Christoph Willibald Gluck (1714-1787):”Le Cinesi” (1754)

Christoph Willibald Gluck (Erasbach, 2 luglio 1714 – Vienna, 15 novembre 1787) 
Nonostante la loro brevità e la natura occasionale della composizione “Le cinesi” rappresentano una pagina centrale e un punto di svolta nell’esperienza artistica ed umana di Gluck. Per capire quanto questa breve opera serenata abbia influito sulla successiva attività del maestro di Erasbach – e quindi su tutto il successivo sviluppo dell’opera europea se si considera la portata rivoluzionaria della riforma gluckiana a partire dagli anni ’60 – bisogna risalire all’origine di questa composizione.    Le cinesi” nascono come lavoro d’occasione all’interno di un’iniziativa di carattere sostanzialmente commerciale. Nel 1754 il principe Joseph-Friedrich von Saxe-Hildburghausen sapeva dell’interesse che l’imperatrice Maria Teresa nutriva nei confronti del suo castello a Schloß Hof, sulla Morava e cercava un’occasione per presentare all’Augusta il complesso nel miglior modo possibile in modo da potervi ottenere una buona cifra in caso di vendita. Scartata l’ipotesi di una caccia – metodo abitualmente usato per queste occasioni ma impraticabile considerati i sentimenti proto-animalisti di Maria Teresa – la scelta fu l’organizzazione di una grande festa teatrale in onore della famiglia imperiale passata alla storia come l’”ultima grande festa barocca” in Austria.
Dopo una serie di lunghi preparativi il 23 e 24 settembre dello stesso 1754 i festeggiamenti ebbero finalmente luogo; la prima giornata vide la rappresentazione di due intermezzi di Giuseppe Bonno, compositore alla corte di Vienna, brevi composizioni per due personaggi. Il giorno seguente il cuore dei festeggiamenti fu occupato dalla rappresentazione dell’opera di Gluck appositamente ingaggiato dal principe sull’onda dei notevoli successi ottenuti come compositore teatrale molti dei quali in Italia, vista nel resto del continente come il vero regno dell’opera.
La scelta de “Le cinesi” non fu casuale e rappresentava invece un esplicito omaggio all’Imperatrice. Il libretto di Metastasio era infatti stato scritto nel 1735 per una recita privata all’interno degli appartamenti imperiali con musica appositamente composta da Antonio Caldara per giovani e particolarissime interpreti; l’esecuzione fui infatti affidata alle due arci-duchesse della casa d’Asburgo così che Maria-Teresa canta la parte di Lisinga mentre alla sorella Maria-Anna fu affidata quella di Lisinga; il rimanente ruolo di Tangia venne invece affrontato da una dama di compagnia.
Appare evidente come la scelta di festeggiare Maria-Teresa con una nuova versione di un lavoro creato per lei dovesse apparire come un esplicito omaggio. Le diverse circostanzi imposero però notevoli modifiche alla stesura originaria, lo stesso Metastasio riscrisse infatti parzialmente il libretto inserendo il ruolo maschile di Lisango con il doppio scopo di sfruttare al meglio gli artisti a disposizione in quell’occasione e di arricchire un lavoro in fondo breve e di scarsa consistenza.
A differenza di Caldara Gluck poteva ora disporre di cantanti professionisti di alto livello, fra i più apprezzati attivi in quegli anni sulle scene dei teatri imperiali; si trattava del soprano Theresia Heinisch; dei mezzosoprani Vittoria Tesi-Tramontini e Katharina Strazer e del tenore Joseph Friebert particolarmente apprezzato nel canto di coloratura. Specie la Tesi-Tramontini merita qualche considerazione; non più giovanissima all’epoca – era nata a Firenze nel 1700 – era però considerata artista di grande carisma scenico oltre che notevole cantante ancora in possesso di notevoli mezzi vocali. Era inoltre stata allieva di Bonno e Gluck in lei aveva assoluta fiducia tanto da averla voluta qualche anno prima – nel 1748 – per il ruolo della protagonista nella “Semiramide riconosciuta” a Vienna. Opera per altro nata che precisi intenti celebrativi e che voleva celebrare in forma mito-storica l’ascesa al trono della stessa Maria-Teresa, prima donna ad ottenere la dignità imperiale dopo il riconoscimento della Pragmatica Sanzione. Considerando questi precedenti non è stata forse casuale la scelta di affidare a lei il ruolo di Lisinga, affrontato dalla stessa futura Imperatrice in occasione delle recite domestiche del 1735.
 L’occasione sarà decisiva per il prosieguo della carriera di Gluck per cui proprio i festeggiamenti del 1754 rappresenteranno un’importante occasione per mettersi in evidenza nei confronti della corte imperiale; ad essa seguiranno un nuovo allestimento sempre de “Le cinesi” – questa volta pubblico – al Burgtheater nel 1755 e nello stesso anno l’incarico stabile alla corte di Vienna interrotto solo per i numerosi viaggi relativi a commissioni in vari teatri europei specie durante la guerra dei sette anni e la conseguente drastica riduzione della vita musicale viennese.
L’opera è di fatto un raffinatissimo gioco di teatro nel teatro rivisto in chiave decorativa all’interno di quel gusto per le chinoiserie che aveva contagiato tutta l’Europa con il diffondersi del gusto rococò. Ambientazione orientale che fornisce a Gluck alcuni spunti per ricercare colori orchestrali insoliti ed esoticheggianti come si può vedere dal ricco e insolito uso delle percussioni già nell’ouverture.
Il gioco teatrale con i personaggi che a turno cantano ciascuno un brano in uno dei diversi stili teatrali del tempo permette al compositore di dare un saggio della propria maturità artistica e della propria capacità di piegare i vari registri espressivi. La grande scena “seria” di Lisinga è un autentico banco di prova per la successiva produzione gluckiana. Ispirata al mito di Andromaca prigioniera di Pirro la scena si compone di un ampio e scultureo recitativo accompagnato da cui naturalmente sembra svilupparsi l’aria propriamente detta limitando al limite gli elementi di discontinuità fra i due momenti per ricercare un’unità emotiva dell’intera scena. La stessa aria presenta inoltre tutta una serie di particolarità che indicano chiaramente la precisa volontà di Gluck di distanziarsi dai modi tradizionali dell’opera seria e di cercare nuove vie più espressive e sincere. Emblematica in tal senso la conclusione della scena, dove secondo gli schemi del tempo avrebbe dovuto cominciare la ripresa con le variazioni in chiave virtuosistica qui tutto si blocca, il canto si ferma su un tremulo sospiro “pietà, pietà…” oltre il quale si apre un abisso di dolore che la voce non può rendere; il successivo intervento di Silango “Ah, non finir si presto” contribuisce ad evidenziare la soluzione oltre a testimoniare la perfetta intesa che ha unito Gluck e Metastasio nella preparazione dell’opera. Al dramma pastorale è concesso spazio maggiore in quanto considerato particolarmente adatto all’occasione festiva e si organizza su due arie – rispettivamente di Silango e Sivene che vengono a definire un unico blocco espressivo giocato sulla contrapposizione fra il languido lirismo di Licori – Sivene e il canto più brillante e virtuosistico di Tirsi – Silango all’interno di un unico ambito espressivo ed armonico.  A Tangia è affidata la rappresentazione della commedia altro momento di grande varietà e originalità espressiva. Anche questa sezione si organizza in modo molto libero con passaggi di recitativo alternati ad aperture propriamente liriche che richiedono notevoli doti espressive alla cantante chiamate ad una deformazione ironica della precedente scena di Silango scelto come vittima dell’ironia di Tangia. L’opera è chiusa da un quartetto con invito comune alla danza da parte di tutti e quattro i personaggi. Gluck opta per dare anche a questo momento un carattere a suo modo esotico scartando i tipi di danza in voga alla corte asburgica e optando per un ritmo di polacca arricchito analogamente all’ouverture da strumenti insoliti e chiamati a dare alla musica una tinta cinesizzante che chiude la composizione quasi in modo circolare.
La registrazione
“LE CINESI”
Azione teatrale in un atto su libretto di Pietro Metastasio

Prima rappresentazione: Vienna, Schlosshof, 24 settembre 1754
Lisinga, nobile ragazza cinese  Anne Sofie von Otter (contralto)
Sivene  Isabelle Poulenard (Soprano), Tangia Gloria Banditelli (contralto), ragazze cinesi
amiche di Lisinga
Silango, giovane cinese fratello di Lisinga e innamorato di Sivene, di ritorno dall’Europa
Guy De Mey (tenore)

Orchestra “Schola Cantorum Basiliensis”
Direttore, René Jacobs
Registrazione: Kongresszentrum Hotel Mittenza, Muttenz / Kanton Baselland, 10-14 novembre 1985. Etichetta DHM

Il libretto dell’Opera

La discografia di quest’opera per molti aspetti così interessante è a tutt’oggi alquanto limitata. L’edizione incisa per la Deutsche Harmonia Mundi nel 1996 è forse l’unica a darne un’interpretazione stilisticamente attendibile. Alla guida della sua Schola Cantorum Basiliensis il direttore fiammingo René Jacobs fornisce una lettura estremamente tersa e rigorosa ma al contempo brillante e leggera anche se il suono presenza ancora tracce di quella secchezza che a lungo ha caratterizzato la prassi esecutiva barocca e che al momento di questa incisione non era ancora stata totalmente superata. Come sempre in Jacobs si nota una grande attenzione e sensibilità nell’accompagnamento dei cantanti ereditata dell’essere stato egli stesso cantante prima di affermarsi come direttore d’orchestra.  Il cast è dominato dalla splendida Lisinga di Anne Sofie von Otter. La cantante svedese è semplicemente perfetta per il ruolo, mezzosoprano dal timbro terso e luminoso capace di scendere con facilità come di svettare sul settore acuto, dal perfetto controllo del fiato e dell’emissione cui si aggiunge un’innegabile personalità artistica che si esprime con un fraseggio di grande forza espressiva ma mai a scapito di una perfetta quadratura musicale così che la grande scena di Andromaca trasmette pienamente una grandiosità tragica di matrice raciniana.  Altro elemento di forza del cast è la Tangia di Gloria Banditelli, autentica voce contraltile come richiesto dalla parte ma non priva di morbidezza e femminilità – il personaggio è pur sempre quello di una ragazza – emerge soprattutto sul piano dell’interpretazione dove potendo sfruttare al meglio la totale padronanza linguistica – unica italiana del cast – gioca con bravura nei passaggi di stile nella scena della commedia evidenziando al meglio il carattere ironico e parodistico della scena. La Sivene di Isabelle Poulenard canta con gusto ed eleganza e la voce presenta una piacevole luminosità ma rispetto alle colleghe e più generica sul piano espressivo e tende a risolvere il personaggio con la sola piacevolezza del canto, va però anche considerato che il registro espressivo di Sivene è tutto giocato su un patetismo lirico meno ricco di possibilità rispetto agli altri personaggi. Poco convincente invece  il tenore Guy de Mey in evidente  difficoltà nella non facile parte di Silango. In primo luogo si notano evidenti problemi di pronuncia italiana – molto buona invece in tutte le interpreti femminili anche se non italiane – che privano di efficacia i suoi interventi nella lunga scena in recitativo che apre la composizione inoltre la voce non va oltre una generica piacevolezza e il canto di coloratura manca di autentica naturalezza così che gli arditi passaggi di “Son lungi e non mi brami” risultano eccessivamente meccanici.
Per completezza di ascolto
Lisinga, nobile ragazza cinese  Alexandrina Milcheva (contralto)
Sivene  Kaaren Erickson(Soprano), Tangia Marga Schiml (contralto), ragazze cinesi

amiche di Lisinga
Silango, giovane cinese fratello di Lisinga e innamorato di Sivene, di ritorno dall’Europa
Thomas Moser (tenore)
Orchestra della Radio di Monaco di Baviera

Direttore: Lamberto Gardelli
Registrazione: Monaco, Studio 1 Bayerischen Rundfunks, 22-26 giugno 1983. Etichetta “Orfeo”

Solo circa due anni intercorrono tra la uniche due incisioni de “Le Cinesi”, eppure c’è un vero e proprio abisso interpretativo in mezzo. Da un lato la ormai avviata prassi esecutiva “filologica” (Jacobs), dall’altra la “tradizione”, in questo caso anche piuttosto “pedante” di un Gardelli (che in quello stesso anno, per la stessa etichetta aveva registrato Iphigénie en Tauride) che ci propone un Gluck, certamente pulito, ma dai tempi dilatati (dura ben 10′ in più della versione Jacobs) e decisamente noiso, noia derivata anche dal fatto che i “da capo” delle arie non presentano ombra di una variazione, nemmeno espressiva. Tutto procedente piattamente, pur con la presenza di un terna di interpreti, certo non di specialisti (la Milcheva era una apprezzata Carmen e Moser, ben superiore a De Mey, nel giro di pochi anni si cimentò, e a dirla tutto si bruciò, nel repertorio wagneriano), ma composto di voci di primissima classe, purtroppo abbandonate a una concertazione inadeguata per stile e senso di questo teatro ancora fortemente “rococò”.