Il carro di Elias nel cielo sopra Milano

Milano, Teatro alla Scala – Concerti sinfonici  2013-2014
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Dadiel Harding
Maestro del coro Bruno Casoni
Soprano Julia Kleiter
Mezzosoprano Sarah Connolly
Tenore Andrew Staples
Baritono Christian Gerhaher
Solisti del Coro del Teatro alla Scala: Roberta Salvati, Emilia Bertoncello (soprani); Marzia Castellini, Lucia Bini (mezzosoprani); Luigi Albani, Andrea Semeraro (tenori); Devis Longo, Emidio Guidotti (bassi)
Solisti del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala: Erik Dolci, Beatrice Fassano, Lucilla Amerini, Laura Bevacqua
Felix Mendelssohn-Bartholdy: “Elias”, oratorio in due parti per soli, coro e orchestra op. 70, su testi tratti dall’Antico Testamento ( e 2° Re)
Milano, 21 dicembre 2013 (Concerto di Natale del Teatro alla Scala)
La scelta di una riflessione musicale sul sacro, e sull’occasione liturgica del Natale, non avrebbe potuto essere più felice di quella che ha permesso a Elias di Mendelssohn di risuonare per la prima volta all’interno della Scala. L’orchestra del teatro aveva già eseguito l’oratorio nel gennaio 1990, ma non nella sala del Piermarini bensì nella chiesa di San Simpliciano (e con il Coro della Filarmonica Nazionale di Varsavia); questa volta sono invece orchestra, coro, solisti del coro e del coro di voci bianche scaligeri a essere impegnati sul loro palcoscenico principale. La felicità della scelta è poi confermata dal trionfo conclusivo, quando il pubblico si sofferma a lungo ad applaudire tutti gli interpreti, richiamandoli più volte alla ribalta: è la dimostrazione dell’opportunità di ampliare il repertorio dei concerti sinfonici della Scala, coinvolgendo e valorizzando di più la compagine vocale congiuntamente a quella orchestrale (ed è positivo riscontrare che anche questa sia un’ambizione di Alexander Pereira e di Riccardo Chailly, futuri sovrintendente e direttore musicale, come essi stessi hanno rivelato nella conferenza stampa dello scorso 16 dicembre).
Daniel Harding è alla guida dell’ultimo lavoro di Mendelssohn, e ne imposta la direzione con un duplice obbiettivo: equilibrio ed espressività. L’equilibrio sonoro non è affatto un parametro scontato nell’oratorio, perché molto diverso è il trattamento delle varie sezioni orchestrali, oltre che delle voci e del coro. Sin dall’ouverture (che in realtà non apre, ma segue la maledizione iniziale pronunciata con fermezza da Elias) Harding riesce ad accentuare il contrasto tra la leggerezza degli archi e il tono corrucciato e arcigno degli ottoni (trombe in particolare); e appunto nel rilevare il suono magnifico dei violoncelli, e nel mantenere ovattato quello dei metalli, ottiene un equilibrio di forte suggestione, che permea poi di sé tutta quanta l’esecuzione. In parallelo, negli imponenti numeri corali il direttore coniuga due caratteri stilistici a cui Mendelssohn teneva molto: la severità liturgica di ascendenza haydniana e haendeliana e la drammaturgia, ossia il susseguirsi di scene effettivamente agite hic et nunc, e non riferite da un narratore esterno (la cui essenza trasforma davvero Elias da oratorio tradizionale in fantastico teatro musicale biblico). La marcata sottolineatura degli interventi del timpano conferisce appunto vitalità drammatica all’azione, così come la tendenza a suscitare un leggero crescendo degli archi sul finire di ogni numero corale.
Christian Gerhaher è il baritono nel ruolo protagonistico, e attacca con voce al tempo stesso forte e serafica, secondo una chiave espressiva che diventa cifra dell’intera interpretazione. Nella sua vocalità echeggia la lezione di Dietrich Fischer-Dieskau, di cui Gerhaher è stato allievo; ma la sua emissione è ancora più omogenea, e nei centri risulta vibrante di armonici. L’aria di preghiera «Herr Gott Abrahams, Isaaks und Israels» (Signore, Dio d’Abramo, Isacco e Israele, n. 14) è un capolavoro di arte vocale, anche perché tutelata – come sempre – dalle accorte sonorità orchestrali di Harding. A metà della II parte, nel momento di sconforto provato dal profeta, che teme di aver fallito la propria missione, Gerhaher ha modo di cimentarsi in un altro stile espressivo rispetto a quello profetico: «Es ist genug, / so nimm nun, Herr, meine Seele» (Basta, ora prendi, Signore, la mia anima, n. 26), con il lamento e con la disperazione personale che si contrappongono al tono di acre maledizione in apertura dell’oratorio. Anche nel rimpianto doloroso la voce del baritono è ricca ed essenziale, di inarrivabile eleganza ma priva di qualsiasi ricercatezza: insomma, semplicemente perfetta.
Prima di render conto della bravura degli altri solisti vocali è necessario parlare dell’autentico coprotagonista all’interno dell’azione musicale: il coro. E va subito detto che il complesso scaligero preparato da Bruno Casoni (che in queste settimane è impegnato – non si dimentichi – anche nella Traviata inaugurale) è veramente superlativo, specie quando interpreta la folla degli idolatri di Baal e il tono ipocrita della loro supplica (nn. 11-12-13 della I parte). Ma anche nella II parte, quando si tratta di rendere l’effetto imitativo del vento o di altri elementi naturali, il coro è perfettamente integrato in tutte le sue sezioni, davvero in forma smagliante. Commoventi le quattro voci bianche, che si affacciano dai palchi di proscenio del lato sinistro: in particolare il Ragazzo di Erik Dolci, la cui innocenza rende ancora più ineffabile l’effetto musicale del temporale che sopraggiunge (il miracolo della pioggia, ovviamente propiziata da Elias). D’altra parte, nell’economia complessiva che squaderna la partitura, gli effetti naturalistici delle voci bianche e dei fenomeni della creazione (il vento, il fuoco, l’acqua) sono appena accennati, e giustamente Harding non vi insiste più di tanto; a Mendelssohn interessava assai più la soluzione musicale della lode, del ringraziamento che è già liturgia, e che raggiunge l’apice nel brano conclusivo della I parte (n. 20) e in quello che chiude l’oratorio, sormontato da un Amen allusivo a quello finale del Messia. E ancora, pur essendo protagoniste la luce e l’aurora d’una nuova era, nel coro finale (n. 42) si percepiscono le striature corrusche dei tromboni, eterni indicatori di una liturgia sobria e severa, a cui né il direttore né le voci abdicano.
Andrew Staples è tenore dalla voce chiara, piuttosto leggera, caratterizzata da un passaggio di registro abbastanza percepibile; ma quando l’emissione è ben temprata diventa angelicata e dolcissima, come nell’aria di Abdia in cui esorta Israele alla conversione (n. 4). Qualche piccolo cedimento della voce è accusato nell’ultima aria (n. 39), ma senza che la buona qualità del suo contributo sia pregiudicata. Il soprano Julia Kleiter è sempre molto espressivo, e porge con ottimo gusto e sfumature interiori, grazie a una voce ferma e trasparente: il suo momento migliore è il celebre attacco della II parte, con l’aria «Höre, Israel, / höre des Hernn Stimme» (Ascolta, Israele, ascolta la voce del Signore!, n. 21): nel tono accorato della supplica emerge bene l’affetto vocale di ascendenza barocca, più volte sfruttato dal compositore nel trattamento delle voci soliste. Sarah Connolly ha voce dal bel timbro mezzosopranile, è anch’ella generalmente corretta e precisa, ma suo coup de théâtre è l’icastica interpretazione della regina Gezabele, accusatrice di Elias all’inizio della II parte.
Nel penultimo numero dell’oratorio il quartetto dei solisti canta insieme al completo, per la prima e unica volta (n. 41), in una sorta di preludio alla conclusione corale: è la sezione apocalittica, ormai sganciata dall’azione narrativa sulle gesta del profeta, messianicamente proiettata sulla venuta di Cristo, di cui Elias appare dunque anticipatore privilegiato. Ma anche dopo il termine dell’esecuzione, con un ultimo accordo in cui il coro smorza l’acuto sulla parola Amen, il fuoco dell’orchestra di Harding, del coro stesso, della voce di Gerhaher si sprigiona lontano, e dallo spazio teatrale raggiunge l’animo di ciascun ascoltatore, come il prodigioso fuoco del carro di Elias si staglia nel cielo in tempesta mentre il profeta ascende fino alla divinità: «Or mentre essi camminavano e parlavano, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra di essi ed Elia salì al cielo in un turbine» (2 Re 2, 11).Foto Brescia/Amisano © Teatro alla Scala