre nitida. Terzo elemento di forza è l’Aberto di Edgardo Rocha che sfoggia una splendida voce da autentico tenore di grazia, morbida e luminosa, ottima tecnica, colorature e acuti sempre facili, perfetta aderenza allo stile. Un gradino sotto il Filippo di Laurent Kubla che rispetto ai colleghi manca di quella naturalezza di fraseggio e di accento che in loro ritroviamo. La voce è però di bel colore, la tecnica sicura, la dizione apprezzabile anche negli scilinguagnoli quaccheri e turcheschi delle mascherate. Un cantante dalle sicure qualità anche se ancora un poco  acerbo sul piano espressivo.
Impossibile valutare Julie Bailly che i tagli riducono a voce di contorno nei pezzi d’insieme mentre appare veramente in difficoltà Monica Minarelli, il cui timbro ingrato e il canto faticoso non fanno troppo rimpiangere il taglio dell’aria. Nell’insieme efficaci le parti di fianco e positiva la prova del coro.
Accolto con grande successo dal pubblico lo spettacolo di Stefano Mazzonis di Pralafera lascia più perplessi a un’analisi più attenta. Quello che non convince – almeno lo scrivente – è una comicità fin troppo estroversa, troppo da avanspettacolo, tutta mossettine, faccette buffe, gesti esasperati – e persino fastidiosi come il pianto infantile che accompagna le proteste di Lisetta – superficiale e lontana dalla raffinatezza e dalla profondità dell’ironia rossiniana.
La scena si svolge in un grande albergo di taglio moderno, reso con apprezzabile realismo mentre i discutibilissimi costumi di Fernand Ruiz mischiano passato e presente declinando entrambi in una policromia chiassosa che fa apparire tutto molto prossimo a un cartone animato, decisamente kitsch.